giovedì 22 dicembre 2011

Carmelo Lauretta

di Marco Scalabrino


Maestro e amico, autore e persona dalle rare qualità, decano fra i poeti dialettali siciliani, Carmelo Lauretta nasce a Comiso (RG) nel 1914.
Laureato all’Università Cattolica di Milano nel 1939, docente per quarant’anni di Lettere in Istituti Statali, è stato dopo la Liberazione vicesindaco della sua città, nonché negli anni Cinquanta il primo presidente delle municipali ACLI.
Collaboratore del Vocabolario Siciliano di Giorgio Piccitto, a cura del Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani, del quotidiano la sicilia, dei periodici giornale di poesia siciliana di Palermo, arte e folklore di sicilia di Catania, dialogo di Modica (RG) e di altri giornali nazionali e locali, ha pubblicato poesia, prosa e saggistica, sin dal 1938.
Sue liriche sono state tradotte in greco da Kostas Stamatis, in sloveno da Vinko Velicic, in inglese da Alessandro Caldiero, in francese da Mazambi K. Makila, in tedesco da Robert Grabski, in giapponese da Gjosho Morishita e in russo da Tatiana Antonova.
Privilegeremo in questa sede, giacché ciò ci preme, la sua prolifica produzione in dialetto, dando spazio, per ciascun lavoro, ad alcune delle tante voci che del Nostro si sono occupate.

Il suo primo titolo in dialetto, A cori apertu, è del 1981. Giorgio Piccitto considera: “Carmelo Lauretta mi ha interessato per la sua ricerca di un linguaggio nutrito di intimi succhi dialettali. Ha il gusto e il senso della lingua e mostra di conoscere in modo eccezionale il suo dialetto”. E Antonio Fjrigos osserva: “Straordinaria è la sua capacità di cogliere la quotidianità e renderla, tramite versi disadorni da ogni enfasi, fonte di squisita umanità e di impareggiabile dolcezza”;          
Pani schittu è del 1982. Salvatore Di Marco nella sua recensione sostiene: “Colpiscono tre aspetti di questo libro. In primo luogo il linguaggio: Lauretta propone un dialetto d’indubbia radice ragusana, ma arricchito di neologismi della vita di oggi. In secondo luogo, la capacità del poeta di collegarsi ai temi della quotidianità. E infine, un forte senso della natura e dell’uomo come risorse perenni, in alternativa alla disumanizzazione tecnologica di quest’era”;
A provocazioni esce nel 1984. “Il Lauretta – commenta Maria Sciavarrello – fa piazza pulita di forme e di atteggiamenti della poesia enfatica e parnassiana, vivendo le sue immagini in modo aderente al suo pensiero e alle sue emozioni”. E Rino Giacone: “Lauretta appartiene a quella poco numerosa famiglia di poeti che, pur forti di una cultura umanistica, non si sono lasciati condizionare da essa, ma hanno cercato nuove strade per una poesia più aderente alla realtà che viviamo”;  
Il 1986 è l’anno di La casa di tutti e della svolta. “Con La casa di tutti – asserisce Salvatore Camilleri sul MANIFESTO della nuova poesia siciliana, edito in Catania nel 1989 – Carmelo Lauretta abbandona definitivamente la grafia della Contea di Modica per quella più coerente della koiné linguistica siciliana”. “La casa di tutti – precisa lo stesso Carmelo Lauretta – voli diri tri cosi: Primu: La casa di tutti è la poesia; secunnu: La casa di tutti è lu duluri; terzu: La casa di tutti è la morti. Iu, però, dicu ca unu e unu sulu è lu patruni di La casa di tutti: l’amuri”;
Na rimpatriata segna l’anno 1989. Carmelo Depetro nella sua recensione attesta: “La tonalità umana di bonomia e di celia accompagna la raccolta. C’è una nota costante di rimpianto per un mondo in cui le persone si contentavano di poco, erano semplici e sincere, pur con le loro manie in fondo perdonabili. Al centro di tutto la funzione del dialetto, sradicato dal peso idiomatico, per renderlo più comprensivo e comprensibile”;
Il 1990 si apre con Acqua di lu Giordanu. “Lauretta – afferma Domenico Pisana – dà alla sua esperienza religiosa la massima estensione, trovando nel Nuovo Testamento i motivi ispiratori per un’ideazione lirica condotta con la sensibilità e il trasporto di chi si accosta al Testo Sacro per educare lineamenti di contenuto poetico-religioso attraverso i riferimenti specifici a personaggi del Vangelo”;
Nel 1992 è la volta di Pani di casa. Salvatore Di Marco così lo recensisce: “È una raccolta di novelle dialettali legate a storie e personaggi di paese che il Lauretta trascrive dipanandole dal filo lungo della memoria. Umorismo sottile, malinconie, ricordi, astuzie e semplicità d’animo, saggezza popolana, ne sono le caratteristiche. Dal loro insieme viene fuori uno scenario nel quale rivive la storia di una comunità dove i sapori sono, appunto, quelli del pane di casa”;  
Oasi di Sion vede la luce nel 1993. “Le poesie di Carmelo Lauretta raccolte con il titolo di Oasi di Sion – assevera Paolo Liggeri – producono in chi legge il sollievo e il ristoro del verde ombroso, della fioritura incantevole, dell’acqua sorgiva e limpida che l’oasi del deserto offre al viandante”. E Giacomo Ferro aggiunge: “Carmelo Lauretta suggerisce traguardi sicuri di fede dove tutto si tinge di luce e di pace. Poesia aperta ai drammi del nostro tempo di cui l’autore si avvale per indicare “oasi” d’amore alla luce del Vangelo, àncora di salvezza per questi uomini di oggi, soli e smaniosi di successo facile. Il dialetto siciliano brilla di immagini fascinose e ricche di conforto”;
Prigionieru di l’Angili è del 1995. “Ogni componimento poetico di Carmelo Lauretta – enuncia Giorgio Battaglia – è una totalità in sé, in cui la realtà e la vita individuale vanno verso la realtà e la vita universale. Non dunque il particolare accende la fantasia e il cuore di Carmelo Lauretta, ma l’universale: l’universale visto come qualcosa che è sostanza e fondamento del reale”;
Pani di cumpagnia, del 1998, chiude gli anni Novanta. “Nei suoi racconti – testimonia Gesualdo Bufalino, suo illustre concittadino – Carmelo Lauretta si cala, da maestro, nella mentalità popolare e ne trascrive riflessi religiosi, momenti topici, aspetti affettivi, risvolti sociali, dando ricchezza e prestigio alla prosa dialettale siciliana. I personaggi si fondono tutti in una raffigurazione-affresco della quotidianità della vita, in cui tutto è concretizzato nel carisma di una prosa dialettale alimentata da pietà per il destino delle vicende umane”;
Il 2000 esordisce con ‘A vita agghiorna. “Le favole di Lauretta – ribadisce Gesualdo Bufalino – coniugano, come d’incanto, la fresca naturalezza del linguaggio gergale con le celiose valenze della paremiologia popolare, senza logomachie moralistiche”;
Ventu di lu Golgota è datato 2001. Riporto dal commento scritto a quattro mani da Maria Pia Virgilio e da me: “L’aspetto saliente di questa nuova silloge di Carmelo Lauretta sta nell’estendere oltre ogni precedente misura l’ambito degli exempla spirituali, nel dare una connotazione universale al proprio credere. I motivi ispiratori del progetto della Trilogia che, dopo ACQUA DI LU GIORDANU e OASI DI SION, con VENTU DI LU GOLGOTA si perfeziona, scaturiscono dall’intento di pervenire alla propria e all’altrui salvezza. Salvezza da conseguire col testimoniare la propria fede anche attraverso la Poesia, mezzo che gli è congeniale; col partecipare – specie in questi tempi così difficili – la propria vocazione alla pace, che è umana e cristiana al contempo; con l’esortare, quanti da tutto ciò sono distanti, a coltivare l’aspirazione ad una dimensione più “alta” del proprio vivere. Gli effetti per il dialetto siciliano sono di notevole portata. Questo difatti viene catapultato in un palcoscenico globale vieppiù dimostrando – ove ve ne fosse ancora bisogno – di essere in grado di districarsi su ogni argomento, in ogni circostanza, di sapersi spingere verso latitudini e longitudini di pensiero inesplorate, di potere affrontare ogni contenuto e non già – come in taluni circuiti si sosterrebbe – doversi relegare agli aspetti del folklore, ai temi della tradizione, alla iconografia della terra di Sicilia nel suo eterno, sofferto sopravvivere. Egli ci parla senza perifrasi, in un idioma da presa diretta – immediato, intenso, attuale – di lebbra, di donne martiri, di fame che ammazza … In buona sostanza, si e ci proietta dalla terra … al cielo”;
A colpu sicuru è del 2002. “Le piante e gli animali – avvalora Saverio Saluzzi – sono i protagonisti delle favole, e ciò non per ossequio alla tradizione, ma per espressione del suo clima umano e del suo respiro affettivo. Egli è nella libertà di quei caratteri, nella spontaneità di quegli ambienti, negli equilibri di quelle lingue”;
L’anno 2004 genera ‘A goccia d’oru. “‘A goccia d’oru – stende in prefazione Giulio Raboni – orbita tutto nel volontario appropriarsi del dolore umano e tradurlo in cifra di sollievo e di purificante solidarietà. Ne è incipit fondante una vicenda biografica (quella del milanese Marcello Candia, che all’età di 45 anni vende ogni suo bene e si trasferisce a Macapà, in Brasile, per costruirvi un ospedale ove curare i lebbrosi di quella poverissima regione). Il vissuto del protagonista è ricondotto alle coordinate evangeliche con semplicità e spontaneità meditativa”;
A colpi cuntati è del 2005. Nella prefazione che egli stesso ha stilato, Carmelo Lauretta ci fornisce la genesi dei versi di questa sua raccolta: la frequentazione e l’affinità col genere letterario dell’epigramma, l’esercizio dei classici, in particolare Marziale e l’Antologia Palatina. Dalla recensione curata da Maria Pia Virgilio e da me leggo: “L’universo floreale metafora del consesso sociale umano! Come non riconoscere infatti, nel variegato mondo dei fiori e nelle loro vicissitudini, i caratteri, le cornici socio-ambientali, le vicende delle “umane genti”? I parallelismi tra i due “regni”, gli itinerari esistenziali che li raccordano sono tanti e altrettanti gli esempi che suffragano la pregnanza della dichiarazione. Fanno parte del bagaglio d’attenzione temi quali: l’aborto, l’assenza delle persone amate, la mafia; ma ricorrenti sono pure i quadri che attengono alla precarietà della vita, alla delicatezza dell’amore, alla compassione, alla speranza. In tutto ciò la Poesia, fregiata di semplicità di immagini e fresca di arguzia evocativa, fluisce genuina nella partecipazione lirico-semantica al nostro dialetto, e realizza un felice equilibrio tra la tensione sentimentale e l’attinenza alle tematiche trattate, fra le quali, preminente, quella religiosa. Nell’ultimo verso del testo “A cardedda di la pruvidenza”, a tutte lettere maiuscole Carmelo Lauretta scrive il nome di Dio: ‘A pruvidenza di Diu è granni. Quasi JHWH, il tetragramma sacro ebraico per Jahvè. Ancora una volta il Nostro prende lo spunto dalle cose del mondo giusto per staccarsene e librarsi verso quella dimensione spirituale che ne contraddistingue l’esperienza d’uomo e lo spessore d’artista”;
Lu suli ammucciatu, tre volumi di favole, è datato 2005. Traggo dalla mia recensione: “Puntiamo la nostra attenzione su tre degli elementi che costituiscono la fattispecie del trittico laurettano: i temi, i protagonisti (animali e piante), il lessico. A che pro? Allo scopo, sceverando tali registri del dettato di Carmelo Lauretta, di riaffermare l’immensa dovizia lessicale del nostro dialetto, le rimarchevoli sue suggestioni sintattiche, l’attitudine – nella testa esso, nel cuore e nelle mani di un nobile esperto regista quale il Nostro è – a contemperare liricamente i suoi preziosi, antichi fasti alle grinze drammatiche del nostro amaro, odierno vivere”;  
Con Prestu prestu scurau siamo al 2006. “È la trasfigurazione poetica – annota Giuliano Frattini – di eventi che hanno oscurato di angoscia il cielo del terzo millennio. Quanto di terrificante è accaduto ha trovato la sua connotazione lirica nella scrittura ritmata da brucianti immagini, da perplessità meditativa, da linguaggio libero da inondazioni aggettivali e da usurati sintagmi”;             
Chisti cu l’autri risale al 2007. Dichiara il medesimo Lauretta: “Questi racconti appartengono alla stessa famiglia degli altri: Na rimpatriata, Pani di casa, Pani di cumpagnia. Sono della stessa pasta, hanno la stessa natura e hanno preso lo spunto della narrazione andando dietro la vita della gente, lungo il paese. Sono come i figli dei tre libri che ho citato”;
Ju e l’amicu silenziu è il titolo del 2008. Maria Pia Virgilio e io ne abbiamo scritto: “Lu silenziu è la patria di la poesia, sostenne Charles Baudelaire, e Carmelo Lauretta, il quale nella quiete della sua compagnia ha percorso tutta la strata râ vita, ha fatto sua tale asserzione e lo ha eletto a titolo della crestomazia. Posto questo ideale triangolo equilatero – la Poesia al vertice, il Silenzio e il Nostro agli angoli di base – registriamo in apertura la sua amicizia cu la poesia. Apprendiamo inoltre che entrambi abitano nni la stissa strata e addirittura idda la porta di supra e lui nni chidda di sutta e che, in virtù del loro rapporto, allorché lei lo riceve mi abbrazza e mi vasa … mi porta a vidiri lu cielu … mi metti nni li manu di l’Eternu. L’ultimo verso della silloge, contenuto nel testo “Chiddu ca cunta”, recita: pi spalancari li porti di lu cielu. E giusto dal verso pi spalancari li porti di lu cielu scaturisce una ultima interessante notazione: la struttura anulare dell’opera. Se facciamo un passo indietro, al primo testo osserviamo infatti che si fa riferimento ad un’altra porta: quella della poesia. Il poeta, dunque, e il credente, ambedue cercano l’ingresso alla propria via, gioia, pace.”
Del 2009, Nun mi nni pentu, titolo, precisa lo stesso Carmelo Lauretta, che “si riferisce a tutto quello che ho strappato dal cuore nella vita.”
Per ultimo, ancora del 2009, U maratoneta di Diu vinutu di luntanu. “È la conferma – scrive Domenico Pisana – del suo pathos religioso trasfigurato in stilemi lirici e che ha nell’icona di Papa  Giovanni Paolo II un riferimento di ideazione rapsodica. Teologicamente rilevanti appaiono i versi che riprendono le parole pronunciate dal Pontefice in occasione della sua elezione: Nun v’aviti a scantari mai. Abbarricati i porti a Cristu.”

Ciò detto succintamente del poeta, avvertiamo che Carmelo Lauretta, scomparso nel 2011, è stato altresì apprezzato saggista. Ha scritto, fra gli altri, su Pietro Tamburello, il quale lo ha messo a fronte dei problemi connessi al rinnovamento della scrittura della poesia, ai rapporti tra questo e la tradizione siciliana, alla concezione che la poesia dovesse essere impegno di penetrazione e di scavo interiore e poggiare sulla capacità di una continua auto-analisi stilistica e, quanto al Dialetto, il suo pezzo IL CAOS VERNACOLARE, pubblicato sul numero di Aprile 1990 del giornale di poesia siciliana, ce ne partecipa a chiare lettere il pensiero: “La poesia dialettale non può più essere improvvisatamente arcadica, compiaciuto riciclaggio di cadenze foniche, formulario di comodo gergale ricercato deliberatamente per varcare le soglie del Parnaso, ma impegno di strutture nuove e di prosodia rinnovata ab intus con valenze evocative e simboliche. Si sente il bisogno di un ordine di scrittura, di una convergenza di impiego di elementari monemi di collegamento. Non si vuole che si snaturi l’anima del vernacolo, né che si alterino le sue peculiarità gergali, né che si stabiliscano aree egemoni di asservimento; si vuole la fine di un’innocente anarchia, si vuole sollecitare la ricerca di una soluzione che porti ad una convivenza ortografica unitaria dei vernacoli e alla loro compresenza nella realizzazione della lingua siciliana.”

Numerosi sono stati, nel tempo, i premi, le gratificazioni, i riconoscimenti.
Nel 1987, è stato tra i ventisei autori, in Italiano e in Dialetto, inseriti nella antologia poeti contemporanei della provincia di ragusa, a cura di Emanuele Schembari, che di lui riferisce: “Carmelo Lauretta, uomo di notevole spessore culturale e di straordinario acume critico, riesce, in poesia, a diventare estremamente semplice e comunicativo, anche se, dalle sue liriche, traspare impegno etico e costante partecipazione alla vita, con adesione totale a propri motivi interiori. È esemplare la modernità del verso senza rime e l’accuratezza della trascrizione del dialetto, in componimenti che condensano significati profondi, dove la serenità del tono non riesce a nascondere una sorta di dolore ontologico, un’umanissima pena del vivere, che è la vera matrice dell’esperienza e della personalità del poeta.”
E ancora, Carmelo Lauretta è stato tra gli oltre venti poeti provenienti da tutte e nove le province dell’Isola presenti al Primo Convegno Regionale di Poesia Dialettale Siciliana svoltosi a Barcellona Pozzo di Gotto nei giorni 29 e 30 Ottobre 1988, organizzato dalla Corda Fratres, che ha visto tra i relatori Natale Tedesco, Lucrezia Lorenzini, Nicola Mineo, Salvatore Di Marco.
E per venire ai giorni nostri, Carmelo Lauretta è stato, assieme con Bernardino Giuliana, Angelo Rizzo, Ignazio Buttitta, Alessio Di Giovanni, Santi Calì e Ignazio Russo, uno tra i poeti presi in esame al Convegno celebrato il 30 Marzo 2007 a Canicattì, dal titolo la teologia della liberazione nella poesia dialettale siciliana. Domenico Pisana che ha svolto la relazione, tra l’altro, appunta: “L’opera poetica di Carmelo Lauretta presenta forti accentuazioni religiose, che evidenziano una teologia della fede fondata sul Testo Sacro e sulla sua stessa esperienza spirituale e umana. Le espressioni religiose più profonde dell’anima di Carmelo Lauretta trovano, infatti, il loro approdo in un dettato che affonda le radici nel tessuto della Sacra Bibbia, letta e rivisitata con la mente dello studioso, con il cuore del credente, con l’intelligenza, la sapienza e la saggezza suscitate da una ispirazione più divina che umana.”

Infine, il numero di Sicelides Musae, bimestrale d’Arte, Cultura e Poesia, fondato a Catania nel Settembre 2008 da Salvatore Camilleri e dal gruppo di intellettuali che egli ha riunito attorno a sé, nel n°1 di Settembre-Ottobre 2008 gli ha dedicato – primo tra i poeti nella Rivista trattati – quasi l’intera pagina 3, con una nota critica e la pubblicazione di alcuni testi.

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