AA.VV.
SAMUELE EDITORE, 2010
recensione di Vincenzo D'Alessio
L’insieme dei poeti e poetesse, inclusi in questa antologia dedicata alla mamma, forma un altro contributo a quell’amore puro, sincero, che unisce il genere umano alla sua radice, alla sua tana. Come in un gioco, infantile, torniamo con la mente a nasconderci in quel luogo nel quale cresciamo e ci alimentiamo, volutamente ovattato, lontano da ogni sorta di sofferenza, ricolmo di una solitudine ancestrale che è comunione. Non si interrompe in nessun modo l’amore per questo luogo. Anzi, lo si costruisce nei momenti di pausa, lo si rinnova nell’atto di divenire madre o padre. Questa nuova condizione umana, e sociale, ci priva delle amorevoli cure materne e paterne; ci impone di pensare a chi, le stesse cure, si aspetta da noi.
Nascono allora i ricordi dell’infanzia. Ci trattengono sul limitare di un tempo, sospeso, protratto all’infinito. Una mèta continuamente allontanata dal periglioso cammino della vecchiaia. Senza neppure sfiorare l’idea, continuamente rimossa, della morte. Mamma è, in ordine di tempo, la password che apre il mondo dell’Amore. Il padre è il codice di accesso alle sicurezze esistenziali. In alcuni casi anche l’amore del padre convive in sintonia con quello materno (vedi C. Sbarbaro, della poesia A mio padre). Nel circuito poetico internazionale, gli autori inclusi in quest’opera, sono accomunati da diverse esperienze nel campo dell’amore materno. Vengono dal Messico, dall’Ucraina, dal Marocco, dalla Francia e dall’Italia.
L’autore italiano è Domenico Cipriano. Giovane con alle spalle già diverse esperienze di scrittura originale; di esperimenti poetico-musicali; di una sincera vena scrittoria che l’ha imposto all’attenzione della critica nazionale ed internazionale. Bene ha scritto nella prefazione, la grande poetessa Maria Luisa Spaziani, a proposito dei motivi che ispirano, da tempi lontanissimi, la necessità della scrittura: “Sono otto: la madre, Dio, l’amore, il padre, la morte, i figli, la patria” (pag. 7) e aggiunge, ancora, “i ricordi”. Sono rotte segnate sulle mappe dei tanti autori. Sono i meridiani e i paralleli per ricavarne longitudine e latitudine. Ma le correnti che solcano l’oceano uomo sono infinite e non quantificabili.
I versi che Cipriano ha consegnato in quest’opera sono di una leggerezza vicina alla verginità del fanciullo che arrossisce alle carezze della mamma. Lo indicano in modo chiaro, sopra le altre poesie qui contenute, i versi della composizione I cambiamenti:
(…)
Dovremmo essere rimasti
bambini sempre
per darle i baci e riceverne,
ma il tempo ci consuma
dentro, e non bastano le rughe
(a volte) per accettare l’inverno. (pag.71)
Quanti altri autori del Secolo Breve richiama questa bella espressione del Nostro! Tanti. Oggi a versarli nel nostro cuore è la mano di Cipriano che unisce due termini che, per noi, sono opposti e nel contempo necessari: “bambini sempre” e “accettare l’inverno”. L’avverbio “sempre” unito a bambino ci riporta all’affabilità dei versi di Giovanni Pascoli della poesia L’aquilone :“(…) ti pettinò co’ bei capelli a onda / tua madre… adagio per non farti male.”
Come non rinvenire nel verso “accettare l’inverno” il richiamo ai versi forti e pieni di memoria di Giuseppe Ungaretti della poesia La madre: “(…) Ricorderai d’avermi atteso tanto, e avrai negli occhi un rapido sospiro.”
Cipriano ha scelto la parte migliore per parlare della mamma. Ha scelto di versare la sacca dei ricordi come acqua che disseta dall’arsura del deserto. L’amore puro del “darle baci e riceverne”. La consapevole necessità che nessuna forza al mondo può sradicare il sangue che ci nutre e ci ha nutrito. È una linfa sempre viva, una energia perenne.
Come vorremmo che fossero in tanti a leggere i versi di questi autori. La società di questo nuovo secolo, appena iniziato, è lontana dai sentimenti. Ha tradito l’Amore puro e preferisce uccidere i figli, anziché crescerli. Preferisce l’egoismo al sacrificio. La discoteca, alla compagnia dei giochi e alle carezze ai figli. Quali ricordi conserveranno i figli? Quali i nipoti? E la figura semplice della madre e del padre, si trasfigureranno nei termini assoluti di eredità e benessere.
Belli i versi di Paolo Ruffili, utilizzati come epigrafe a questa raccolta poetica: “… il senso è cogliere/ (…) Di chi si gode la vita / ma anche ne è consumato.”
La sintesi, del percorso che abbiamo intrapreso è qui, nei versi di Domenico Cipriano della poesia Le distanze:
(…)
Non credo che dai giorni confusi
possiamo cogliere di noi
la stessa solitudine, quel vizio antico
di sopravvivere di passi quotidiani (pag. 68)
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