lunedì 16 agosto 2010

Su Vista sull’Angelo di Massimo Scrignoli

Book Editore, Ro Ferrarese (Fe) 2009


recensione di Anna Maria Tamburini 

Intuire decifrare tradurre, unire unire unire… sono i verbi che il poeta sottolinea nella direzione di forme nuove della conoscenza. E d’altra parte il pensiero che separa, la tradizione del logos greco, soprattutto da Cartesio a oggi, ha segnato per intero la civiltà occidentale ma non appartiene al sentire dei poeti, o comunque è insufficiente alla poesia. Più propizio, il sogno, invece, ammette senza mediazioni allo spazio senza tempo là dove la parola è un’offerta / o la caduta di un dono.

Vista sull’Angelo  è una raccolta di soli ventinove testi, assolutamente coesa e costruita simmetricamente su cinque sezioni di cinque componimenti ciascuna, fatta eccezione per l’ultima che ne contiene nove: Senza ritorno, Il cedimento di Dio, Del Sublime, Del tempo, La Casa. Nonostante ogni componimento possa vantare una propria plausibile autonomia per lo più il discorso procede da un testo all’altro con assoluta coerenza e studiata collocazione delle reiterazioni e dei rimandi.  Alcune formule, soprattutto, si rincorrono tra le sezioni.
Ma l’organizzazione di questo percorso è strutturata con moto a ritroso: tra slittamenti numerosi dei significati nella costruzione logica del discorso (Poiché l’anima conosce bene l’uomo / l’Angelo parla con lei soltanto / quando l’uomo dorme - perché se l’uomo è sveglio l’anima non ha spazio? Allora è l’Angelo che conosce bene l’uomo!) e ossimori…, le molteplici inversioni (Se il sentiero del ritorno avrà un pensiero, p. 19; Con l’inverno per cappotto, p. 29, ai piedi delle foglie, p. 39, ) infatti ammettono all’ultima, ultima tappa di un percorso come rovesciato che è tempo della memoria e della vita. Anche la sequenza dei titoli sembra delineare tale direzione: di solito prima viene il nido, la casa, poi l’esperienza del tempo, la partenza, la soglia.. Ultima si direbbe la percezione del sublime. Ma da una vista sull’Angelo si scorge un’altra casa: il vento adesso è il confine è il titolo dell’ultimo componimento. Il confine da ultimo è vento, e dunque sono saltati tutti gli steccati. Questo, nella prospettiva della casa, che normalmente è a un tempo il luogo nel quale si vive e quello dal quale si parte per fare ritorno. Come a dire che si rovesciano infine tutte le prospettive, che la casa stessa, infine, è vento.
Il presupposto stesso da cui muove la ricerca – che inizia (e tuttavia) come prosecuzione di un discorso ininterrotto – è un interrogarsi su come uscire dal mondo:

E tuttavia



per uscire dal mondo dovremo (…)

Intuire decifrare tradurre sono tre verbi che ritornano scanditi, ciascuno un rigo a se stante, e graficamente ripartiti a scala discendente, nel testo d’apertura della raccolta, il primo della prima sezione che ha titolo Senza ritorno (p. 13 ), e  in quello di chiusura della seconda, Il cedimento di Dio (p. 33), a questo punto affiancati tutti nello stesso rigo – un solo endecasillabo –.
Il movimento discendente, tra l’altro, visualizzato sul piano grafico nella disposizione dei tre verdi nel componimento d’apertura si ripete nella dinamica dell’uscita –

Si passerà da una porta assente
che si può immaginare dietro
le scale, in basso

– e ancora, nelle parole del vecchio guardiano –

scendete sette scalini a destra.
Il luogo della fenice è un triangolo (…) –

Anche quest’ultimo verso diventa un ritornello, questa idea della rinascita, così come il precedente: dove / il pane è una luce verticale. Come a dire dove il nutrimento è la sola luce.

Il secondo componimento Entrando nel triangolo ti fermi e pensi….  Ancora la forma grafica informa sull’organizzazione del discorso:

pensi
LA VITA

quando (…)

Uscendo dietro la fenice ti fermi e pensi

                        IL DESERTO

Dalla prospettiva ultima si possono scrivere al maiuscolo la vita e il vuoto, o deserto dopo l’uscita di scena. Ma cos’è il triangolo se non la rappresentazione simbolica del mistero? Dall’uomo misurato attraverso l’enigma di senso dell’esperienza della vita e della morte.
Trovo in questa lettura della vita come luogo che cede al deserto – per quanto da posizioni molto personali e salvaguardata l’originalità espressiva e tematica di ciascuno degli autori – come un tentativo di accostamento all’opera di  Enrica Salvaneschi, autore di In vano,  che a ogni nuova raccolta ripercorre questo inesauribile e ineludibile tema. D’altra parte a Enrica Salvaneschi unitamente a Silvio Endrighi è fatto espresso riferimento per la formula Il dolore invecchia presto (p. 37) dell’ultimo loro lavoro letterario, Libro linteo (2009). 

Ma Vista sull’Angelo  è una raccolta che, pur presentando liriche organizzate singolarmente, e raccontando passaggi della propria vicenda personale, i luoghi, i momenti… annoda l’uno all’altro i testi lungo un filo assolutamente coerente di discorso, una riflessione sul “terribile” e l’eterno in presenza soprattutto di Rilke e di Eliot. Del primo, le forme del terribile, appunto, nella figura dell’Angelo; del secondo, il tempo rappresentato a più riprese come il fiume e la foce, alla confluenza tra il tempo e l’eterno.
La parte autobiografica della narrazione trova spazio per via trasversale, là dove il poeta descrive, spesso registrando i riflessi della luce sui vetri o sugli specchi, la città, i suoi angoli più caratteristici e nascosti (il ciliegio secolare del chiostro in S. Antonio in Polesine, che le claustrali ritrovano fiorito ogni anno a Pasqua, p. 39; il Palazzo della Signoria, p.71)… e la casa; e della casa, la madia, le ante dell’armadio il quadro che trascrive, appunto, le parole di Rilke (p. 65). Rappresenta infatti anche un grande omaggio al grande poeta ceco, questa Vista sull’Angelo che forse proprio da qui trae il titolo dell’intera raccolta. Non vista d’Angelo: nessun complemento possibile di specificazione, né oggettivo ne soggettivo; ma sull’Angelo, scritto al maiuscolo perché adombra il Sublime. Assolutamente laica la declinazione di ogni riferimento alla prima e alla seconda morte, a Dio o alle tracce di Dio, all’Angelo, appunto. È significativo anzi che ritorni spesso, ossessivamente, il tarlo del male della storia, con le immagini di quello che si può assumere come il suo simbolo per antonomasia, il formicaio distrutto di Auschwitz (p. 25, p. 29) e che questo trovi posto nella sezione Il cedimento di Dio.
La sete di conoscenza porta la scrittura poetica, altresì, nello spazio delle arti sorelle, la pittura (Piero della Francesca) e la musica (fedele la frequentazione di Mahler ) anche in un medesimo contesto (p. 41)  – ed è parentesi non incidentale la citazione di Pound sul triste primato della finanza inefficace alla vita dell’arte ma motore delle atrocità della storia –, e al recupero di tradizioni culturali diverse e lontane. Del divino nella Bibbia è fatto il nome secondo le due tradizioni, Javista ed Elohista, o sacerdotale.
Numerosi i miti ripercorsi, ancora più numerosi gli autori visitati: da Shakespeare (p.65) a Blake (p. 37), Dostoevskji (p. 73), Ungaretti (p. 31), Dante – ripetutamente, e già in epigrafe, a introduzione della prima sezione, per cui dell’intera raccolta –. Ma in questo libro sulla morte, suggestivamente rappresentata come la Cherubina del vuoto (della Nona Sinfonia di Mahler, p. 41) che ritorna di passaggio (p. 68), anche nomi più defilati, e però segnatamente pertinenti, vi fanno comparsa: Silvio d’Arzo che vi è espressamente citato (p. 55) – del quale è reso emblematicamente nella sezione Del Tempo il dramma della solitudine esistenziale, o della propria dimensione spaziotemporale percepita come casa d’altri –, e, oserei aggiungere, Agostino Venanzio Reali per una frequentazione di luoghi e formule della poesia  –  il sentiero del ritorno (p.19) – che possono assumere modulazioni diverse – senza ritorno in questa Vista sull’Angelo ma anche timbri assonanti – mai più, nemmeno al sole, mai / più sarà permesso dire … (pp. 29-30), così affine al realiano non dite più parole della poesia di guerra –.

Se alla critica fosse chiesto di enucleare aporie e contraddizioni forse sarebbe onesto rilevare l’atteggiamento del poeta, che resta a volte più quello dell’osservatore che quello di chi sperimenta, perché se da un lato ripete a sé stesso l’urgenza della parola unire (p. 27) per indicare forme di pensiero nuove alla tradizione occidentale, dall’altra intuire decifrare tradurre si dispongono in una sequenza ancora troppo contigua a un orizzonte di senso che classifica e separa. Eppure si avverte grande fiducia nella parola, nelle sue fughe, nelle sue impreviste irruzioni. E sembra si possa dire che, se il primo capitolo enuncia gli intenti dell’autore in forma programmatica, poi il corso dell’opera per sua buona sorte si trova a prendere forma su rappresentazioni e sovrapposizioni della fantasia e della memoria, del sogno del sonno e di quello a occhi aperti. 

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