venerdì 20 gennaio 2012

Su Mi vestirei di mare di Carla De Angelis



recensione di Narda Fattori

Carla De Angelis non è nuova alla poesia: ha già pubblicato  raccolte che hanno riscosso il successo dei lettori e di critici attenti, magari esterni a quel ristretto gruppo che decide chi è poeta e chi è scribacchino.
Personalmente considero Carla una poetessa autentica nell’ispirazione, nel contenuto, nell’uso del linguaggio terso e denso, chiaro e di spessa profondità.
Questo libretto raccoglie alcune poesie già uscite precedentemente in Salutami il mare e a A dieci minuti da Urano e alcuni inediti.
Il mare ritorna nelle poesie di Carla come movimento inquieto che però quasi sempre si riesce a dominare. È come fermo immagine dell’esistenza che, metaforizzata, come l’acqua se immobile si fa stagno, se docile al movimento ondoso trova una riva, e anche una facilitazione a raggiungerla.
Ma non sempre l’onda è domabile con le nostre scarse forze, eppure occorre cavalcarla per non essere sopraffatti. Il mare è anche la grande quieta distesa che rimanda a altri orizzonti, ad altre possibili percorsi, a mete non percepibili, eppure immaginate. E la realtà del sogni non è meno vera di quella che quotidianamente affrontiamo.
Carla è donna di grande forza, e da questa riva guarda, ben salda sull’instabilità della rena e del tempo, con sguardo sereno e fermo, decisa a non farsi travolgere ma a donarsi, ad immergersi fino al limite della sopravvivenza. Essa possiede la lucidità per avere chiara la consapevolezza che le è stato richiesto un surplus di energia, di amore, di pazienza. Non se ne lamenta, sono il suo tratto distintivo, la individuano e la cesellano e spesso lo scalpello che incide duole.
Della figlia,  amatissima, dice: “Non chiedetemi / gli anni che ha / Ha gli anni / del tempo / che vive.”   Non credo che vi sia un amore più oblativo di questo.
A conferma delle mie osservazioni sopra riferite dice Carla: “Temo la vita senza emozioni / abiti da comprare / alberi da curare / stoviglie nuove tappeti / tappeti da dipingere/ appetiti di tavole imbandite / desideri da fantasticare / Temo di più la vita / Senza il buio della notte / Senza amore da giocare / che la morte.”
Nitore, ribadisco, chiarezza, consapevolezza: la poesia di Carla non ha fronzoli, non si dilunga in giochi di bella scrittura retorica; essa è contratta sul nocciolo, sfrondata da ogni eccesso, non apodittica ma essenziale: dice quanto basta e quanto serve; ogni parola in più, ogni parola in meno, la renderebbe meno efficace.
E non trascura nulla: nelle sue poesie troviamo il compagno e l’amore, la figlia, la solitudine e la paura, l’apprezzamento per le minutaglie del quotidiano che proclamano la loro e la nostra vita:        “… / Un gatto fermo sulla soglia/ fingo di non vederlo / Mi vuole appartenere / È il primo quadro che appendo.”
Di nuovo l’oblatività, il non sapersi negare alla vita e anche il non volersi negare: da questi atteggiamenti nascono la grande forza di Carla e i suoi timori a tenere sempre dritta la barra del timone anche quando il mare si fa grosso.
Ripeto che siamo di fronte ad una piccola raccolta antologica con testi inediti; nel corso del libretto non è contrassegnato il libro di provenienza e neppure la data in cui sono state stilate, eppure, leggendo tutte le poesie, non si avverte nessun processo di mutazione, né metrica, né ritmica, né di spessore esperienziale. La De Angelis è arrivata al verso e alla poesia con il pieno possesso del bagaglio che serve al poeta e che è costituito da ben poche cose: parole, vissuti, sensibilità, un po’ di spudoratezza per osare mettere a nudo percezioni intime, senso del giusto accordo.
Elencato così questo bagaglio sembra ben poca cosa, ma è dall’accostamento di ogni elemento che fa un poeta e che lo distingue dagli altri.
La poesia di Carla è ben distinta, signoreggia sul ciarpame del dire quotidiano perché non teme di dare a quelle stesse parole, una nuova nascita; ma la poesia, in fondo, è un atto di creazione, di ri-creazione.

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