martedì 28 settembre 2010

Su Storie minime di Maria Pina Ciancio

recensione di Margherita Rimi
pubblicata su  LA MOSCA di Milano - Intrecci di poesia, arte e filosofia, giugno 2010, n. 22 (p. 110/111)
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È tra i ricordi che ci conduce la realtà, nella storia dei luoghi, in percorsi per assenze:

“A chi resta a chi parte
(e non sa che lascia vuoti da riempire nelle crepe)”

Inizia così Storie minime di Maria Pina Ciancio.
La poetessa già dai primi versi avverte il lettore in quali territori intende condurlo.
Territori in cui ricordo e realtà si confondono, si scambiano nei luoghi della mente, dove ci si immerge ora nell’uno ora nell’altro verso.
Sono luoghi che hanno inciso nella carne la propria anima e con forte intensità vengono vissuti intimamente nelle storie di frammenti familiari ed individuali e nel destino di una comunità, di un popolo. Non a caso l’autrice fa riferimento nel sottotitolo, “Una poesia per Rocco Scotellaro” ad un poeta del Sud, della sua terra di Lucania, che fu anche uomo politico sensibile.
I versi sono pervasi da un presente che non sa dire senza la sua storia, senza un percorso che attraversa quei luoghi e li legge raccontandoli adesso, come allora.

“la storia
quella raccontata e quella dei ricordi
si impasta con la vita”

Dove sembra esserci un vuoto, un abbandono questi diviene presenza forte, traccia di continuità tra passato e presente, futuro e possibilità.
I paesi, le cose, gli oggetti, le strade, i muri, il vento sanno come muoversi in silenzio e sanno di essere, allo stesso tempo, una presenza che risuona e vibra di parole, di storie personali e individuali, di storie collettive.
Ed a mano a mano che sembrano spopolarsi nella descrizione, si ripopolano di storia e di senso.
È da tante storie che l’autrice si lascia attraversare, storie che appartengono alla sua, scandite all’unisono con il suo sentire.
Gioco della vita tra chi resta e chi se ne va.
Lacerazione dell’abbandono e dell’assenza, frammentazioni del destino, condizione di vivere nel sud.
È come se chi resta, in qualche modo, fosse andato via e chi se ne va fosse rimasto, è in questo gioco infinito che si compie una umanità che non ha più un luogo, è questa la terra in cui si compie il destino tra sradicamento e forte identità
Il luogo del sud diviene un territorio di transito, terra di passaggio, confine, simbolo della precarietà dell’esistenza in continuo e febbrile movimento, dove la morte e la vita, la memoria e la sua scomparsa, la partenza ed il ritorno, l’assenza e la presenza convivono in una sintesi di senso.

Agrigento, 07.09.2009

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