lunedì 20 gennaio 2014

Su Ore di luce strangolate da clessidre di Franca Fabbri


recensione di Paolo Turroni

Franca Fabbri è una scrittrice assai raffinata, come notava con acutezza Annamaria Tamburini a proposito della raccolta poetica Sto consumando l’ultima casa (FaraEditore, 2010): “senza cedere mai al sentimentalismo, rischio connaturale all’argomento, non di rado, nonostante l’asciutto dettato, la parola di Franca Fabbri può strappare qualche lacrima al lettore, almeno in prima battuta”. Aprendo la nuova silloge poetica, Ore di luce strangolate da clessidre (FaraEditore, 2013, pagg. 70, euro 11,50), non si può non riconoscere anche in questa pubblicazione un'intelligente eleganza che, talora, scopre una nuova specialità, quella della sorridente ironia, uno stile che va in direzione opposta rispetto ad una banalizzazione, così frequente ormai, nell'analisi e nella riflessione sulla modernità. Prendiamo ad esempio Gente di chiesa: “Due sorelle della nonna / suore di clausura, / una cugina della mamma / madre generale delle 'Paoline', / una mia cugina / suora di 'Maria Bambina', / uno zio missionario in Africa. / Io, / che recito / il rosario / un po' in latino / un po' in italiano / un po' a vanvera”. Lo stile con cui si raffigura questo quadro di famiglia ha il tono, lieve e prosastico, del miglior Montale: la prosa innerva la poesia e nello stesso tempo la scansione metrica delle parole rende il tutto molto più profondo di quanto potrebbe essere la stessa espressione se redatta attraverso un testo in prosa. Come scrive Marcello Tosi nella bella introduzione: “Il meditare versi sul tempo, sulle stagioni della vita, sulla morte, il suo raccontare fatto di sogno e di evasione si è fatto dissolvenza, apparizione di un labirinto del mondo e del male, da cui cercare salvamento nel sogno stesso… È sempre presente il senso, il sentimento della casa, dell'ovattato silenzio rotto solo da un suono familiare ed evocatore di altre storie… Le sue poesie, pascolianamente volutamente dimesse, sono autentiche, germogliano da gesti e vita quotidiana”. È proprio questa quotidianità a dare un senso profondo, veritiero, ad espressioni che in altri scrittori hanno spesso il sapore, invece, della pagina, del libro che nasce da altri libri e ai libri si rivolge. Questo è vero persino quando le poesie esplicitamente nascono da altri testi, o da altre opere, come la prima lirica della sezione I paesaggi di Friederich, dove si fa riferimento al grande pittore Caspar David Friederich (1774-1840), rappresentante del Romanticismo: “mare di nebbia / aguzze cime di ghiaccio / alberi solenni / ruderi di cattedrali / di cimiteri // figure umane / guardano, / sgomente // alto / e solo, / il Cristo, / appeso al freddo // e laggiù / la misericordia di una luce”, dove voglio sottolineare la forza espressiva di quel Cristo “appeso al freddo”, che con pochi cenni tratteggia un dramma con notevole efficacia. L'opera viene presentata il 25 gennaio 2014 a Savignano, presso il centro sociale Casadei, alle ore 21, dall'autrice e da Marcello Tosi.

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