Maestro
e amico, autore e persona dalle rare qualità, decano fra i poeti dialettali
siciliani, Carmelo Lauretta nasce a Comiso (RG) nel 1914.
Laureato
all’Università Cattolica di Milano nel 1939, docente per quarant’anni di Lettere
in Istituti Statali, è stato dopo la Liberazione vicesindaco della sua città,
nonché negli anni Cinquanta il primo presidente delle municipali ACLI.
Collaboratore
del Vocabolario Siciliano di Giorgio Piccitto, a cura del Centro Studi Filologici
e Linguistici Siciliani, del quotidiano la
sicilia, dei periodici giornale di
poesia siciliana di Palermo, arte
e folklore di sicilia di Catania, dialogo
di Modica (RG) e di altri giornali nazionali e locali, ha pubblicato poesia,
prosa e saggistica, sin dal 1938.
Sue
liriche sono state tradotte in greco da Kostas Stamatis, in sloveno da Vinko
Velicic, in inglese da Alessandro Caldiero, in francese da Mazambi K. Makila,
in tedesco da Robert Grabski, in giapponese da Gjosho Morishita e in russo da
Tatiana Antonova.
Privilegeremo
in questa sede, giacché ciò ci preme, la sua prolifica produzione in dialetto, dando
spazio, per ciascun lavoro, ad alcune delle tante voci che del Nostro si sono
occupate.
Il
suo primo titolo in dialetto, A cori
apertu, è del 1981. Giorgio Piccitto considera: “Carmelo Lauretta mi ha
interessato per la sua ricerca di un linguaggio nutrito di intimi succhi
dialettali. Ha il gusto e il senso della lingua e mostra di conoscere in modo
eccezionale il suo dialetto”. E Antonio Fjrigos osserva: “Straordinaria è la
sua capacità di cogliere la quotidianità e renderla, tramite versi disadorni da
ogni enfasi, fonte di squisita umanità e di impareggiabile dolcezza”;
Pani schittu è del 1982. Salvatore Di Marco nella sua recensione
sostiene: “Colpiscono tre aspetti di questo libro. In primo luogo il linguaggio:
Lauretta propone un dialetto d’indubbia radice ragusana, ma arricchito di
neologismi della vita di oggi. In secondo luogo, la capacità del poeta di
collegarsi ai temi della quotidianità. E infine, un forte senso della natura e
dell’uomo come risorse perenni, in alternativa alla disumanizzazione
tecnologica di quest’era”;
A provocazioni esce nel 1984. “Il Lauretta – commenta Maria Sciavarrello
– fa piazza pulita di forme e di atteggiamenti della poesia enfatica e parnassiana,
vivendo le sue immagini in modo aderente al suo pensiero e alle sue emozioni”.
E Rino Giacone: “Lauretta appartiene a quella poco numerosa famiglia di poeti
che, pur forti di una cultura umanistica, non si sono lasciati condizionare da
essa, ma hanno cercato nuove strade per una poesia più aderente alla realtà che
viviamo”;
Il
1986 è l’anno di La casa di tutti e
della svolta. “Con La casa di tutti –
asserisce Salvatore Camilleri sul MANIFESTO
della nuova poesia siciliana,
edito in Catania nel 1989 – Carmelo Lauretta abbandona definitivamente la
grafia della Contea di Modica per quella più coerente della koiné linguistica
siciliana”. “La casa di tutti – precisa
lo stesso Carmelo Lauretta – voli diri tri
cosi: Primu: La casa di tutti è la poesia; secunnu: La casa di tutti è lu
duluri; terzu: La casa di tutti è la morti. Iu, però, dicu ca unu e unu sulu è
lu patruni di La casa di tutti: l’amuri”;
Na rimpatriata segna l’anno 1989. Carmelo Depetro nella sua recensione
attesta: “La tonalità umana di bonomia e di celia accompagna la raccolta. C’è
una nota costante di rimpianto per un mondo in cui le persone si contentavano
di poco, erano semplici e sincere, pur con le loro manie in fondo perdonabili.
Al centro di tutto la funzione del dialetto, sradicato dal peso idiomatico, per
renderlo più comprensivo e comprensibile”;
Il
1990 si apre con Acqua di lu Giordanu.
“Lauretta – afferma Domenico Pisana – dà alla sua esperienza religiosa la
massima estensione, trovando nel Nuovo Testamento i motivi ispiratori per
un’ideazione lirica condotta con la sensibilità e il trasporto di chi si
accosta al Testo Sacro per educare lineamenti di contenuto poetico-religioso
attraverso i riferimenti specifici a personaggi del Vangelo”;
Nel
1992 è la volta di Pani di casa.
Salvatore Di Marco così lo recensisce: “È una raccolta di novelle dialettali
legate a storie e personaggi di paese che il Lauretta trascrive dipanandole dal
filo lungo della memoria. Umorismo sottile, malinconie, ricordi, astuzie e
semplicità d’animo, saggezza popolana, ne sono le caratteristiche. Dal loro
insieme viene fuori uno scenario nel quale rivive la storia di una comunità
dove i sapori sono, appunto, quelli del pane di casa”;
Oasi di Sion vede la luce nel 1993. “Le poesie di Carmelo Lauretta
raccolte con il titolo di Oasi di Sion
– assevera Paolo Liggeri – producono in chi legge il sollievo e il ristoro del
verde ombroso, della fioritura incantevole, dell’acqua sorgiva e limpida che l’oasi
del deserto offre al viandante”. E Giacomo Ferro aggiunge: “Carmelo Lauretta suggerisce
traguardi sicuri di fede dove tutto si tinge di luce e di pace. Poesia aperta
ai drammi del nostro tempo di cui l’autore si avvale per indicare “oasi”
d’amore alla luce del Vangelo, àncora di salvezza per questi uomini di oggi,
soli e smaniosi di successo facile. Il dialetto siciliano brilla di immagini
fascinose e ricche di conforto”;
Prigionieru di l’Angili è del 1995. “Ogni componimento poetico di Carmelo
Lauretta – enuncia Giorgio Battaglia – è una totalità in sé, in cui la realtà e
la vita individuale vanno verso la realtà e la vita universale. Non dunque il
particolare accende la fantasia e il cuore di Carmelo Lauretta, ma
l’universale: l’universale visto come qualcosa che è sostanza e fondamento del
reale”;
Pani di cumpagnia, del 1998, chiude gli anni Novanta. “Nei suoi
racconti – testimonia Gesualdo Bufalino, suo illustre concittadino – Carmelo
Lauretta si cala, da maestro, nella mentalità popolare e ne trascrive riflessi
religiosi, momenti topici, aspetti affettivi, risvolti sociali, dando ricchezza
e prestigio alla prosa dialettale siciliana. I personaggi si fondono tutti in
una raffigurazione-affresco della quotidianità della vita, in cui tutto è
concretizzato nel carisma di una prosa dialettale alimentata da pietà per il
destino delle vicende umane”;
Il
2000 esordisce con ‘A vita agghiorna.
“Le favole di Lauretta – ribadisce Gesualdo Bufalino – coniugano, come
d’incanto, la fresca naturalezza del linguaggio gergale con le celiose valenze
della paremiologia popolare, senza logomachie moralistiche”;
Ventu di lu Golgota è datato 2001. Riporto dal commento scritto a quattro
mani da Maria Pia Virgilio e da me: “L’aspetto saliente di questa nuova silloge
di Carmelo Lauretta sta nell’estendere oltre ogni precedente misura l’ambito
degli exempla spirituali, nel dare una connotazione universale al
proprio credere. I motivi ispiratori del progetto della Trilogia che, dopo ACQUA
DI LU GIORDANU e OASI DI SION, con VENTU DI LU GOLGOTA si perfeziona, scaturiscono
dall’intento di pervenire alla propria e all’altrui salvezza. Salvezza da
conseguire col testimoniare la propria fede anche attraverso la Poesia, mezzo
che gli è congeniale; col partecipare – specie in questi tempi così difficili –
la propria vocazione alla pace, che è umana e cristiana al contempo; con
l’esortare, quanti da tutto ciò sono distanti, a coltivare l’aspirazione ad una
dimensione più “alta” del proprio vivere. Gli effetti per il dialetto siciliano
sono di notevole portata. Questo difatti viene catapultato in un palcoscenico
globale vieppiù dimostrando – ove ve ne fosse ancora bisogno – di essere in
grado di districarsi su ogni argomento, in ogni circostanza, di sapersi
spingere verso latitudini e longitudini di pensiero inesplorate, di potere
affrontare ogni contenuto e non già – come in taluni circuiti si sosterrebbe –
doversi relegare agli aspetti del folklore, ai temi della tradizione, alla
iconografia della terra di Sicilia nel suo eterno, sofferto sopravvivere. Egli
ci parla senza perifrasi, in un idioma da presa diretta – immediato, intenso,
attuale – di lebbra, di donne martiri, di fame che ammazza … In buona sostanza,
si e ci proietta dalla terra … al cielo”;
A colpu sicuru è del 2002. “Le piante e gli animali – avvalora Saverio
Saluzzi – sono i protagonisti delle favole, e ciò non per ossequio alla
tradizione, ma per espressione del suo clima umano e del suo respiro affettivo.
Egli è nella libertà di quei caratteri, nella spontaneità di quegli ambienti,
negli equilibri di quelle lingue”;
L’anno
2004 genera ‘A goccia d’oru. “‘A goccia d’oru – stende in prefazione
Giulio Raboni – orbita tutto nel volontario appropriarsi del dolore umano e
tradurlo in cifra di sollievo e di purificante solidarietà. Ne è incipit
fondante una vicenda biografica (quella del milanese Marcello Candia, che
all’età di 45 anni vende ogni suo bene e si trasferisce a Macapà, in Brasile, per
costruirvi un ospedale ove curare i lebbrosi di quella poverissima regione). Il
vissuto del protagonista è ricondotto alle coordinate evangeliche con
semplicità e spontaneità meditativa”;
A colpi cuntati è
del 2005. Nella prefazione che egli stesso ha stilato, Carmelo Lauretta ci
fornisce la genesi dei versi di questa sua raccolta: la frequentazione e
l’affinità col genere letterario dell’epigramma, l’esercizio dei classici, in
particolare Marziale e l’Antologia Palatina. Dalla recensione curata da Maria
Pia Virgilio e da me leggo: “L’universo floreale metafora del consesso sociale
umano! Come non riconoscere infatti, nel variegato mondo dei fiori e nelle loro
vicissitudini, i caratteri, le cornici socio-ambientali, le vicende delle
“umane genti”? I parallelismi tra i due “regni”, gli itinerari esistenziali che
li raccordano sono tanti e altrettanti gli esempi che suffragano la pregnanza
della dichiarazione. Fanno parte del bagaglio d’attenzione temi quali:
l’aborto, l’assenza delle persone amate, la mafia; ma ricorrenti sono pure i
quadri che attengono alla precarietà della vita, alla delicatezza dell’amore, alla
compassione, alla speranza. In tutto ciò la Poesia, fregiata di semplicità di
immagini e fresca di arguzia evocativa, fluisce genuina nella partecipazione
lirico-semantica al nostro dialetto, e realizza un felice equilibrio tra la
tensione sentimentale e l’attinenza alle tematiche trattate, fra le quali,
preminente, quella religiosa. Nell’ultimo verso del testo “A cardedda di la
pruvidenza”, a tutte lettere maiuscole Carmelo Lauretta scrive il nome di Dio: ‘A
pruvidenza di Diu è granni. Quasi
JHWH, il tetragramma sacro ebraico per Jahvè. Ancora una volta il Nostro prende
lo spunto dalle cose del mondo giusto per staccarsene e librarsi verso quella
dimensione spirituale che ne contraddistingue l’esperienza d’uomo e lo spessore
d’artista”;
Lu suli ammucciatu, tre volumi di favole, è datato 2005. Traggo dalla
mia recensione: “Puntiamo la nostra attenzione su tre degli elementi che
costituiscono la fattispecie del trittico laurettano: i temi, i protagonisti
(animali e piante), il lessico. A che pro? Allo scopo, sceverando tali registri
del dettato di Carmelo Lauretta, di riaffermare l’immensa dovizia lessicale del
nostro dialetto, le rimarchevoli sue suggestioni sintattiche, l’attitudine –
nella testa esso, nel cuore e nelle mani di un nobile esperto regista quale il Nostro
è – a contemperare liricamente i suoi preziosi, antichi fasti alle grinze
drammatiche del nostro amaro, odierno vivere”;
Con
Prestu prestu scurau siamo al 2006. “È
la trasfigurazione poetica – annota Giuliano Frattini – di eventi che hanno
oscurato di angoscia il cielo del terzo millennio. Quanto di terrificante è
accaduto ha trovato la sua connotazione lirica nella scrittura ritmata da
brucianti immagini, da perplessità meditativa, da linguaggio libero da
inondazioni aggettivali e da usurati sintagmi”;
Chisti cu l’autri risale al 2007. Dichiara il medesimo Lauretta: “Questi
racconti appartengono alla stessa famiglia degli altri: Na rimpatriata, Pani di casa,
Pani di cumpagnia. Sono della stessa
pasta, hanno la stessa natura e hanno preso lo spunto della narrazione andando
dietro la vita della gente, lungo il paese. Sono come i figli dei tre libri che
ho citato”;
Ju e l’amicu silenziu è il titolo del 2008.
Maria Pia Virgilio e io ne abbiamo scritto: “Lu silenziu è la patria di la
poesia, sostenne Charles Baudelaire, e Carmelo Lauretta, il quale nella quiete
della sua compagnia ha percorso tutta la
strata râ vita, ha fatto sua tale asserzione e lo ha eletto a titolo della
crestomazia. Posto questo ideale triangolo equilatero – la Poesia al vertice,
il Silenzio e il Nostro agli angoli di base – registriamo in apertura la sua amicizia cu la poesia. Apprendiamo inoltre
che entrambi abitano nni la stissa strata
e addirittura idda la porta di supra
e lui nni chidda di sutta e che, in
virtù del loro rapporto, allorché lei lo riceve mi abbrazza e mi vasa … mi porta a vidiri lu cielu … mi metti nni li
manu di l’Eternu. L’ultimo verso della silloge, contenuto nel testo “Chiddu
ca cunta”, recita: pi spalancari li porti
di lu cielu. E giusto dal verso pi
spalancari li porti di lu cielu scaturisce una ultima interessante
notazione: la struttura anulare dell’opera. Se facciamo un passo indietro, al
primo testo osserviamo infatti che si fa riferimento ad un’altra porta: quella
della poesia. Il poeta, dunque, e il credente, ambedue cercano l’ingresso alla
propria via, gioia, pace.”
Del 2009, Nun mi nni
pentu, titolo, precisa lo stesso Carmelo Lauretta, che “si riferisce a
tutto quello che ho strappato dal cuore nella vita.”
Per ultimo, ancora del 2009, U maratoneta di Diu vinutu di luntanu. “È la conferma – scrive Domenico
Pisana – del suo pathos religioso trasfigurato in stilemi lirici e che ha
nell’icona di Papa Giovanni Paolo
II un riferimento di ideazione rapsodica. Teologicamente rilevanti appaiono i
versi che riprendono le parole pronunciate dal Pontefice in occasione della sua
elezione: Nun v’aviti a scantari mai.
Abbarricati i porti a Cristu.”
Ciò
detto succintamente del poeta, avvertiamo che Carmelo Lauretta, scomparso nel 2011,
è stato altresì apprezzato saggista. Ha scritto, fra gli altri, su Pietro
Tamburello, il quale lo ha messo a fronte dei problemi connessi al rinnovamento
della scrittura della poesia, ai rapporti tra questo e la tradizione siciliana,
alla concezione che la poesia dovesse essere impegno di penetrazione e di scavo
interiore e poggiare sulla capacità di una continua auto-analisi stilistica e,
quanto al Dialetto, il suo pezzo IL CAOS VERNACOLARE, pubblicato sul numero di
Aprile 1990 del giornale di poesia siciliana,
ce ne partecipa a chiare lettere il pensiero: “La poesia dialettale non può più
essere improvvisatamente arcadica, compiaciuto riciclaggio di cadenze foniche,
formulario di comodo gergale ricercato deliberatamente per varcare le soglie
del Parnaso, ma impegno di strutture nuove e di prosodia rinnovata ab intus con valenze evocative e
simboliche. Si sente il bisogno di un ordine di scrittura, di una convergenza
di impiego di elementari monemi di collegamento. Non si vuole che si snaturi
l’anima del vernacolo, né che si alterino le sue peculiarità gergali, né che si
stabiliscano aree egemoni di asservimento; si vuole la fine di un’innocente
anarchia, si vuole sollecitare la ricerca di una soluzione che porti ad una
convivenza ortografica unitaria dei vernacoli e alla loro compresenza nella
realizzazione della lingua siciliana.”
Numerosi
sono stati, nel tempo, i premi, le gratificazioni, i riconoscimenti.
Nel 1987, è stato tra i ventisei autori, in Italiano
e in Dialetto, inseriti nella antologia poeti
contemporanei della provincia di ragusa, a cura di Emanuele Schembari, che
di lui riferisce: “Carmelo Lauretta, uomo di notevole spessore culturale e di
straordinario acume critico, riesce, in poesia, a diventare estremamente
semplice e comunicativo, anche se, dalle sue liriche, traspare impegno etico e
costante partecipazione alla vita, con adesione totale a propri motivi
interiori. È esemplare la modernità del verso senza rime e l’accuratezza della
trascrizione del dialetto, in componimenti che condensano significati profondi,
dove la serenità del tono non riesce a nascondere una sorta di dolore
ontologico, un’umanissima pena del vivere, che è la vera matrice dell’esperienza
e della personalità del poeta.”
E
ancora, Carmelo Lauretta è stato tra gli oltre venti poeti provenienti da tutte
e nove le province dell’Isola presenti al Primo Convegno Regionale di Poesia
Dialettale Siciliana svoltosi a Barcellona Pozzo di Gotto nei giorni 29 e 30
Ottobre 1988, organizzato dalla Corda
Fratres, che ha visto tra i relatori Natale Tedesco, Lucrezia Lorenzini,
Nicola Mineo, Salvatore Di Marco.
E
per venire ai giorni nostri, Carmelo Lauretta è stato, assieme con Bernardino
Giuliana, Angelo Rizzo, Ignazio Buttitta, Alessio Di Giovanni, Santi Calì e
Ignazio Russo, uno tra i poeti presi in esame al Convegno celebrato il 30 Marzo
2007 a Canicattì, dal titolo la teologia
della liberazione nella poesia dialettale siciliana. Domenico Pisana che
ha svolto la relazione, tra l’altro, appunta: “L’opera poetica di Carmelo
Lauretta presenta forti accentuazioni religiose, che evidenziano una teologia
della fede fondata sul Testo Sacro e sulla sua stessa esperienza spirituale e
umana. Le espressioni religiose più profonde dell’anima di Carmelo Lauretta
trovano, infatti, il loro approdo in un dettato che affonda le radici nel
tessuto della Sacra Bibbia, letta e rivisitata con la mente dello studioso, con
il cuore del credente, con l’intelligenza, la sapienza e la saggezza suscitate
da una ispirazione più divina che umana.”
Infine,
il numero di Sicelides Musae, bimestrale
d’Arte, Cultura e Poesia, fondato a Catania nel Settembre 2008 da Salvatore
Camilleri e dal gruppo di intellettuali che egli ha riunito attorno a sé, nel
n°1 di Settembre-Ottobre 2008 gli ha dedicato – primo tra i poeti nella Rivista
trattati – quasi l’intera pagina 3, con una nota critica e la pubblicazione di
alcuni testi.
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