venerdì 6 agosto 2010

Su Solchi e Nodi di Caterina Camporesi

Ho ricevuto questa lettera da Alfonsina Zanatta che ringrazio per la generosa ed empatica  lettura del libro, che mi ha reso davvero felice e che desidero condividere con gli amici del blog. (CC)

Carissima Caterina,

Sul suo libro Solchi e Nodi partirei da quel dolore deposto sulla soglia che con tanta cura e onestà lei accompagna nelle sue pagine, nei suoi versi.
Sì, ho apprezzato molto lo sguardo discreto, misuratissimo, e al tempo stesso nitido, coraggioso e fermo con cui indaga e danza nel Dentro della vita.
Viaggi e vertigini dentro gli spazi più intimi, in una solidale compagnia… quel curiosare insieme / nella macchia dell'infanzia, o quella mano offerta a disseppellire nostalgie (sette anni a seppellire), a liberare varchi di verdi acque, a svuotare (splendido il perfetto aforisma troppo breve la vita…), da alleggerire financo degli strati di risoluto silenzio…

In modo speciale mi affascina il rispetto altissimo di ciò che abita le pieghe dell'anima; può essere che mi giochi il saperla psicoterapeuta, ma può anche essere che mi offra una efficace chiave per stanare una luce indicibile, per cogliere le tracce di una presenza non solo terrena proprio dentro ciò che pare sotterrato, magari sepolto…
Insomma, io penso che Dio dimori nell'interiorità, che vi cerchi lì la Sua dimora o, meglio, che lì dia a noi di trovarlo, di riconoscerlo, di desiderarlo, di gustarlo. Lì, Dentro,
Lì sta Lui e lì stiamo noi.
E questo in qualche modo lo avverto nei suoi versi, soprattutto là dove la felice ricerca formale incontra una radiosità inattesa: Lo stupore nei sensi / l'incanto ad ogni passo // resta bianca la strada / sotto il manto della notte.
Vedere, sapere, sentire quella strada che resta bianca è la grazia. È l'accesso alla Vita. Allora sì è l'incanto ad ogni passo…

E anche il suo libro è un po' una strada bianca… un percorso unico, come ben testimoniano l'uso o, meglio, il non uso delle maiuscole e della punteggiatura, l'estrema rarefazione dei versi, il generoso silenzioso bianco che li avvolge, il ritmo composto ed elegante che li muove e li dispone. E poi, insieme, la musica dei suoni, con quella abbondanza di figure di suono a dipingere la strada bianca… quasi rumori aperti al canto, o aiuole dove il fango si fa colore.
Sì, perché forse proprio le soluzioni formali fanno convincente quel suo verso: sospende la vita il suo dolore.
Il dolore c'è, è vero, in quasi tutte le sue poesie: in molte c'è la rovina, in alcune il gelo. Verso la fine i toni sembrano accendersi verso un precipitare. Eppure resta più a lungo il sapore della misura e della bellezza, del sacro – quasi direi, quel sacro che ama accomodarsi Dentro.
                                Alfonsina Zanatta                                                          

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