martedì 25 gennaio 2011

Su Colibrì di Anna Maria Tamburini

recensione di Sonia Gardini

La prima raccolta di poesie di Anna Maria Tamburini, dal titolo Colibrì è un cantico alla vita, ai suoni, ai colori, in particolare alla luce. In tempi in cui dominano il dolore, la morte, la disperazione, la distruzione di tutti i valori, il lettore ha il piacere di sfogliare un libriccino dove la scrittura volteggia come l’uccello mosca di cui è oggetto: basta osservare gli acquarelli della prima e della quarta di copertina per capire la coerenza al contenuto, la fedeltà alla vita “lieve” come la “punta dell’anima”.
C’è un colibrì in ogni pagina, per discorrere della vita che porta altra vita, che nasce dalle attese del cuore ed il succedersi delle parole è come l’incommensurabile velocità delle ali del più bello e del più piccolo degli uccelli.
Le quattro sezioni in cui è diviso il testo evocano i quattro elementi dell’aria acqua terra fuoco. L’acqua appare nella luce che sale all’ “incrocio terrestre”, le luci sono ovunque comunicate come punti o raggi che arrivano sui fondali nonostante le ombre della risacca di superficie.
Un cosmo di esseri viventi in relazione pulsa tra le righe: dai delfini che giocano all’ippocampo che danza nell’unità di una musica che distoglie dal “frastuono di inutili transiti” cui siamo abituati. E c’è pure un bimbo giocoso che vuole mettere il mare in una buca sulla spiaggia come volere penetrare il Mistero della “Vittoria” di chi continua ad offrire le sue palme sull’altare.
Per la poetessa vale l’infinitamente grande, il cosmico, come l’infinitamente piccolo che non indugia in inerte attese, ma che è vorticosamente operoso e dà vita al fiore conducendolo “dal bulbo alla gloria”. La metafora dell’ape che assapora il frutto è distillato del Verbo che crea silenzio nella luce e nel contempo movimento di carne e di pensiero generatori di lontananze e intimità “commovimento” come dice l’autrice. Alla fine “Non abbiamo che l’augurio / e il nostro dire bene / se non si può dire bene dire.”

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