venerdì 7 gennaio 2011

Su MOROCCO ROCOCO di Jane McKie (Edizioni Kolibris 2010) - Analisi di Federica Volpe



Jane McKie, poetessa scozzese donata all’Italia dagli abili cuore e mano di Chiara De Luca, è un essere che risulta, in modo piuttosto evidente, rotto dentro.
La sua poesia diviene mezzo di ricostruzione, mescolando insieme tutti i piccoli pezzi del puzzle che la rappresentano: la grande cultura che dimostra di avere fatto propria, rappresentata da citazioni geografiche, mitologiche, scientifiche; il grande dolore, elemento che si fa solo intuire ma che, seppure in sordina, sa gridare forte verso l’orecchio attento; la riflessione, che diviene fondamentale anche per il lettore, il quale, per essere trascinato nell’affascinante pensiero della Mc Kie, deve quantomeno essere disposto a darsi all’atto del riflettere.
Jane Mc Kie sembra presentare delle altre divisioni, all’interno della raccolta Morocco Rococo, che tendono alla ricostruzione dell’essere.
La donna è divisa, infatti, in quest’opera, tra mondo antico e fantastico (cita, per esempio, isole scomparse o inventate, come quella di Lyonesse, o ancora sono molti i riferimenti alle mitologie greca, celtica, germanica, ecc) e mondo nuovo e concreto (molti i riferimenti all’Africa o a paesi realmente esistenti connessi alla sua realtà), seppure alle volte il confine tra concreto e astratto si sperda a non dare certezze (né al lettore né alla poetessa) su cosa sia realtà e cosa fantasia (ad esempio, la fiera che si svolge annualmente a Downtown, la Cuckoo Fair, diviene occasione di immettere nel reale un che di favolistico, di lontano, di irreale). Credo che non sia un caso, infatti, che la McKie abbia intitolato una delle prime poesie della raccolta I pali del cancello della fantasia. Il tema del reale in opposizione all’irreale le è evidentemente caro.
Spesso la McKie, come già ho scritto, si avvale di termini geografici o scientifici. Nel suo essere rotta, la poetessa ha identificato nel sapere un’ancora di salvezza, che le permettere di stare a galla in un mondo che non la rispecchia. La sua ossessione quasi maniacale per i luoghi rivela un grande amore per il mondo, un grande amore per la vita, ma è anche, appunto,il suo grande appiglio.
Nella lirica Guida notturna, infatti, la McKie scrive: “Uscite segnate in verde vanno e vengono. Qui. / Lì. Queste inconcepibili strade a fondo cieco.”.
E’ come se senza cartina la McKie non sapesse andare da nessuna parte, fosse persa quando “Hai solo fanali di coda per bussola”.
Nella poesia Montgomeryshire, scala 1cm: 1 km, donna arriva ad immaginare addirittura un panismo che va a far identificare l’essere umano con la cartina che lo abbraccia, lo rassicura, proprio a raccontare questa sicurezza che le dà il sapere, che ha condotto ad avere coordinate che sembrano essere sicure. Stessa sicurezza le viene trasmessa dall’utilizzo del mito.
La McKie utilizza sovente il mezzo della personificazione, nella quale, però, è lo stesso io narrante, la stessa poetessa, a divenire altro ente, a dargli voce. Questo avviene, per esempio, nella lirica La campana di Bushom, nella quale la stessa McKie diviene campana che desidera spegnarsi (raccontando al contempo il disagio di un ente inanimato, ma che la sensibilità poetica vede sofferente, e della donna che la usa per raccontarsi, raccontandola), o in Sposa selkie, in cui la donna impersona la creatura mitologica che da foca si trasforma in donna, o ancora, nella poesia Le risposte di Vulcano e Venere, l’io poetico va ad identificarsi prima con l’uno e poi con l’altra dea. .
Oltre alla personificazione vi è anche l’uso della metafora con la quale la poetessa va ad accostarsi, molto spesso, ad animali. Jane si descrive come granchio, vorrebbe essere giumenta.
Inoltre, il mondo animale è per lei fondamentale strumento poetico. Molti sono i riferimenti a volpi, giumente, animali marini, come se fossero simboli stessi di lei, o di sue caratteristiche, come se fossero, in qualche modo e per motivi non sempre immediatamente afferrabili, sua immagine.
Altro punto importante della poesia di Jane McKie è quello che riguarda la vegetazione.
Infatti non sono pochi i riferimenti a tale ambito. Anche in questo caso gli elementi della natura servono alla poetessa per raccontarsi, ma spesso e volentieri, mentre gli animali raccontano l’io poetico, la vegetazione racconta stati d’animo, sentimenti.
Ne sono esempi lampanti la lirica Mele cotogne, che sono mele amare che un quadro potrebbe raccontare come buonissime ma “Guarda la mia bocca / pronta a mordere: / chi potrebbe immaginare / che la sua consueta piega /sia verde di delusione?”, ci dice la donna nella splendida chiusa, o la poesia Siepe di bosso, che racconta di un’ombra dietro la siepe, la paura, il ricordo.
Altro componimento che si può a tal riguardo citare è Laurisilva, Madeira, in cui un “… rametto rotto d’alloro, / tormentato alla base dalla guida” diviene occasione epifanica per riflettere sull’interiorità.
Jane McKie sa insegnare che si può vivere anche se rotti dentro, anche se le sventure “sono vecchie di secoli” ( da La campana di Bushom). Insegna, insomma, altri mezzi ed altre vie per essere uomini in modo pieno.
Morocco Rococo è una lettura accattivante, intelligente, mai struggente del mondo, ed è anche il racconto avvincente di un viaggio mai stanco, seppure sofferto, di una poetessa pienamente degna di questo nome, dotata di uno charme nelle parole che donano alla sua espressione poetica un colore(o una serie di colori) unico ed irripetibile, conferendole una voce che non si confonde con le altre e che si ascolta con una voglia che mai si estingue.

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