lunedì 24 ottobre 2011

Su Moniaspina di Monia Gaita


Edizioni L'Arca Felice, 2010, con uno scritto introduttivo di Mario Fresa e interventi visivi di Giovanni Spiniello

nota di lettura di AR

La lingua proteiforme, agglutinante, a tratti cripticamente e arditamente  sperimentale (fortunamente le Note aiutano a sciogliere e a godere di alcuni passaggi oscuri)  di Monia Gaita è bene rappresentata da questa raccolta, letteralmente fantasmagorica per la capicità di creare visioni appoggiate spesso a un ritmo sensuale, incalzante, riverberante, suadente: “La riva s'impelliccia di schiumóso / e si biforca più di ìpsilon, / (…) / in camera dò una marginatura àmpia / ai fogli del sentire.” (p. 9); “Afferro per la falda dell'àbito / rumóri. / (…) / Tracìma il fiume degli acquisti / nelle strade.” (p. 12); “Orba di tutt'e due gli òcchi / la speranza, / nella foltézza orsina / di peli di rammarico”; “Legata come cane / a disetànei guinzàgli di stanchézza.” (p. 15); “Trovarmi pèrsa / nell'intonacatura lìscia dei tuoi occhi” (p. 17); “Le bélve della pioggia s'accaniscono / sui tétti invisciditi delle case. // Agita fazzoletti d'aromi la terra / e il sole passa di sottobanco /appéna una carcassa di splendore.” (p. 24); “Potrei anche morire / nella cambusa di speranza di quest'ora / e batacchiare  ulivi di corallo, / pomìferiradianti, / al desiderio.” (p. 25); “e mónta nelle stive del pensièro / un'acqua / con zigomi da mòngolo / di luce.” (p 26).
Personalmente, come nel caso dei versi appena citati, preferisco le poesie e le strofe in cui la sperimentazione linguistico-lessicale non è vulcanicamente presente: credo che la forza delle metafore, delle immagini e la scansione degli ictus risultino così infatti pienamente assaporabili senza bisogno del velo straniante della parola ricercata o rara o del costrutto “misterioso” o di quel “possente diluvio di suoni e di colori di stupefacente novità” di cui parla Mario Fresa  nell'introduzione. E così sento molto vicina la poesia autografa riprodotta in quarta di copertina che qui ripropongo nella sua interezza perché è pure una intensa, sincera e bella dichiarazione poetica (con un omaggio montaliano):

Quando scrivo
finisco col consultare
il programma dei fuoriprogramma
e sempre mi ritrovo
nel profusamente sparso
di ciò che non volevo
o non avevo precisamente chiaro 
nella mente.
Muoio e risuscito
un milione di volte
nei miei versi.

Nel dialogo fra Autrice e Prefatore che chiude l'elegante raccolta, Monia Gaita afferma che la sua poesia non è facilmente comunicativa e che in genere la poesia va “inseguita”, eppure la “meta è sempre l'ordine, sgretolare il caos, le omeomerie del nulla…” e credo non si possa che concordare: la poesia diventa allora ben più di comunicazione, diventa condivisione.

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