lunedì 11 febbraio 2013

Ancora su Sequenza di dolore di Rosa Elisa Giangoia

Franco Casadei

Un libro denso e tenero (Rosa Elisa Giangoia, Sequenza di dolore, Fara Editore, pag. 60. Euro 13), che compendia la totalità dell’umano. La prefazione, di grandissimo spessore, è di Antonio Spadaro. La poetessa descrive – nei trentanove testi di questo libro – il tragitto della persona amata che si incammina verso la fine della vita (“La morte noi / l’abbiamo dovuta far entrare / in casa nostra un giorno / in cui si è presentata alla porta / per caso e all’improvviso / … ha tirato una tenda nera / tra la vita e il sogno del futuro”). La prima poesia – fra le più belle in assoluto – ci introduce dentro una storia d’amore iniziata in età matura (“… siamo entrati dalla porta della gioia / nella casa diventata nostra. / … le nostre vite / si sono incontrate tardi / e la mia trama e il tuo ordito / si sono intrecciati / in una tela già consumata / per una felicità troppo breve”) e ben presto destinata al dolore dell’addio. Il secondo testo, intriso di una pietà materna che fa riferimento ad un dipinto appeso alle pareti di casa, recita: “La Madonna Addolorata / sola nella sua desolazione / … ti avrebbe insegnato / la maniera umana di morire”. Un dolore composto, ma non meno lacerante, è la dominante dell’opera. Una sofferenza filtrata dal tentativo amorevole di affievolire la durezza dell’incombente destino (“… i nostri giorni / si sono vestiti di reticenza / attraverso le lacrime / atteggiate a sorriso scambievole”). Lo sconforto tuttavia non è disperante, tant’è che già dalle prime poesie leggiamo: “E hai iniziato ad aspettare / che si aprisse una porta / sperando che fosse luce”. E inevitabile il pensiero si fa memoria e ricordo delle cose intime e abituali del quotidiano (“e noi sapevamo di perdere il sapore / dei lamponi del nostro giardino, / irraggiungibile”) e preparazione all’ultimo saluto, come desiderio di un nuovo rito sponsale (“avrei voluto inventare / una nostra personale / cerimonia di congedo / nell’ansia che restasse / tra di noi qualcosa di non detto”). A Rosa Elisa Giangoia, nel suo cammino, poetico e umano, non resta che lo stare accanto: “per farti sperimentare l’amicizia / del morire accompagnato / ti ho potuto regalare / solo il mio accompagnamento… // … E rimase il dilemma se la morte / fosse fine o transito, / se facesse della vita / un cerchio o un arco / … con parole di fuoco / volevo insegnarti / la confidenza nella grazia / di essere iscritto nella memoria di Dio / per convincerti che niente è perduto”. In questo gioco di ragione, fede e sentimento, lo smarrimento e l’angoscia prendono talora il sopravvento: “e io chiedevo ancora un’ora / un giorno, un tempo sconosciuto / per una supposta compiutezza. // E intanto t’amavo per i giorni / in cui non ci saresti più stato”. Fino “all’ultimo mattino / … finché tu vedesti il ricapitolarsi / del tuo vivere nel suo perdersi / … e non mi restava / che il vivere nell’assenza”. E qui il salto dentro il più grande mistero dell’avventura umana: “Ma ora tu sei più avanti / … perché hai attraversato il filo della spada / e sai dove si va e che cosa c’è / oltre il suo taglio”. A questo punto il dolore non ha più argine: “ti sei portato via anche la mia vita / / … su questo palcoscenico mezzo smontato / che ormai è il mondo per me /… mentre una moltitudine / di pensieri variabili / si precipita nella mia notte / che volevo rimanesse con la tua / … E a me è rimasto il pianto / prima trattenuto / e poi accettato e goduto/ nel chiuso della stanza”. Ma l’amore è più grande dell’assenza e allora fioriscono versi delicati e pieni di dolcezza: “Non è la morte che separa davvero / se almeno tu ora / vedi nel mio cuore”. E pieni di fiducia del reincontro: “quando ti ritroverò / nel giorno della resurrezione / … saremo rivestiti d’immortalità / … forse ti riconoscerò solo dal brillìo / dei tuoi occhi verdi / per quel tuo timido sorridermi”. E i bellissimi e intensi versi finali, che esplodono con la forza dell’amore degli inizi, amore che, si è certi, sarà ricomposto: “ consola sentire che le parole più belle / ancora ce le dobbiamo dire. /… La mia riconoscenza infinita / per essere stato per me. // A dirti il mio grazie / ci sarà sempre una rosa / per te”. Un libro d’amore, quello della Giangoia, che commuove, ma che riempie anche il cuore di fiducia. Un libro coraggioso, di un’autrice che non ha temuto di comunicare le sue fragilità, ma soprattutto il suo credito nei confronti della vita. Un messaggio a chi giudica che la poesia contemporanea sia astratta e fuori dalla vita. Con un linguaggio elegante, ma estremamente fruibile. Un bel regalo alla poesia e ai suoi lettori.

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