Vera Mocella è una giovane poetessa, scrittrice e giornalista avellinese. Laureata in “Lettere e Filosofia” , all’oralità dell’insegnamento, preferisce l’invisibilità della pagina bianca. Giornalista professionista dal 2006, ha collaborato, come stagista, con “La Repubblica”, “la Città”, e “la Nuova Sardegna”, attualmente collabora per riviste e quotidiani locali, come “il Corriere dell’Irpinia”, e si occupa prevalentemente di giornalismo culturale e sociale. Autrice di poesie e di racconti inediti, ha pubblicato Destini di Luce con la casa editrice Libroitaliano world, nel dicembre 2007. Ha ricevuto premi e riconoscimenti nazionali per le poesie inedite e per il testo “Destini di luce”, quali il terzo posto nel premio letterario nazionale “Le notti ritrovate” (sezione libro edito), e il premio speciale – “sezione poesia edita”, nel concorso nazionale “Il Simposio”. Il suo primo libro di poesie è stato ospite della rassegna di Urbino “Parole in gioco”, ed è stato accolto con interesse dai media locali e dai critici campani. Attualmente, alcune poesie sono riportate in numerose antologie poetiche come e riviste quali: “Poeti d’oggi”, il Nomade e le stelle – antologia del premio nazionale poesia inedita III edizione, Versi per il Formicoso, la Montagna Valle Spluga, Narrazioni, Poeti e poesia ed altre. È presente nella Storia della poesia irpina (Dal primo novecento ad oggi), scritta dal critico Paolo Saggese - Elio Sellino editore. Le poesie che ospitiamo in questa rubrica permettono al lettore di confrontarsi vis-à-vis con il percorso interiore dell’autrice.
Terremoto in Abruzzo
Lungo i fiumi di babilonia sedevamo in pianto*1
Miei fratelli nel deserto
miei fratelli di dolore
di carne e sangue.
Lamiere contorte raccontano sogni
un peluche triste
tra le macerie di quella che fu una casa
e mi chiedete ancora forza,
e mi chiedete ancora di non piangere
piangerò lacrime amare di chi non ha lacrime,
piangerò lacrime di pietra dura,
di freddo e sassi,
lacrime di sangue,
sul sudario che fu la mia terra,
piangerò il dolore e il deserto di chi non ascolta
Ora il Signore lo liberi, lo liberi, se davvero gli vuol bene, se davvero è figlio di Dio*2
Sono seduto su una pietra troppo grande per essere umana
sparito è ogni conforto
protendo le mie mani per stringere i miei figli
abbraccio solo il vento
apro la mia bocca per gridare,
inghiotto solo le mie lacrime.
Cada la notte
notte profonda sulla mia pena
notte buia, oscura, inconsolabile, inconoscibile notte
a me straniera,
notte degli uomini, inconoscibile notte di dolore.
Mio dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?* 3
Ricordo i sorrisi,
i gesti di mani che non hanno più carezze,
Ora il silenzio si stende sulle cose
tra pietre ruvide
e macerie crudeli.
Rachele piange i suoi figli,
Rachele rifiuta di essere consolata perché i suoi figli
non sono più*4
Se madre sono stata non ricordo
forse in sogno lo sono stata
forse in sogno
Ora non scorre sangue nelle mie vene
ora non ho più figli.
Sorge la luna sulle macerie
tramonta la luna e arriva l’alba
E il giorno ha lo stesso sapore della notte.
*1 Salmo 137, 1
*2 Matteo 27, 43
*3 Marco 15, 34; Matteo 27,46
*4 Matteo 2, 16; Geremia 31, 15
L’eternità che non vediamo
Lo sguardo aperto
sa di diamante puro.
A me stessa narciso,
le infinite forme nello specchio.
Il verde degli occhi
si posa sull’anima
siamo luce condensata in un corpo
infinita Grazia
nel nostro corpo divino.
Siamo ostia
bellezza pura, intatta.
Farfalle che si mimetizzano con la vita
sul tronco del destino.
Adolescente l’anima
si svela a se stessa.
Ride.
Ti sorprende il mistero
e la grazia stupita
di essere viva.
La vita che domani sarà un’altra,
Il mio essere eterno,
adesso,
qui, ora.
L’eternità che non vediamo.
Particelle infinite
Particelle infinite
ammasso di cellule,
noi siamo più
di questa materia pesante
che rende triste il cuore.
I nostri sensi?
Più di quel che vediamo, percepiamo, tocchiamo.
Veniamo da lontano,
da Galassie profonde
precipitati nel tempo
in questo tempo – di cui non conosciamo il valore.
Ci inseguono i giorni,
come sceriffi implacabili
di Far West sconosciuti.
Le stelle, di notte,
ci chiamano
nel loro vortice eterno
come sorelle orfane di noi.
Il tempo si restringe
e collassa
in un punto
che è il nostro cuore.
Istante supremo
di conoscenze infinite.
Un angelo attento
guida i nostri passi
non possiamo morire
non moriremo
Luce cosmica
attraverseremo il buio
come in vita attraversammo il deserto.
Non c’è limite al pensiero
né all’Amore
l’intuimmo già sulla terra,
dura e piena di sassi.
Quanto tempo
prima di arrenderci all’Infinito,
e di confessare di non sapere.
Si fluttua
come nettare di fiore
impalpabile e profondo.
Siamo più di noi.
Quante volte,
tra le lacrime,
abbiamo intravisto
piccole verità
che lievitavano nel cuore
fino a diventare musica.
Dio delle nuvole
E dovrei dunque non crederTi?
Non dovrei crederTi, Dio della resurrezione e della Luce?
Dio dell’eterna Gloria?
Non dovrei credere in Te?
Nuvole rosa d’amore
mi crocifiggono di tenerezza,
e non dovrei crederTi, Dio delle cose mute,
non dovrei crederTi, Dio dell’eterno Amore?
Mio Dio che custodisci, come cosa preziosa,
ogni mia sofferenza ed ogni mia gioia,
dovrei dubitare di Te?
Dovrei dubitare del tuo Amore?
Incantevoli nuvole
svelano il tuo passaggio
le nuvole rivelano il Tuo andare.
Le nuvole profetizzano il Tuo ritorno
Signore della terra e del cielo.
Quante lacrime
quante lacrime che non furono vane
perché tu hai ordinato ad un angelo
di custodirle,
come preziosa cosa,
nettare purissimo,
profumo di rose e di gelsomini,
profumo di anime.
E dovrei negarTi, mio Dio,
Dio della gioia,
e Dio Della solitudine,
Dio del silenzio
e Dio della parola
Dio di ciò che non fu detto
e che rimane racchiuso nel cuore,
ma anche Dio
di tutto ciò che le labbra
riusciranno a pronunciare.
Dio d’Infinta, eterna misericordia,
Dio dei peccatori
e delle anime buone
Dio dei disonesti
E di chi morì per onestà
Dio dei ladri e degli assassini
Dio dei creatori di luce
e dei creatori di vita.
Dio dei santi e dei profeti
e Dio degli uomini dal cuore duro
Riversa su di noi la tua Grazia
Amaci con l’immensità del tuo amore
Quante lacrime,
tutte le lacrime del mio cuore
che mai andranno perdute
Quante lacrime
tutte le lacrime di tutte e morti
tutte le lacrime del mondo
che divennero luce
che diventeranno Amore.
Tutte le sorgenti argentate del cuore
che poi giunsero a Te
Tutto l’amore dell’anima
che si ricongiunge a Te
in un unico afflato d’Amore.
Tutto l’amore del mio cuore
e delle mie mani vuote.
Tutta la mia vita
che si dispiega dinanzi a Te
e che diventa nuvola.
Tutta la mia vita
che diventa canto
È musica il cuore
È musica il mio cuore
Dio di tenerezza infinita.
Il mio corpo
Il mio corpo negato, ferito, calpestato
perché voi l’avete negato, ferito, calpestato
Il mio corpo di donna africana, di schiava negra
di bambina dell’Est
di schiava bianca, di infibulata speciale
di geisha, di donna oggetto,
di ragazza – kamikaze.
Il mio corpo
oggetto pericoloso
da usare come un proiettile
quando la sazietà dei vostri ardori maschili
non vorrà più prenderlo, crocifiggerlo.
Allora sarà pronto
per essere gettato in un campo
basterà solo che un uomo qualunque
in un posto qualunque,
lo trafigga con i suoi occhi di ghiaccio. Basterà questo,
questo soltanto
per infibularlo di nuovo,
per violentarlo di nuovo,
per ucciderlo di nuovo.
Guardo il mondo dall’alto di un ponte, ora,
e me ne infischio delle vostre parole,
dei vostri desideri.
Volerò giù libera,
tra un attimo,
solo tra un attimo.
Ma non sarò io ad accusarvi,
è il mio corpo di donna
che vi condanna.
Il mio corpo che insegue sogni da bambina,
teneri ciclamini
e profumo di gelsomini
al tramonto.
Sarò libera, infine.
Non vedrò più l’inferno
l’inferno dei vostri volti
l’inferno dei vostri gesti
dei vostri cuori.
Sarà luce,
nuvola e gelsomini
il mio corpo ferito.
Sarà musica.
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