recensione di Anna Maria Tamburini
Componimenti a confronto con la Parola, alcuni di soli tre o quattro versi, più alcune immagini fotografiche e un commento di S. Agostino sul tema di fondo: la luce della verità che l’amore conosce.
I testi di Ardea nascono sulla pagina pari, a fronte di due passi biblici, da libri diversi, tra loro in dialogo: sono riflessioni, una silenziosa ruminatio della Parola che penetra nell’intimo e si fa voce. Fa eccezione l’inno alla carità di Paolo del quale è riportata una più ampia porzione di testo e sta solo. A fronte, una sintesi dell’amore materno:
Generosi occhi di madre
dividono con noi calore
spezzano il pane
e non ancora sazi
ci offrono ristoro,
stupore nelle sfumature
del bel volto,
passaggio di rondini. (p. 35)
Basta l’ultimo verso per dire l’essenzialità di questa scrittura, che proprio perché privo del “come” di comparazione, rende con assoluta freschezza, connotata d’innocenza, quel battito di ciglia che traduce la carezza dello sguardo materno innamorato. Così l’ultima sta dentro alla prima e più grande similitudine, ugualmente implicita, dell’amore divino: Generosi occhi di madre.
La selezione dei passi biblici sulla pagina dispari è condotta sulla base di un dialogo tra i testi che guida il lettore a riconoscerne la parentela: «Manda la tua verità e la tua luce; / siano esse a guidarmi» è la preghiera del Salmo (Sal 43,3) che trova compimento nell’annuncio evangelico: «Io sono la via, la verità e la vita…» (Gv 14,6). Il testo poetico a fronte – se restasse incomprensibile / e in forse / toccata dalla perfezione / troverei amiche tutte le cose ( p. 37)– si sintonizza con la poesia di Agostino Venanzio Reali : «Se venendo la sera sapessi / che il mio male non le ha toccate / me ne andrei con la speranza / d’una fragrante purezza»; e anche «Ci ri-conosceremo in lui / amici di tutte le cose».
Del resto il titolo stesso della raccolta Ma il cielo ci cattura (un verso del componimento Inesorabile e bugiardo, p. 49) si sintonizza con Reali («aneli come veltro e preda») unitamente a tutta la poesia e alla mistica che rappresenta l’amore divino attraverso la grande metafora venatoria nel confronto tra predatore e preda.
Dalla medesima tensione spirituale nascono le immagini fotografiche, rigorosamente in bianco e nero, degli eremi d’Abruzzo: è la luce che trae all’essere quelle architetture e fa parlare i luoghi dalle cime più impervie dove il silenzio urla lo spessore fisico della trascendenza.
È difficile confrontarsi con una poesia tanto coraggiosa da lasciarsi provocare direttamente dalla Parola per rispondere non solo con la propria disposizione interiore ma con la propria voce che si fa scrittura, dove l’autentica poesia coincide con l’autentica preghiera.
Ma può l’abisso / aprirsi alla luce?/ Sul segreto delle mie parole / sul mio tormentato credo / per qualche tratto / il mistero si dissolve (p. 37). Le parole non sono del poeta, infatti; per questo recano una cifra del mistero.
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