di Piero Lo Iacono 21 aprile 19.47.45
Dirompenti queste poesie come l’urlo di Munch. Vibranti di immagini, sinestesie, sentimenti, passioni, vitalità. Versi da cui passano universi di amore e morte, bellezza e malinconia, terra e cielo, il tempo e le ombre, il desiderio e la lontananza, il sonno e la veglia.
Una confessional poetry, uno stream of consciousness, introspettivo in cui ti denudi e scorri declinandoti col lettore che abbia la capacità e la volontà a sua volta di mettersi a nudo davanti agli “specchietti” che tu gli porgi… Consapevole che “non è la conoscenza è / l’assenza di verità che uccide”.
Col tuo inconfondibile dono di levità e grazia, intarsi versi di aspra dolcezza e di delicata suggestività, attinte al lavorio faticoso di autoscavo e di spietata autoanalisi coraggiosa….
“Affamata di innocenza e di carezze” ti riprometti di amare e di amarti di più.
Volendo seppellire pietosamente quei frammenti, i cocci di te, “in una buca profonda”.
Esprimendo il bisogno di offrirti un guado, delle stepping stones, e “attendere con fiducia l’angelo”. Che bellezza!
Si intravede cosa ti cruccia, il non sapere come poter “profumare tutti i fiori”, si vede cosa t’impaura, “temo la vita senza emozioni”. Si vede la tua / nostra vexata quaestio: “In cerca / del filo che accorda / mente e cuore”. Si vede un tuo ritratto mignon in miniatura:
“Rincorro la bimba afferro l’adolescente/ resto mistero – sono una donna”.
“Obbedisco ignorando la meta” e il bellissimo “PER PIANGERE ASPETTO LA PIOGGIA”.
La bellezza “ci as/serve” tu dici. La poesia forse ci salva. Le parole sono caronti e traghetti-culle per le ferite. “Innalzo una scala dall’abisso/ poso piano il piede sul gradino”.
E all’étalage du moi, parallelo all’intimo io sgranato fa capolino il sociale coi suoi problemi: il “dovere scuse/ al pane che butto”.
O la domanda apparentemente naif: “Siamo ancora buoni?”
O credere che “un contatto su facebook fosse un amico”. Che bellezza!
La fede non è risparmiata, ed è ironicamente “ceduta” alla portata dell’umano, e ci si riduce a chiedere a un gatto, come già fecero gli egiziani che lo scambiarono per un dio, ciò che il nostro Dio non ci dice, non ci concede, rivelazioni geroglifiche sornioni, come i varchi montaliani, l’anello rotto che tradisca e spezzi la catena di omertà…
Ho amato versi come questi alla E.A. Poe da impararli a memoria:
“Un gatto fermo sulla soglia, / fingo di non vederlo / mi vuole appartenere / è il primo quadro che appendo” (pag. 18).
Ho amato la chiusa dickinsoniana di struggente bellezza a pag.35:
“Lascio aperta anche la porta / quando vuoi puoi andare”.
Ho amato questo verso del miglior Caproni o Sbarbaro: “Sono sui passi per non rimanere”.
Ho amato i tuoi versi… grazie Carla per avermene data la possibilità.
BUONA PASQUA!
1 commento:
Grazie per averci proposto le poesie di Carla De Angelis, una poetessa e scrittrice che ammiro moltissimo, sia come donna che come artista. Non ho letto questo libro e spero di rimediare al più presto.
Cinzia Marulli
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