lunedì 19 settembre 2011

Su La virtù del chiodo di Giuseppe Carracchia

EdizioniL’Arca Felice, 2011, con un disegno fuori testo, Fleur, di Aki Kurodaù

recensione di Narda Fattori

v. anche le recensioni Sebastiano AdernòAlessandro Ramberti




Mi piace introdurre una nota di lettura critica per questo delizioso libretto di poesia, impreziosito dalle immagini, con quanto l’autore manoscrive in quarta di copertina e che dà ragione del titolo: “la   virtù del chiodo è innanzitutto, per me, il poemetto dell’antinichilismo. Incanto e complementarietà di ragione e sentimento”. La virtù del chiodo si colloca semanticamente all’interno di un ossimoro: il chiodo ha una punta, fora e trapassa e , in quest’azione di violenza, unisce, avvicina, consente di portare alla visione il lontano accanto al presente o , ancora, permette la coabitazione di istanze opposte, senza che esse stridano e confliggano. “(Che non puoi piantare un chiodo/ in cielo per appenderci un pensiero / mi chiedo, sarà poi così vero?)”, afferma già in apertura il giovane ma tutt’altro che ingenuo poeta.
Infatti le poesie che incontriamo nel poemetto, azzardano un altro ossimoro: inseriscono all’interno di una costruzione metrica armonica, che non si priva di rime, di allitterazioni, di metafore altamente significative, una visione della realtà che persiste nell’incostanza dell’essere ma che dalla sua stessa incostanza trova ragione d’essere e verità, perlomeno dubbio. Carracchia vede nell’informe la forma, la lezione che la ragione trae dalla visione.
L’apparente leggerezza della scrittura cela e svela; si leggano questi versi: “La virtù del chiodo che regge frattura [ovvero ciò che si è spezzato, separato franto] / e vuoto svela la falsità del niente: / compiutezza del ragno che ha mura / e casa in aria d’un prisma lucente”. Ciò che è fra parentesi è mia considerazione a cui vorrei mettere in relazione gli ultimi due versi: la casa in aria, perfetta, prismatica e salda fra le mura del ragno. Dunque l’aleatorio di una casa in aria è invece stato di compiutezza per il ragno.
Ma di ogni singola poesia potremmo citare immaginifiche verità celate ad uno sguardo che non sia attento; che “vede”, si apre alla visione e scopre la perfezione nell’imperfetto e viceversa: “La proporzione delle parole spacca / dal ventre la pietra…”, “ germoglio in nodo al noce”;  si noti la padronanza delle rime interne, delle assonanze, la padronanza assoluta e non scolastica del metro.
Carracchia è un poeta giovane che davanti alla materia che tratta, direi un piccolo saggio di filosofia sulla perfezione dell’imperfezione, o una dimostrazione della logica dei frattali, utilizza uno strumento raffinato come la poesia con padronanza per cui leggiamo piccoli capolavori di intelligenza in forma d’arte.
Meritano una riflessione ulteriore alcune sue considerazioni poste ad apertura o a chiusura di un percorso poetico che si svestono degli abiti belli della poesia e rivelano ex abrupto l’intenzione del poeta.
Ma questa plaquette non contiene niente di sapienziale, di supponente, di saggistico, anzi si dona a chi ha cuore e ragione a monito della superficialità del nostro sguardo.
Per conservare il suo chiaro e non intriderlo nel materiale che affronta, il poeta si annulla; poesia non ombelicale dunque; l’io in quanto portatore di ingombri, manca : sono i sensi a percepire e la ragione a dire il percepito.
È veramente una piccola opera di grande caratura poetica ed esistenziale.

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