Edizioni Lepisma, 2011
recensione di Vincenzo D'Alessio
La casa, scelta dal poeta Dante Maffia per ambientarvi la sua
raccolta di versi, è
in una “posizione magnifica”, tanto in alto che il vento trasporta
“risonanze sconfortanti / e insinuava brutte reminiscenze” (pag. 31). Un cubo di
cemento disposto in città, dove “una marea d’abitudini buffe, / un indaffarato
via vai di gente” si alterna al “silenzio, chiuso / nel buio di significati
inesplosi” (pag. 31). I versi contenuti in questa raccolta si posizionano in
punti cardinali che guidano il lettore da Nord a Sud, e viceversa, in un
viaggio senza tempo dove le metafore, le anafore, l’enjambment, l’onomatopea (lo scrocchiare, pag. 43), il
racconto, reggono la parola come travi di quella casa per svelare le ragnatele, i tarli, la polvere che la memoria ha
disseminato.
“Tu non ricordi la casa di questa / mia
sera. Ed io non so chi va e chi resta” (E. Montale, La casa dei doganieri)
Come nei versi del Nobel Montale,
così nei versi di Maffia i ricordi abitano “la cecità”, la dimenticanza
involontaria, predestinata dal perturbante alla familiarità del passato, per
non soffocare il presente in quel “ dolore molto particolare / che nasce dai
ricordi” (pag. 46). Tutto il passato sembra morto quando il quotidiano ci
addenta come “Una muta di cani / (che) sopraggiunge abbaiando / nella piazza
del mercato” (pag. 11). L’Io poetico sceglie involontarie presenze amiche, anche
negli oggetti ritrovati in soffitta, per narrare quanto dura possa essere la
cecità di quei luoghi della memoria, di quei lunghi istanti di vita, che
appaiono e scompaiono come nelle vecchie foto dagherrotipo o come nella
pellicola del film di Federico Fellini Amarcord.
Il Nostro però cerca il dialogo con il
lettore e lo fa lasciando agli oggetti, come la rivista di moda “Marie Claire”,
a B. Bardot; nelle lacche da grammofono con il simbolo del cane targate “La Voce
del Padrone”; alla Barbie; alla poesia olfattiva come nei poeti futuristi: “una
chewing-gum (…) / ma non puzza”. E ancora: “Oppure c’è una ragione occulta /
che delinea il superfluo e ne fa aromi / per purificare le ragioni del diluvio
annunciato” (pag. 45), il compito di far cadere dagli occhi le squame di quella
cecità che cela il percorso verso “l’infanzia accucciata”. Non è nostalgia,
non è rimozione, ma volontario ritrovarsi con un mondo oggi lontanissimo
“motivi trapassati”, di appena mezzo secolo fa. La seconda parte del nostro
Novecento, quello del “non chiederci la parola “ di Eugenio Montale, ripreso
nell’esclamazione di Maffia: “Povero Montale ! Credeva che le parole / avessero
la filigrana come quella / della carta moneta” (pag. 42.) Oggi divenuta pura
realtà.
La chiave per aprire la porta della casa
dove abita, in penombra, “ma era così bello vederlo felice” (pag. 27); “non
farlo sconfinare nella gioia” (pag. 29); “in totale allegria” (pag. 38); “mette
allegria” (pag. 40); “La felicità arrivò come un tuono” (pag. 43); è la magmatica
ricerca di un approdo al lunghissimo viaggio nella memoria dove il poeta,
trasporta il lettore, indicandogli la valenza della parola e il fondamento
della realtà: “Qui il passato non è dimenticanza, / ma docile danza d’un domani
/ che esiste ma non s’avvererà” (pag. 45).
Così prendono forma, di rimando, tutti i
richiami al passato come gli scrosci della pioggia, goccia dopo goccia, sulle
tegole della casa abitata: “Il Pollino”, montagna nell’Appennino calabro
lucano; “il senale”, conosciuto anche come “mantisino” o grembiule; il “Ciuto”,
che sarebbe nel dialetto calabrese
“lo scemo del paese”; la città di Sapri, nel Cilento, con la sua spigolatrice
ricordata nella poesia di Segantini; le famiglie contadine colme di figli e di
abitudini oggi “barbare” ma allora consuete di fare i propri bisogni
nell’orinale e il lavarsi nell’unica acqua messa scaldare sopra al fuoco
dell’antica cucina in muratura; le città di Napoli, Barletta, il servizio militare affiancato al “Deserto
dei tartari” di Dino Buzzatti; insomma tutta la magnificenza di quella
“meridianità” che Franco Cassano delinea nel suo ottimo lavoro critico: Il
pensiero meridiano (2010).
La raccolta è divisa
in sette sezioni. Il numero sette compare ancora nella poesia Promiscuità (pag. 37), a
simboleggiare la cifra apotropaica scelta dal Nostro per sviluppare un poema
nella raccolta e affidare a questa cifra un significato nascosto. Un viaggio
nella nostra storia. Un ritorno, ai paesi che appartengono all’anima; alle case che non tutti vedono, che “avevano i muri
scalcinati / sui quali si potevano leggere / ancora le scritte delle campagne
elettorali” (pag. 35).
1 commento:
Caro Vincenzo,
che dirti se non un semplice grazie ma con il cuore e con l'anima,
lo stesso cuore e la stessa anima che hai messo nel tuo scritto
che mi ha commosso per la sua profondità e la sua bellezza?
Ti sono molto grato e spero che prima o poi venga l'occasione per dimostrartelo concretamente.
Ancora grazie.
Ciao.
Dante.
Posta un commento