recensione di Germana Duca Ruggeri pubbicata su «L'immaginazione» n. 262, aprile-maggio 2011 (Anno 28°)
Nel cielo di parole di Anna Maria Tamburini si è librato in volo Colibrì (Prefazione di
Gianfranco Lauretano, postfazione di Loretta Iannascoli; pagg. 52, 10 euro), meditata raccolta

quale il recente Campi immaginabili, sulla comparazione di prestiti biblici nei versi di Padre Reali,
Margherita Guidacci, Emily Dickinson.
Se tale dedizione, ora, muove felicemente i primi passi verso la scrittura poetica, scegliendo
il segno di una alata meraviglia, “il colibrì / fuoriuscito da strati di vissuto”, si è tentati di
pensare a un percorso inarrestabile di perfezionamento, ovvero all’effetto di un istinto amoroso che Anna Maria, cercatrice di verità, ha saputo rinnovare e orientare nel tempo.
L’elegante dotto libriccino, con la copertina incisa dai colori luminosi di Enrica Rossi, è suddiviso in quattro sezioni, i cui titoli (sull’equoreo seno, affiora l’adamàh, alle superiori acque, puro fuoco) già suggeriscono una dinamica interiore che è parimenti riflesso di una ampiezza naturale, cosmica.
Di tale fusione ci si accerta procedendo nelle pagine, entro un variare sommesso di motivi, fra correspondences di sguardo e visione, già care a Baudelaire e, prima ancora, a Foscolo; come a tanti poeti del Novecento (si pensi a Rebora, richiamato in Prefazione da Lauretano, oppure ad Antonia Pozzi).
Sullo sfondo di queste liriche, troviamo delineati sorprendenti scenari, ove leggi fisiche, allusioni scientifiche, cenni a botanica, ornitologia, entomologia, legano e liberano il corpo-anima di ciascun essere vivente e il portato mistico di una scrittura in versi tutta in battere e levare.
Così l’intera raccolta, mentre restituisce il brusio dell’universo, il suo solfeggio, – “Da un capo all’altro / non un frullo si perde / non battito d’ala // di farfalla palpebra pinna / non ticchettio di sfera / d’ogni specie. Non si perde.” -, celebrando la resistenza dell’amore di Dio, diviene movimento di pupilla che, nel contemplare, comprende e loda; eco di pensiero che vuole “dire bene / se non si può dire bene dire”
l’ape e la libellula, l’ippocampo e i delfini, il merlo e l’orso, la mortella, l’orchidea.
Lo stesso colibrì, in tale scorcio, potrebbe essere figura dello Spirito. Simbolo di energia vibrante nel fuoco
pentecostale, nel vento ascensionale, silente o fragoroso, che spira quando e dove vuole: “È frastuono d’oceano nel silenzio // vasto il pieno d’orchestra / delle orbite celesti / e lo Spirito non sai /donde venga dove vada // solo avverti - del destino - / in nome del padre, / la vita e il compimento / in nome della madre / l’abbraccio di un grembo / e il nutrimento”.
Questo uno dei possibili sensi della silloge tersa e iridescente di Anna Maria Tamburini, specie nei passaggi in cui, rammemorando maestri e maestre, sostiene l’intima occorrenza di comprendere la vita.
Quasi non bastasse osservarla da ammiratori un po’ sordi e distratti quali spesso dimostriamo di essere.
Quasi fosse troppo poco anche il solo fatto di amarla.
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