recensione di Narda Fattori
v. anche le recensioni Sebastiano Adernò e Alessandro Ramberti
Mi piace introdurre una nota di
lettura critica per questo delizioso libretto di poesia, impreziosito dalle immagini,
con quanto l’autore manoscrive in quarta di copertina e che dà ragione del titolo:
“la virtù del
chiodo è innanzitutto, per me, il poemetto dell’antinichilismo. Incanto e
complementarietà di ragione e
sentimento”. La virtù del chiodo si colloca semanticamente all’interno di
un ossimoro: il chiodo ha una punta, fora e trapassa e , in quest’azione di
violenza, unisce, avvicina, consente di portare alla visione il lontano accanto
al presente o , ancora, permette la coabitazione di istanze opposte, senza che
esse stridano e confliggano. “(Che non
puoi piantare un chiodo/ in cielo per appenderci un pensiero / mi chiedo, sarà
poi così vero?)”, afferma già in apertura il giovane ma tutt’altro che
ingenuo poeta.
Infatti le poesie che incontriamo
nel poemetto, azzardano un altro ossimoro: inseriscono all’interno di una
costruzione metrica armonica, che non si priva di rime, di allitterazioni, di
metafore altamente significative, una visione della realtà che persiste
nell’incostanza dell’essere ma che dalla sua stessa incostanza trova ragione
d’essere e verità, perlomeno dubbio. Carracchia vede nell’informe la forma, la
lezione che la ragione trae dalla visione.
L’apparente leggerezza della
scrittura cela e svela; si leggano questi versi: “La virtù del chiodo che regge frattura [ovvero ciò che si è
spezzato, separato franto] / e vuoto svela
la falsità del niente: / compiutezza del ragno che ha mura / e casa in aria
d’un prisma lucente”. Ciò che
è fra parentesi è mia considerazione a cui vorrei mettere in relazione gli
ultimi due versi: la casa in aria, perfetta, prismatica e salda fra le mura
del ragno. Dunque l’aleatorio di una casa in aria è invece stato di compiutezza
per il ragno.
Ma di ogni singola poesia
potremmo citare immaginifiche verità celate ad uno sguardo che non sia attento;
che “vede”, si apre alla visione e scopre la perfezione nell’imperfetto e viceversa:
“La proporzione delle parole spacca / dal
ventre la pietra…”, “ germoglio
in nodo al noce”; si noti la
padronanza delle rime interne, delle assonanze, la padronanza assoluta e non
scolastica del metro.
Carracchia è un poeta giovane che
davanti alla materia che tratta, direi un piccolo saggio di filosofia sulla
perfezione dell’imperfezione, o una dimostrazione della logica dei frattali,
utilizza uno strumento raffinato come la poesia con padronanza per cui leggiamo
piccoli capolavori di intelligenza in forma d’arte.
Meritano una riflessione
ulteriore alcune sue considerazioni poste ad apertura o a chiusura di un
percorso poetico che si svestono degli abiti belli della poesia e rivelano ex
abrupto l’intenzione del poeta.
Ma questa plaquette non contiene
niente di sapienziale, di supponente, di saggistico, anzi si dona a chi ha
cuore e ragione a monito della superficialità del nostro sguardo.
Per conservare il suo chiaro e
non intriderlo nel materiale che affronta, il poeta si annulla; poesia non
ombelicale dunque; l’io in quanto portatore di ingombri, manca : sono i sensi a
percepire e la ragione a dire il percepito.
È veramente una piccola opera di
grande caratura poetica ed esistenziale.
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