Fara Editore e i giurati della sez. Poesia
(per la sez. Romanzo breve v. narrabilando.blogspot.it)
Giuseppe Carracchia, Luca Ariano, Roberta Bertozzi,
(per la sez. Romanzo breve v. narrabilando.blogspot.it)
Giuseppe Carracchia, Luca Ariano, Roberta Bertozzi,
Rosa Elisa Giangoia, Valerio Grutt, Vincenzo D'Alessio
sono lieti di comunicare che
Primo classificato e unico
vincitore
del concorso Faraexcelsior 2013
è il poeta
Fulvio Segato è nato a Trieste nel 1959, città dove lavora in una scuola pubblica. Negli anni Ottanta ha pubblicato due sillogi di poesie: I canti della Fenice e Io Narciso. Nel 2013 sue poesie sono state pubblicate in una silloge intitolata Vocativi in eco dell'editrice Helicon,
quale premio Casentino 2012. È in preparazione per Edizioni Progetto Cultura una raccolta dal titolo Cadono i cormorani. Ha conseguito riconoscimenti in concorsi letterari sia in poesia che in prosa. Vai alla scheda del libro.
L'odore scavato
Questo odore scavato che circola fra strade rioni
salite di porfido disassato
si forma con calma
passando lentamente
sulle mura
sui tetti
sulle piccole pozze che si stanno asciugando
sugli occhi che si riflettono dentro
e cercano
poi qui s'accomoda,
vicino alla mia sedia – con il suo silenzio –
scavandomi le ossa
scavandoci le ossa,
illudendomi di essere più leggero
dell'aria
– l'inganno del volo,
ma fa solo una sosta
prima di riprendere il suo giro
prima di bussare alla porta accanto
d'infilarsi in un letto fra lenzuola pulite
che hanno quel leggero profumo di viole
di viole
che ci siamo portati dietro
con noi dietro
tanto tempo fa.
**
Quando farai il gesto coi palmi rivolti a me
e dirai – fermati –
allora mi fermerò,
assieme a tutti quelli
che dietro a me hanno fatto
l'ombra,
alle migliaia di foglie
che hanno fatto il verde nella vita
– quella mia e d'altri –
al mobile celeste che cambia ogni volta
quando alzi gli occhi e lo guardi
– fermerai anche le impronte d'animali
ormai in polvere,
nella polvere
le impronte di chi non ho conosciuto
e ancora mi mancherà,
se non si alza nessun vento
le loro impronte saranno.
**
Il pasto di sempre
Ecco il pasto di sempre – adesso però la palpebra
ha le rughe pesanti e segni di solchi sarchiati
uno svello aperto, terra buttata in parte,
la foglia secca che scrocchia come un pane
nel suo giallo timido sotto il passo pesante
delle formiche che corrono nelle tane a cercar conforto
nell’impellenza delle fughe, gli sguardi smarriti.
Non chiedere per avere risposte
– non ne avrai –
bastano i coltelli, le forchette, il trasparente
dei bicchieri che se avvicini l’occhio
sembra di ritornare nel tempo indietro
e saluti la gente che non c’è, e ti fermi un momento
a parlarci, a chiedere – come va?
Basta questo pasto di sempre,
quello che cambia è l'ordine
delle sedie attorno al tavolo e accorgersi
che si ha sempre meno fame.
– E questo vento
questo vento
che ci chiacchiera nelle orecchie.
– l'inganno del volo,
ma fa solo una sosta
prima di riprendere il suo giro
prima di bussare alla porta accanto
d'infilarsi in un letto fra lenzuola pulite
che hanno quel leggero profumo di viole
di viole
che ci siamo portati dietro
con noi dietro
tanto tempo fa.
**
Quando farai il gesto coi palmi rivolti a me
e dirai – fermati –
allora mi fermerò,
assieme a tutti quelli
che dietro a me hanno fatto
l'ombra,
alle migliaia di foglie
che hanno fatto il verde nella vita
– quella mia e d'altri –
al mobile celeste che cambia ogni volta
quando alzi gli occhi e lo guardi
– fermerai anche le impronte d'animali
ormai in polvere,
nella polvere
le impronte di chi non ho conosciuto
e ancora mi mancherà,
se non si alza nessun vento
le loro impronte saranno.
**
Il pasto di sempre
Ecco il pasto di sempre – adesso però la palpebra
ha le rughe pesanti e segni di solchi sarchiati
uno svello aperto, terra buttata in parte,
la foglia secca che scrocchia come un pane
nel suo giallo timido sotto il passo pesante
delle formiche che corrono nelle tane a cercar conforto
nell’impellenza delle fughe, gli sguardi smarriti.
Non chiedere per avere risposte
– non ne avrai –
bastano i coltelli, le forchette, il trasparente
dei bicchieri che se avvicini l’occhio
sembra di ritornare nel tempo indietro
e saluti la gente che non c’è, e ti fermi un momento
a parlarci, a chiedere – come va?
Basta questo pasto di sempre,
quello che cambia è l'ordine
delle sedie attorno al tavolo e accorgersi
che si ha sempre meno fame.
– E questo vento
questo vento
che ci chiacchiera nelle orecchie.
**
L'attesa di quel momento
L'attesa di quel momento,
per spiegare le interferenze,
sovrapporre le parole a questa strada
all'inerpicarsi verso lo scollo,
– dire: questo è il ramo, questa
l'acqua che scorre nella stretta gora
– oppure il diafano dei corpi
l'inesatto dei visi lavorati
dai denti sottili del ricordo –
fin su, fino in cima, oltre la scardinata porta,
fermi nell'atrio scuro
ad aspettare
una voce, un richiamo.
Un grido,
e tutto il resto è cosa muta.
(…)
Giudizi
Prendiamo in considerazione due suggestioni, come scintille
venute fuori da uno sfregamento di quarzi. La prima mi riporta all’intelligenza
(sinonimo di furbizia) di Fortini: “l’inesatto dei visi lavorati/ dai denti
sottili del ricordo”. La seconda all’esattezza minima di Lucio Fontana: “un
piccolo taglio col temperino/ sul lenzuolo ben tirato”. Due intuizioni
confidenziali, da prendere e momentaneamente mettere da parte.
Poi, ovviamente, La consuetudine dei frantumi: un dialogo a una voce (ma diversi toni) con altri e altro la cui entità non mai è precisata al lettore, ma abilmente messa in scena con una precisione dilatata e consapevole, puntuale e conclusa. Un giro sintattico ampio, scandito da incisi e giustapposizioni calzanti, e un verso mediamente largo e descrittivo, le cui inarcature contrastano perlopiù debolmente la sintassi ma in modo comunque connotante per l’andamento ritmico dell’intera raccolta, costituiscono il tessuto connettivo della silloge. Un rondò lirico/narrativo che parte e spesso ritorna al punto di partenza (o dà l’impressione di farlo, anche grazie alle figure della ripetizione qui sfruttate abbondantemente), col carico di suggestioni accumulate lungo il tragitto, concludendosi. Molto funzionali, ma è banale ribadirlo, le figure di senso (dalle metafore alle similitudini), ma in particolare una velata allegoria di fondo, non sempre riconducibile al proprio principio – per così dire – semantico, che non per niente in alcuni casi ci ricollega a certo Fortini (v. tra le tante La volpe). Il dominio della forma, non scevro da cadute, è qui spiegato talvolta sotto le fattezze di un compito ben svolto (finanche prevedibile), avendo ben presente il Novecento italiano, e altre volte – le migliori – con fughe e imprevisti ben calibrati che donano all’insieme sia la grazia necessaria a scongiurare il sentimento facile o l’intuizione banale, che la qualità di organica raccolta.
Poi, ovviamente, La consuetudine dei frantumi: un dialogo a una voce (ma diversi toni) con altri e altro la cui entità non mai è precisata al lettore, ma abilmente messa in scena con una precisione dilatata e consapevole, puntuale e conclusa. Un giro sintattico ampio, scandito da incisi e giustapposizioni calzanti, e un verso mediamente largo e descrittivo, le cui inarcature contrastano perlopiù debolmente la sintassi ma in modo comunque connotante per l’andamento ritmico dell’intera raccolta, costituiscono il tessuto connettivo della silloge. Un rondò lirico/narrativo che parte e spesso ritorna al punto di partenza (o dà l’impressione di farlo, anche grazie alle figure della ripetizione qui sfruttate abbondantemente), col carico di suggestioni accumulate lungo il tragitto, concludendosi. Molto funzionali, ma è banale ribadirlo, le figure di senso (dalle metafore alle similitudini), ma in particolare una velata allegoria di fondo, non sempre riconducibile al proprio principio – per così dire – semantico, che non per niente in alcuni casi ci ricollega a certo Fortini (v. tra le tante La volpe). Il dominio della forma, non scevro da cadute, è qui spiegato talvolta sotto le fattezze di un compito ben svolto (finanche prevedibile), avendo ben presente il Novecento italiano, e altre volte – le migliori – con fughe e imprevisti ben calibrati che donano all’insieme sia la grazia necessaria a scongiurare il sentimento facile o l’intuizione banale, che la qualità di organica raccolta.
A questo punto, chi sta dalla mia parte vorrebbe prendere
tempo, giustificarsi citando bei versi, dando i titoli, le pagine, i numeri…
ribadendo ovvietà dannose. Noi torniamo in fretta al punto di partenza.
Due intuizioni per fare un incendio, e tutte le attenzioni del caso per alimentarlo. La responsabilità è soprattutto dei lettori. (Giuseppe Carracchia)
Due intuizioni per fare un incendio, e tutte le attenzioni del caso per alimentarlo. La responsabilità è soprattutto dei lettori. (Giuseppe Carracchia)
Ci troviamo, con questa raccolta, di fronte ad una delle
bellissime voci poetiche a cavallo tra il trascorso Novecento e il Nuovo Secolo
della Scienza. Un poeta carico
delle verità sofferte: “mentre passavano i grossi camion / e le ruote nere
avevano fili di paglia / incastrati, portati da chissà dove” (Mangerei adesso delle olive), che
avvicinerei per il modo di raccontare la sua / la nostra storia alle poesie di Cesare
Pavese (Lavorare stanca). Una poetica
acuminata, costruita attentamente con il bulino della rastremazione: dall’alto
verso il basso, e viceversa, a dimostrazione della sapienza assunta nell’uso
della parola e nel tesserla lungo il corpo poetico, con l’uso dell’enjambement
e delle virgole tenendo conto dell’uso difficile in poesia del verso libero.
Pause per lasciare fluire con maggiore effetto il percorso del tema proposto al
lettore: “la cosa d’abitudine, come petalo / schiacciato che fu il fiore, /
anche odore del fiore, il suo gambo, / la consuetudine dei suoi frantumi” (L’ignoto dietro la porta). (VincenzoD’Alessio)
Nei versi de La consuetudine dei frantumi c'è consapevolezza e visione, uno
stile compatto e riconoscibile. Una pasta malinconica, viva, tiene dentro le
parole dalla prima all'ultima poesia. (Valerio Grutt)
Opere segnalate
Narda
Fattori (Gatteo, FC)
con A futura memoria
con A futura memoria
Narda Fattori è nata a Gatteo (FC), dove risiede.
Ha compiuto studi di linguistica e si è impegnata come formatrice per l’IRRSAE
( ora IRRE) e come autrice di libri di didattica per diverse e qualificate case
editrici. Ritrovata l’ispirazione poetica e narrativa agita in gioventù e
abbandonata per scelte personali , ha partecipato con successo a concorsi
innumerevoli, ricavandone successo e premi , ha pubblicato diversi libri e
partecipa alla compilazione di antologie. Redattrice del sito VDBD, è presente
in altri lit-blog, scrive prefazioni, recensioni, conduce laboratori di
scrittura poetica e narrativa. I suoi libri di poesia pubblicati sono: Se
amor parla, Autore Libri (Firenze) 1995; E curo nel giardino la gramigna,
Ibiskos (Empoli) 1996, premio editoriale; L’una e i falò, Il Vicolo (Cesena) 1998; Terra di nessuno, Lucca, 2000 (Premio editoriale “Olinto
Dini” di Castelnuovo Garfagnana); Verso Occidente, Fara 2004; Cronache disadorne, Joker (Novi Ligure) 2007; Il verso
del moto, Moby Dick (Faenza) 2009; Le parole agre, L’arcolaio 2011; Dentro il diluvio, puntoeacapo (Novi Ligure) 2011 (premio Editoriale Astrolabio di Pisa). È presente con una silloge
di dieci poesie nei volumi antologici Voce Donna 1997, Voce Donna
1998, Voce Donna 1999, Il Vicolo (Cesena); nell’antologia Santarcangelo
della poesia, Luisè (RN) 1998; nell’antologia Il Novecento
etico-religioso a cura di Vittoriano Esposito, Bastogi;
nell’antologia FaraPoesia con la silloge A che punto è la notte?,
Fara 2010; nell’antologia Creare mondi con la silloge De
profundis, Fara 2011; la silloge Canzone nell’antologia Dentro il mutamento, Fermenti 2011.
A futura memoria
Me ne uscirò da me prima che si faccia buio
il cuore nasconderà nel suo guscio duro
ancora sabbia dorata e merli sui castelli
me ne uscirò dopo avervi abbracciato tutti
quando a ciglio asciutto si fermerà il tempo
ci sarete in forme varie e io sarò la mano
che non sa più acconciarvi la veste e i capelli
me ne starò quindi a braccia aperte
a raccogliere il raggio obliquo del tramonto
rosso di foglie d’acero sull’orizzonte verde
delle colline di viti e di ulivi in corsa
me ne andrò da voi quando non sentirò
la sete pungermi la pelle e l’ora rintoccherà
stonata e il merlo mi fisserà irridente
dal quadrato del giardino la bacca nel becco
non mancherà nessuno le bestie e i paesaggi
gli amati e le mie penne questi tanti libri
polvere su polvere io di polvere a nutrimento
a chi avrà desiderio di restare per provare
come sia luce l’amore e come sappia fare male
e come non sia mai troppo e non si sottragga
me ne andrò quando non saprò più sommare.
A futura memoria
Me ne uscirò da me prima che si faccia buio
il cuore nasconderà nel suo guscio duro
ancora sabbia dorata e merli sui castelli
me ne uscirò dopo avervi abbracciato tutti
quando a ciglio asciutto si fermerà il tempo
ci sarete in forme varie e io sarò la mano
che non sa più acconciarvi la veste e i capelli
me ne starò quindi a braccia aperte
a raccogliere il raggio obliquo del tramonto
rosso di foglie d’acero sull’orizzonte verde
delle colline di viti e di ulivi in corsa
me ne andrò da voi quando non sentirò
la sete pungermi la pelle e l’ora rintoccherà
stonata e il merlo mi fisserà irridente
dal quadrato del giardino la bacca nel becco
non mancherà nessuno le bestie e i paesaggi
gli amati e le mie penne questi tanti libri
polvere su polvere io di polvere a nutrimento
a chi avrà desiderio di restare per provare
come sia luce l’amore e come sappia fare male
e come non sia mai troppo e non si sottragga
me ne andrò quando non saprò più sommare.
**
E suoneranno a distesa le campane
e qualcuno chiederà chissà perché
ma già dalla lontana radura potrò
guardarvi con l’occhio della madre
mi prenderò cura degli spigoli acuti
dei sassi che avete sotto i piedi
sì allora sarò leggera e avrò mani
quante bastano per acconciarvi
come non ho saputo fare prima.
Fischierà il merlo sul corbezzolo
riderà di me come è giusto che sia
anch’io riderò per gli inutili affanni
che mi hanno spezzato il fiato
e un poco soltanto anche la mente
sarà bello circondarvi la vita
portarla dentro i girotondi nel mondo
che si fa chiaro di luce nel suo nocciolo
silenzioso di pace perché tacciono
i fucili e l’ottuso bailamme
che disconosce mio fratello morto
mia sorella storpiata e mio padre
estraneo a bocconi sopra un carro
e rideranno di voi miei cari amati
della mia terra ubertosa e gentile
spesso un po’ pacchiana ma sapete
la gente che accoglie sempre e ride
con tutti coltiva qualche vizio e resta
con l’uscio aperto a disposizione.
Suoneranno a distesa le campane
e dal corbezzolo fischierà il merlo
e sarò stata viva e vera e indolenzita
più lieve di una foglia cadere lieve.
**
Non ho che uno sguardo presbite
per vedervi tutti – ammassati una ressa –
e chi saluta con calore e chi strattona
e chi mi chiama a alta voce e chi si tace
foste come un luccichio di farfalla
nei giorni chiari e la favola lunga
dei cirri in corsa a mutare fisionomia
siete il caffè del risveglio la buona
mattina che non mi ferisce l’occhio
e torniamo a schiera nei cortei
a urlare parole d’ordine grosse e rosse
come in un grappolo d’uva matura
e torniamo a gruppi sulla spiaggia
con lo sciacquio che annuncia il mare
e un coro stonato per un basso
che accompagna anni che avevano
stelle nelle pupille e un’utopia in testa
coccinelle di buona sorte sul dorso
della mano fate il morto – vi ho spaventato
con un lapsus un gesto sconsiderato –
e mi temete lo so e fate il morto
e non so se ridere o piangere o poggiare
il palmo dell’altra mano su quel dorso
mie prigioniere come nella memoria
dove invece vivete sui seminati di grano
che i campi imbiondivano e io ero
una corsa una rincorsa una fuga anche
nessun rimpianto ora e la sveglia tace.
estraneo a bocconi sopra un carro
e rideranno di voi miei cari amati
della mia terra ubertosa e gentile
spesso un po’ pacchiana ma sapete
la gente che accoglie sempre e ride
con tutti coltiva qualche vizio e resta
con l’uscio aperto a disposizione.
Suoneranno a distesa le campane
e dal corbezzolo fischierà il merlo
e sarò stata viva e vera e indolenzita
più lieve di una foglia cadere lieve.
**
Non ho che uno sguardo presbite
per vedervi tutti – ammassati una ressa –
e chi saluta con calore e chi strattona
e chi mi chiama a alta voce e chi si tace
foste come un luccichio di farfalla
nei giorni chiari e la favola lunga
dei cirri in corsa a mutare fisionomia
siete il caffè del risveglio la buona
mattina che non mi ferisce l’occhio
e torniamo a schiera nei cortei
a urlare parole d’ordine grosse e rosse
come in un grappolo d’uva matura
e torniamo a gruppi sulla spiaggia
con lo sciacquio che annuncia il mare
e un coro stonato per un basso
che accompagna anni che avevano
stelle nelle pupille e un’utopia in testa
coccinelle di buona sorte sul dorso
della mano fate il morto – vi ho spaventato
con un lapsus un gesto sconsiderato –
e mi temete lo so e fate il morto
e non so se ridere o piangere o poggiare
il palmo dell’altra mano su quel dorso
mie prigioniere come nella memoria
dove invece vivete sui seminati di grano
che i campi imbiondivano e io ero
una corsa una rincorsa una fuga anche
nessun rimpianto ora e la sveglia tace.
(…)
Giudizi
Le poesie della raccolta A
futura memoria consegnano una poetessa matura, saggia, giovane, come tutti
i poeti, in fondo al cuore. Non saprei dire se l’immortalità si scrive con
queste cifre, ma: “Al corrimano stringo le dita / sporche d’inchiostro / per
colorarmi la vita di parole”, esse raccontano al lettore tutta la passione
struggente per il mistero dell’esistere. Me ne uscirò da me coglie l’invito
che il poeta Giorgio Caproni rivolgeva nella sua poesia (Biglietto, 1975): “(…) Il mio viaggiare / è stato tutto un restare
/ qua, dove non fui mai”. E si spinge più in là dove la civiltà contadina ha
inciso, a caratteri di fuoco, i comandamenti della vita: “Dalle porte segnate
dalla croci / (…) invochiamo il dio che non risponde / (…) e più nessuno si
stupisce dell’inganno / come la favola narra e la mente rifiuta”. La poetessa
ci invoglia a sorprenderci poiché non c’è condanna più severa che scontare la
morte vivendo. (VincenzoD’Alessio)
Poesia narrativa, a tratti
pavesiana, densa di riferimenti, mette in risalto il malessere della nostra
epoca. (Luca Ariano)
Gabriella
Bianchi (Perugia)
con Il sogno breve
con Il sogno breve
La primavera accende il verde
di vermiglio e di candore.
Il vento punge con aghi sottili
questo residuo tenace d’inverno
in cui hai lasciato il mondo
a mia insaputa, senza che potessi
prenderti le mani
e posarvi sopra le labbra
in silenzioso commiato.
///
Un solo desiderio rivolgo all’Onnipotente:
che dischiuda quella porta per un giorno
il tempo di un abbraccio
il tempo di asciugare lacrime
il tempo di sentire la sua voce
e bere dalla sua bocca mille baci,
poi entreremo insieme nell’Averno.
///
Dove sei adesso
il mare non ha ond
la montagna non ha vento
l’erba non ha odore
i fiumi sono immobili,
e chissà se il bagaglio dei sogni
ti ha seguito
o se una mano arcigna
te lo ha strappato
dal cuore.
///
Ieri il cielo di marzo premeva i tetti,
respiravo a fatica.
Ti cerco ovunque, invento mappe
per raggiungerti.
(…)
Giudizi
Squarci lirici con echi classici dove il
tema del distacco, della morte, sono pregnanti. (Luca Ariano)
Poesie
che nascono da un’emozione intensa e profonda, che viene ben rielaborata ed
espressa con un linguaggio poetico compiuto e tramite immagini originali ed
efficaci che raggiungono una dimensione di dolore universale. (Rosa ElisaGiangoia)
Le poesie che compongono la raccolta: Il sogno breve possono considerarsi il “Poema dell’addio”: un
diario intimo, dialogato, tra il superstite e lo scomparso,che coinvolge
inconsciamente l’intera umanità. Si può avvicinare alla vicenda di Orfeo ed Euridice, dove l’amante
(superstite) chiede alla Natura, che si rinnova nelle sue forme stagionali, di
restituirgli l’amata. Poesia carica di sinestesie, metafore e l’uso
dell’enjambement dà al verso maggior vigore. Il sogno è per l’orfano il
rifugio, la protezione, il distacco provvisorio dal risveglio, che lo porterà
inesorabilmente di fronte alla tragedia della perdita e all’insormontabile muro
d’ombre della morte. L’insieme
poetico racchiude l’inconsolata musica dei ricordi. (Vincenzo D’Alessio)
Raimondo Iemma è nato a Torino nel 1982. Nel 2005 ha vinto il “premio Sandro Penna” con la silloge inedita Ultime questioni aperte, in seguito pubblicata dalle Edizioni della Meridiana con prefazione di Elio Pecora, e nel 2006 il “premio Fabrizio De André”, anch'esso per inedito. Nel 2007 ha pubblicato la raccolta di poesie luglio (premio Beppe Manfredi opera prima) per la collana Festival di Lampi di stampa. Ha pubblicato testi sulle riviste «Le voci della luna», «Poeti e poesia» e «l'immaginazione». È compreso nell'antologia Poesia in Piemonte e in Valle d'Aosta di Puntoacapo (2012). Una formazione musicale è stato scritto tra il 2011 e il 2013.
Presa di servizio
Arrivo all'ora in
cui si cena nel paese.
Per raggiungere la
stanza di questi giorni
è necessario
attraversare il grande atrio
vuoto di poche
persone, attardarsi forse
a considerare
strade e passaggi
che di fronte al
noleggio convergono
nell'unica piazza,
come dita in un palmo
e camminare circa
la metà di un'ora
piuttosto soli
nella notte scura
lasciato il mondo
immobile alle spalle
in attesa di
niente, scena muta.
Riunione #1
Quando passano a gruppi di uomini
o ragazzi ben cresciuti, assistenti
di studio legale, ignoti architetti
nello stesso edificio trasparente
quei buffi pensieri vengono meno
finché non sono nudi abilmente ritratti
nel grande specchio catturati manichini.
Diverse nazioni africane presentano confini in linea retta, probabile retaggio della suddivisione coloniale. Ciò le rende, nella grafica, alquanto simili agli stati americani, molti dei quali hanno la forma di quadrilateri irregolari. Nell’Europa centrale i rilievi montuosi si vogliono frontiere naturali, mentre a nord non è infrequente la presenza di alcune enclave, che rendono difficili le attribuzioni amministrative e i sonni dei funzionari. Agli uomini del Corpo Diplomatico vengono assegnati appartamenti di rappresentanza, nei cui saloni sono stati meditati – e talvolta anche compiuti – suicidi nella forma più sobria, come si conviene alla categoria.
Così sarebbero nel sogno
Una sera dell'estate normale
del pianeta, i modelli di un'auto
cambiano piano: dove curva la via
essi segnano l'epoca in trazione.
Anche nel presente s'innamorano
i rifiuti dei tombini, i pulsanti
delle dita, i trafori dei convogli
silenziosi. Solo quando niente c'è
da fare il gesto accade: nella gialla
caserma le finestre senza interno
fanno il riso amaro dell'intarsio:
navigando il basso marciapiede
sfioro le serrande della città-niente
nell'ora esatta durevole del led.
(…)
Giudizi
Dettato in bilico fra
prosa e poesia. Buona coesione delle varie sezioni. Calibro ironico. Tenuta
ritmico/musicale. (Roberta Bertozzi)
Stile asciutto ed evocativo, una ricerca
interessante tra poesia e narrativa. (Valerio Grutt)
A un anno di distanza riproporrei la parte conclusiva di quanto
già scritto su questa silloge per la scorsa edizione del premio faraexcelsior farapoesia.blogspot.it/2012), con una doverosa postilla: Poesia “istantanea” non nel compiersi della
scrittura (che denota una struttura ricercata, anche nella ricchezza lessicale)
ma nel rappresentare il mondo attraverso stupore e sbigottimento, per poi
accedere – talvolta – a una rara, curiosa
sospensione poetica: … come sarebbe
sostare/ ai confini di una sala d’aspetto/ prima della nascita dell’aviazione
civile. Vero e proprio taccuino di un “osservatore sociale”, che
abbandonato (per il tramite di Benedetti in esergo) il gratuito pessimismo
adolescenziale –troppo spesso da tanti trasformato in manierismo
decadentista- affronta il mondo
con sguardo attento, talvolta anche a denti stretti, e con sagace ironia.
La citazione di Benedetti è scomparsa. E forse le mie
intuizioni non hanno trovato riscontro né terreno fertile, se l’autore s’è poi
efficacemente adoperato –tra le non poche revisioni, con aggiunte non sempre
azzeccate- a sfaldare la forza di quella terzina sostituendone il verso finale
con altro a mio parere molto più insipido. Ma il mio è solo un punto di vista,
una tra i tanti e non necessariamente il più utile. (Giuseppe Carracchia)
Pierangelo
Scatena (Castelnuovo Garfagnana)
con Come un poeta
con Come un poeta
Pierangelo Scatena è nato a Capannori (Lucca) il 29 giugno del 1944. Ha vissuto a Lucca e, per motivi di lavoro, per diversi anni a Vicenza. Oggi risiede a Castelnuovo di Garfagnana (Lucca). Laureato in Medicina e specializzato in Psichiatria e in Neuropsichiatria Infantile ha lavorato come psichiatra nel servizio pubblico, impegnandosi nella realizzazione di una psichiatria comunitaria e antiistituzionale e partecipando attivamente al processo di smantellamento manicomiale e alla creazione dei nuovi servizi territoriali, dirigendo le Unità Operative di Psichiatria e i Dipartimenti di Salute Mentale, prima dell’ASL di Thiene-Schio e poi dell’ASL di Lucca. Come medico ha pubblicato numerosi lavori (oltre 50) su riviste e libri scientifici. Come poeta ha ricevuto significativi riconoscimenti e numerosi premi (tra cui 15 primi premi) in concorsi nazionali ed internazionali ed ha pubblicato cinque raccolte poetiche.
COME UN POETA
Chiara è la notte e il cuore in armonia
col cielo freddo sparso su le case,
tra i suoni inconsistenti della vita
nella cinerea polvere d’umani.
Qui sono, estratto a sorte per ventura
d’improbabili eventi nelle pieghe
indecise del nulla,
come distratto istante di memoria.
Mentre sottili gli atomi dell’anima
rispecchiano infinite
le geometrie remote delle stelle
vengono a visitarmi pochi versi
esuli da una patria sconosciuta,
dove i sogni s’interrano a morire
in silenzi di falce.
Oggi mi sembra sempre più difficile
fingermi come d’essere un poeta.
NEL SOGNO DI UNA ROSA
Eri nel mio pensiero
prima del falso e il vero,
prima del caos informe
c’erano le tue orme,
ed eri già presente
prima che il corpo ardente
sorridesse di culla
dopo tutto quel nulla.
Nel sogno di una rosa
la mente ora riposa.
FERRAGOSTO
La città abbandonata in questo giorno
sembra una barca rotta dentro il porto
in lenta attesa di riparazione.
I pochi che rimangono più chiusi
intristiscono al caldo delle case.
La vita è altrove, come sempre falsa.
S’arena qui lo scafo del meriggio,
pende inerme la vela della sera
e veglia cupo il ponte della notte.
Tutto è sospeso tra abbandono e attesa,
ed ogni cosa trova in questo tempo
la giusta dimensione del reale.
NON CI SARANNO
Non ci saranno più gioie e dolori,
lune sospese al largo dei pensieri,
né piogge nel torpore degli autunni
a graffiare frontiere di silenzio.
Non ci saranno più notti d’estate
raccolte con le stelle dentro noi,
non i petali azzurri delle sere
per sortilegi da sfogliare insieme
Disavvenuti e disentificati
l’eterno non esistere ci attende.
Ma ancora ogni possibile s’avvera
(è l’incessante frangersi dell’onda,
è l’infinito stridere di sfere).
Ancora l’universo in noi resiste
(imperturbato e muto ci raccoglie,
ci crocefigge al moto degli eventi).
Oltre il velame che noi dipingiamo
che mai sarà quel nulla che non c’è?
(…)
Giudizi
L’autore mostra in questa raccolta una grande vena poetica, intrisa di classicità, simile ad un’antica fontana costruita in una piazza che racconta a chi si china a bere la storia dei suoi anni. C’è in tutti i versi un’armonia sostenuta, autentica, vicina alle poesie di Giacomo Leopardi o di Giorgio Caproni: “Chiara è la notte e il cuore in armonia” (Come un poeta) – “Così viaggiamo il mondo e ci perdiamo / nel battito di ciglia d’ un amore” (A volte). Splendida anche la prova versatile nel sonetto “Così com’è”. Padronanza del comporre. Un filo rosso tiene la filosofia esistenziale in molti passaggi. Allo stesso tempo la presenza delle stelle, in tutte le composizioni, lascia affiorare il distacco dalle forme terrene, intrise a volte di divinità: “Dov’è la differenza / se l’esistenza sta nell’apparenza / (…) E così esisti tu, esisto io. / Così esiste un po’ persino dio.” (Esistenze). (Vincenzo D’Alessio)
Buoni spunti e fiammate
liriche. (Luca Ariano)
Poesia di vita, d’esperienza e di riflessione tessute con immagini personali ed efficaci, condotte con buon ritmo pur nell’andamento sovente discorsivo dei versi. (Rosa Elisa Giangoia)
Alessandro Chiarini
(Molinetto di Mazzano, BS)
999 parole di
fede/sospetto
speranza/rassegnazione
carità/violenza
Alessandro
Chiarini, Brescia 1978. Ad oggi: grafico
libero professionista, professore di Graphic design c/o Accademia
Santagiulia di Brescia. Padre di 2 creature. Impegnato nelle file dell'associazionismo
cattolico. Ha partecipato a mostre personali e collettive con i suoi
"dipinti digitali": fotomontaggi surreali. Ha ricevuto una
segnalazione di merito, per le sue composizioni poetiche, alla seconda edizione
del concorso Faraexcelsior.
194 parole di fede
Come un dì fece a Myriam
verrà il figlio della Verità.
Ruach
a fecondare il corpo,
a dare forma all'adamah.
***
Figlio da figlia
nato da donna.
Così sarà generato
il Dio incarnato
***
Dalla terra l'hai tratto,
della terra, Adamah egli è.
Soffiando vivo l'hai reso,
brezza di Elohim sulla
bocca.
Sveglia Jeshua, apri gli
occhi.
Il giorno primo è per te,
solo per te.
Il giorno primo.
Nottetempo,
sotto gli occhi di Dio,
fra le gambe di Mary,
nacque Jeshua,
nuovo Adamah.
e fu sera e fu mattina:
nuovo giorno.
***
Pietro prendimi con te a
lavorare,
lo imparo da te come si fa
a pescare.
M'intendo di legni, ma non
per navigare,
sono il figlio di Giuseppe
il falegname.
***
Lo videro
(naso all'insù)
undici piccoli Mosè sul
monte
E Lui a loro:
“Andate dunque.
è l'ora di immergersi.
Uomini di Galilea,
pescatori vero?
Io sono. Io sarò,
per sempre, il vostro
fiato.”
Giudizio
Poesie di intensa ispirazione religiosa che, attraverso il
recupero memoriale di pagine bibliche, esprimono con intensità ed efficacia
un’esperienza di fede. (Rosa Elisa Giangoia)
Simona
Cerri Spinelli (Saline di Volterra, PI)
con I miei versi come una cane in chiesa
con I miei versi come una cane in chiesa
I.
Vecchi preti infiammati
si agitano nelle piazze
e vestiti di sacco e di pelli,
come i profeti Enoch ed Elia,
si mescolano a ciarlatani,
maghi, prostitute e poeti.
Uno di loro si avvicina a Jones
e inizia la sua predica.
Io mi allontano
col quaderno sottobraccio.
Nessuno mi ha mai guardato come un poeta.
Ma io ho guardato voi.
Spiandovi, dal buco della serratura.
II.
Guardo il mondo con gli occhi
e invidio agli altri le loro vite.
I versi me li ricordo a mente.
Oggi,
poi domani li dimentico.
Voglio che la loro vita sia breve,
come quella delle farfalle.
Se mi chiedi chi sono
o chi sono diventata,
io ti dico che sono seduta
su una panchina di legno
un attimo prima di…
Solo un attimo prima…
Qui il disco si interrompe
e resta solo un fruscio di note.
E Jones
mi dice: “Lascia perdere i sogni
e offrimi un bicchierino,
non offri mai niente tu,
ma cos’hai in quella testa… ecc… ecc…”
Mi addormento tra le sue chiacchiere e il suo
violino…
III.
Alla fiera di Paese.
Flotte di ragazzi della mia età
mostrano lucide fedi d’oro,
ventri in gravidanza
e per mano fidanzati e mariti.
Conosco tutti
ma non parlo quasi mai con nessuno.
So a memoria le loro conversazioni:
“Come va il lavoro?
e il fidanzato?”
Un reato non essere in
coppia,
come non avere una suocera vociante
che ti cammina accanto tra i banchi dei dolci.
Il segreto della Felicità
non è roba per me.
Me ne vado al parco.
Mi viene incontro un ufficiale tedesco in alta
uniforme.
Si ferma davanti a me e grida: “Aihl Hitler!”
col braccio teso rispondo allo stesso modo.
È Jones il Matto
che si mischia ai mortali.
“Sembrano piccole formiche indaffarate.”
“Odio la gente, ma voglio bene a tutti!” e ride.
“Hai scritto qualcosa di buono?”
“Roba da poco.”
Si allontana di schiena.
Il mio illustre amico Jones il Matto,
vestito da parata.
Siamo noi, gli ultimi Liberi.
(…)
Giudizio
Visionari alla Rimbaud, compassionevoli
alla De Andrè e duri alla Bukowski sono i versi di questa raccolta, che qualche
volta cade nelle troppe accuse e in qualche ingenuità. Ma si alza con lampi
lucidi e secchi, con grande forza. (Valerio Grutt)
Martina
Campi (Granarolo Emilia, BO)
con Un mucchietto in pianura
con Un mucchietto in pianura
Martina Campi
nasce a Verona nel 1978. Dal 1997 vive a Bologna, dove si laurea in Scienze
della Comunicazione. Suoi scritti si possono trovare in rete, su riviste e siti
di scrittura. Vincitrice del Premio Giorgi 2012 con la raccolta Estensioni del
tempo. Tra i poeti premiati con Segnalazione al Premio Montano 2012 per la
raccolta inedita La saggezza dei corpi.
Co-fondatrice del progetto di raccolta e autodiffusione di “cose belle”: Foglio d’aria: l’albero delle migrazioni.
Autrice e performer, insieme al compositore e musicista Mario Sboarina, del
progetto di musica e poesia Memorie dal SottoSuono da cui è nato anche il cd Mani e qualcos’altro.
I rivolti
Gli accordi possono essere disposti sul pentagramma non ponendo necessariamente la fondamentale come nota più bassa.
I rivolti, come già suggerisce la parola stessa, sono una tipologia di accordo che inverte l'ordine delle note all'interno dell'accordo stesso.
Il rivolto si chiama così proprio perché rivoltiamo l'ordine delle note che costituiscono un intervallo. Si tratta di un tessuto armonico uguale all'accordo maggiore o minore ma sonoricamente risulterà diverso
Qualsiasi intervallo diretto può avere un rivolto: questo si ottiene portando la nota inferiore all'ottava superiore o viceversa.
L'unisono rivoltato diventa una 8a o viceversa
L'intervallo di 2a rivoltato diventa di 7a
L'intervallo di 3a rivoltato diventa di 6a
L'intervallo di 4a rivoltato diventa di 5a
L'intervallo di 5a rivoltato diventa di 4a
L'intervallo di 6a rivoltato diventa di 3a
L'intervallo di 7a rivoltato diventa di 2a
Osservando lo schema è utile notare che la somma degli intervalli è sempre nove. Quando l'intervallo di partenza è maggiore, nel rivolto produce un intervallo minore. Quando, invece, è minore nel rivolto produce un intervallo maggiore. Quando è diminuito nel rivolto produce un intervallo eccedente mentre quando è eccedente produce un intervallo diminuito. Quando l'intervallo è giusto rimane tale anche nel rivolto. Questa simmetria vale anche per altri tipi di intervalli. (da Wikibooks)
***
Quel che si vede è lo scorrere a scossoni
improvvisi queste immagini di pianura in bianco
e inserti scuri come alberi, pilastri di ponti, edifici
vicini e più lontani. Acquedotti, cavi, semafori,
recinzioni, torri, uccelli in volo obliquo, rotaie, antenne.
Quel che si sente è un carico interno
come di accumuli pure visibili, ai lati della bocca.
E tutto sembra in qualche modo collegato, o solo
un tentativo di dare forma a questa sensazione che accade.
Del sentirsi rifiutati. Del sentirsi soli. Del sentirsi precari.
Dell’avere paura. È che a guardare bruciano gli occhi.
Il finestrino è una carta sottile.
***
Quello che accade è altrove.
I confini sono segni d’un irreale attorno.
Altrove anche il pensiero. Altrove l’esperienza.
Cosa è fermo, cosa no.
Tentativi d’addomesticarsi.
Cosa si tocca, cosa s’infrange.
***
Il termine dei viaggi
passa le notti sotto coltelli
maneggiati da bambini
ignari d’aver trovato
le origini del freddo
i termini per la fretta.
Il termine dei viaggi
passa le notti sotto coltelli
maneggiati da bambini
ignari d’aver trovato
le origini del freddo
i termini per la fretta.
(…)
Giudizi
Un poesia dolce e piena di dettagli, cade
in qualche gioco di parole e di forma ma arriva grazie allo sguardo accesso che
tocca la superficie e poi si lancia in profondità. (Valerio Grutt)
Poesia attraversata da inquietudine,
movimentata. Alcune vivide immagini. Tracciato gestuale. Buona consapevolezza
ritmica. (Roberta Bertozzi)
Il poeta si esercita tra poesia e musica con buoni risultati
sonori e tanta sperimentazione visiva. (Vincenzo D’Alessio)
Ivan
Braidot (Potenza Picena, MC) con Io, Achille
Ivan Norberto Braidot (Rosario, Argentina, 1986). Laureato in filosofia, vive tra l’Italia, in particolare le Marche luogo della sua formazione, e la Spagna.
1.
Un poco il vento férmano
i grandi capannoni –
io
Achille
tra le pedine il pasto
la tv sono una presenza straniera –
già mi penso un uomo nuovo –
ma poi lo intendo: sono anch’io tra quelli
che opinano –
che
dicono, che fanno
che poi affamati giungono a richiedere
“dimmi l’ignoto anche fallacemente”
e tu li nutri con le mollichine
come gli uccelli al parco –
tu
che sai
o certo credi di sapere – e stai
sicuro come l’uomo anziano al parco,
sulla panchina solatia, pascendo
i piccioni. Verrà la primavera –
questo so –
le
coscette affusolate
all’aura, i seni, le braccine ossute
staranno delle femmine accalcate
pure dove un muro ferma il vento fallacemente nell’inverno
e pare di sprecarsi tra i buffi o l’impotenza.
2.
Il picchetto
in un angolo, isolato e muto:
io
le mie dita gravi porto alle bende, alle tempie
pulsanti –
e
mi chiamano gli agenti dalle garitte umide
propinandomi i loro salsi aneddoti:
“Fu nel parcheggio,
tra madida ed inazzurrata la corriera
come una gatta agitandosi… Noi
vi sedevamo –
noi ci cullavamo
con gli occhi mezzo chiusi
sonnecchiando nel gelo dell’Aurora:
ed ecco una figura d’insegnante
alzarsi sulla prora –
tentare
una preghiera: e tutti tacquero.
E molto più la sua voce risuonava nel vano –
in
vano risuonava,
sola e incerta. Allora in quella mattina,
fendente l’aura azzurra, nel lieve gorgoglìo
s’udì una voce dall’ultima fila del bus,
il grido d’un anonimo compagno:
«Pregate, stronzi!»”
3.
PARIDE I
Dalla giostrina saliva una musica –
ragazzi
a bande, come Numi, stavano
a giro – il bimbo, femmineo, vedeva in certe facce
i segni d’una fiammea adolescenza: a lui, tutto era ignoto – saliva
piccolino sul piano rotante –
il
Babbo aveva lui nelle sue mani
ogni forza, pulsava nel suo cranio
ogni Parola sopra sorte e fati.
Ma poi il molle principino si scioglieva
in un pianto –
in
lagne o borbottii,
d’infante che non sa lasciare il gioco.
Così il Babbo diveniva ubbioso e scuro
perché si soperchiava una misura –
s’incrinava un principio di Giustizia.
Oggi di quei ragazzi in simulacri
oltre alle Leggi del padre, alle lacrime
acerbe e ai cieli lievi, rivede
i rosei visi – fino a che il ricordo
scema –
si rarefà si rarefà
o cade.
(…)
Giudizio
Non mi è chiaro quali siano, se realmente rintracciabili, il
punto di partenza e l’eventuale approdo di questa silloge. Della quale potrei,
da un certo punto di vista, ammettere di non aver “capito” nulla. Ciò che
colpisce è proprio quell’attenzione formale con cui le vicende, disancorate da
un’afferrabilità immediata, vengono esposte. Prendere sul serio il mito e
giocarci (parlando tra le righe –presuppongo- di un presente personale e
sociale) non è cosa da poco; o meglio è cosa più unica che rara nell’attuale
poesia italiana. Scongiurata la banalità, e svolto bene l’esercizio formale,
resta da capire qual era l’intento (se ce n’era uno), o godersi quello che non
c’è. (Giuseppe Carracchia)
Daniela
Monreale (Pian di Sco, AR)
con Ascoltare vento
con Ascoltare vento
Daniela Monreale è nata a Palermo nel 1963, vive in provincia
di Arezzo. Diplomata all'Accademia di Belle Arti del capoluogo siciliano, ha
conseguito la laurea in Scienze bibliche e teologiche presso la Facoltà valdese
di Teologia a Roma, con una tesi sul rapporto Bibbia-arte. Ha pubblicato vari
libri di poesia, tra cui Lo sguardo delle
cose (Nuova Editrice Magenta 2001), Quotidiano/Straordinario
(Delta3, 2002), Corpo a corpo
(insieme a Fabrizio Bianchi, Lietocollelibri 2003), L'attracco sulla luna (Edizioni Il Crocicchio-Inedition 2006), Gli occhiali di Spinoza (L’Arca Felice
2011), Analogico (Youcanprint 2013)
e partecipato a numerose antologie, tra cui Così
pregano i poeti (Edizioni San Paolo 2001), Nuove declinazioni. Aforismi (Joker 2005) Poesia Toscana del '900 (ill. di Aldo
Frangioni, Libro d'arte, Edizioni della Bezuga 2007), Poesia del Novecento in Toscana (Ed. Biblioteca Marucelliana 2009)
e Nuovi Salmi (Quaderni di CNTN
2012). Ha curato il volume Helle Busacca,
Poesie scelte (Ripostes 2002) e scritto il saggio teologico-letterario Nostalgia di Dio madre nel “pensiero
poetante” di Veniero Scarselli (Genesi 2012). Collabora ad alcune riviste
culturali, con recensioni e saggi critici.
Ascoltare vento/ ascoltare pioggia/ ascoltare sguardo muto dal
finestrino/ canzone ultima corona dell’amore/ e dirti il filo rosso che ricama
le cadute/ dirti gli eccessi e le ansie premature/ il finale della mossa non è
regina/ non è torre bastione muro dentato in cima/ fino a quando vivrò, vorrò
essere parola
***
vorrò tessere la ragnatela del mio dire/per catturare volti
dall’eco metropolitana/e voglio una parola che mi attraversi tutta/ che faccia
amore e condivisione/che faccia differenza/ prodigio e ribellione
***
come ogni mattina, la paura dell’infinito/ che ti inghiotte e
ti osserva/ che ti fa piccola in mezzo alla nebbia/che ti disarma e ti balla/
come fossi nell’acqua/ e l’attacco è nel guado tra l’auto e il binario/ divario
del viaggio/ cantilena del treno che pendola s’apparecchia il cervello che
mangio per colazione
***
quando sto bene leggo passioni nelle poesie altrui/fossero
grani di biancospino, di escolzia il sorso loro piacevole e caldo/ la salvezza è
piccola ti sfugge/ agguantala in corpo cinque/ la salvezza è bellezza dono coraggio/
il vecchio bene fuori di moda/ amo le cose d’antan
***
sognando aurore, se ne è andata metà della mia vita/ e guardo
città distratte, chiuse e incendiate/di finto amore ricostruite/umanità
imperfezione/si ama perché qualcuno vola dentro gli occhi di qualcuno
(…)
Giudizio
Nessun commento:
Posta un commento