di Vincenzo D'Alessio
Lunedì 30 aprile, alle 17,30, a Nusco, nel Palazzo di Città, sarà presentata al pubblico la monografia curata dal professore Paolo Saggese, dal titolo: Giuseppe Iuliano. Testimone di poesia e libertà. Un munus amicitiae per i suoi sessant’anni, edizione Delta3, 2011. Il libro ha visto la luce in occasione del compimento dei sessant’anni del poeta.
A presentarlo al pubblico saranno i seguenti relatori: Giuseppe Liuccio, poeta; Alessandro di Napoli, poeta; Aldo de Francesco, giornalista; Mario Trufelli, giornalista e il chiarissimo professore Francesco D’Episcopo delle Università di Napoli e Campobasso. Schiera nutrita di estimatori della poetica di Iuliano.
Giuseppe Iuliano è un poeta irpino che, oggi, si affianca ai nomi eccellenti della generazione che ha vissuto il proprio impegno tra la ripresa dopo la Seconda Guerra Mondiale e la frattura del terremoto del 23 novembre 1980. Voce di un coro composto da grandi Autori e critici letterari: Dante della Terza, Ugo Piscopo, Antonio La Penna, Pasquale Martiniello, Salvatore Salvatore, Domenico Cipriano, Franca Molinaro, Antonietta Gnerre, Emilia Dente, e tanti altri.
La prima raccolta poetica, Malinconia della terra, vede la luce nel 1976. Seguono altre quattordici raccolte comprese nell’arco dell’ultimo ventennio del XX secolo. Nel volume che sarà presentato il prossimo 30 aprile, una nota di particolare ascendenza con i forti contenuti “irpini” dei versi del Nostro, è quella del grande giornalista Franco Scandone. Quest’ultimo, nell’analizzare la raccolta di Iuliano Una misura di sale (1983), scrive testualmente (cfr. I “giambi contadini” di Giuseppe Iuliano, nel quotidiano “Il Mattino”, del 24 maggio 1985): “Trasale una logica esistenziale, nel soffio di un’inquietudine rappresa, di un pathos che non è il lamento anonimo di un coro negli squarci improvvisi di questi giambi contadini: Una croce in pietra / è il segno distintivo / il blasone antico / il nome di paese / il tuo confine.” (pag. 33 del libro)
Il verso giambico di Iuliano è il risultato di quel pathos antico che pervade le anime che abitano la terra irpina, il Sud: martellato dai demoni sotterranei e violentato dai demoni politici di superficie. Contro queste forze esogene ed endogene si schierano i versi delle raccolte poetiche del nuscano Peppino. Però il vero gioiello della produzione letteraria del Nostro è senza dubbio il volume: La civiltà contadina in Iprinia (Nusco, 1982), realizzato a ridosso del dramma del terremoto del 23 novembre 1980, quando ognuno di noi, testimone, si è sentito mancare la terra sotto i piedi.
Il volume, ricco di foto antiche, nasce dalla consapevolezza che il dramma generato dal terremoto, forza incontrollabile che ritorna a martoriare inaspettata le nostre realtà urbane, avrebbe cancellato per sempre quelle radici contadine, cantate nei suoi versi, per staccare le nuove generazioni da una terra vista come nemica e arida di speranze. Per Peppino Iuliano non è così. La terra irpina, e per metafora quella dell’intero azzurro pianeta che abitiamo, resta la Mater Matuta, la Demetra, che vede ritornate la propria figlia nei germogli di ogni Primavera. Allo stesso modo, il poeta nuscano, vede le generazioni della propria realtà scomparire nel ventre nebbioso delle regioni del Nord della penisola e rivendica il diritto di testimone di quelle tradizioni, scomparse troppo in fretta, che hanno affaticato, ma anche sfamato, generazioni di uomini.
Il volume è un complesso atto d’amore per la propria terra e per le giovani generazioni, alla luce delle false promesse che l’ideologia industriale andava seminando sulle colline dell’Alta Irpinia e che fallivano, anno dopo anno, con la chiusura delle fabbriche fondate dal Nord. La vera forza era nella capacità imprenditoriale irpina, massacrata dai politici, per fare spazio alle idee che provenivano dall’esterno e non nascevano dalla coscienza di un popolo che Pietro Paolo Parzanese definiva “i vecchi padri come rocce immote, / offersser petto a libertà devoti.” (L’Irpinia).
Sarà un buon giorno, questo 30 aprile, per incontrare una limpida voce poetica della verde Irpinia.
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