martedì 20 novembre 2012

Su L'inventario dell'uomo solo di Luca Artioli

«Coincidenze» 41, Edizioni L'Arca Felice, Salerno, 2012

nota di lettura di AR

Questa straordinaria, lo diciamo subito, plaquette di Luca Artioli propone 15 poesie distinte da numeri romani e una bella tavola fuoritesto dell'artitsta Bruno Conte (parzialmente riprodotta in b/n in copertina) e altre grafiche-collages dello stesso inserite nel testo.
La silloge si apre con questi versi: «“Umanità”, parola senza / significato plurale. / Siamo solo “uno”, individuo / mai indeterminato, còlto / da frattura divina, come / incrinatura dell'Essere» (I). Già questo incipit dà il tono, direi tragico, all'opera: in effetti il Nostro si immedesima nel nichilismo di Cioran, probabilmente anche a partire da un vissuto personale non facile. Adottando la prospettiva sconsolata e pessimista dell'autore franco-rumeno, Artioli riesce a distaccarsi dallo sguardo disperato di Cioran e a creare versi con un effetto straniante di grande presa, perché queste intensissime poesie sottendono, alla descrizione algida e precisa della condizione umana, un approccio in fondo (magari molto in fondo) empatico, rivelato da tratti di ironia afratellante non priva di un pizzico di ponderata speranza. Consieriamo, ad esempio, questi versi: «e si vive come se mai / si dovesse ancora vivere, / come se l'andare avanti / all'infinito non fosse avvenire, / ma soltanto “un adesso” spogliato / nel suo onnipresente delirio» (III); «Sarà così presto abolito l'uso / delle gambe per decreto, / perché non sia il suolo la scusa / – il suo magnetico contatto – / a tenerci divisi dal Cielo» (V); «È così che fu presto amore: / il sopravvalutarsi per rimedio / nel tacito patto fra due infelici» (VIII).
Se la Libertà «ci esercita alla rinuncia / alla nullitudine, al non essere» (X), se il sano «tocca con mano l'insignificanza / d'esistere e del poco trasmettere» (XI), se «È la solitudine il vero terrore, / che venga nel passo largo / della vita o nella spina sofferta, / perché ci rammenta la vertigine / e con essa il punto, l'implacabile resa» (XII), se gli uomini sono «caduti nel tempo / – con il suo ripetuto travaglio di cellule – / ciascuno certo di sé, ciascuno / nella sua parte…» (XV), ecco nonostante tutte queste limitanti “condizioni” che riflettono il pensiro di Cioran, notiamo in Artioli i toni di un sorriso addolcito e discreto nei confronti di un approccio meramente immanentista alla realtà. Come osserva in Prefazione Mario Fresa: «il disperato nihilismo della “voce narrante” non registra il pensiero, né la personale posizione dell'autore. Questi si mostra, invece, come lucido e distante testimone-spettatore». Sì, questi sono versi lucidi, taglienti, inquietanti… eppure vediamo che il Nostro emana dagli occhi un lampo provocante e sornione al contempo, un lampo che mette in discussione tutto: certo la vita è tragica, assurda, ma…  

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