mercoledì 4 agosto 2010

Su Colibrì di Anna Maria Tamburini

 
Dall’epilogo, ovvero da una notazione afferente all’ultimo testo: non arresta, no – pierre! – il segno, traiamo il destro per la nostra succinta lettura di Colibrì, nuovo brillante colpo realizzato da Alessandro Ramberti, lungimirante (probabilmente perché anch’egli in primis poeta) manager della riminese FaraEditore. Esso, a nostro avviso, compendia la summa creativa, lirica, visionaria di questo seducente lavoro di Anna Maria Tamburini e da solo legittima l’intera silloge.
Su questa hanno felicemente dissertato Gianfranco Lauretano e Loretta Iannascoli, i quali, rispettivamente in prefazione e in postfazione, hanno accompagnato la Nostra in questa sua (difficile da credere data la maturità che essa esprime) opera d’esordio.
io lei e la romagnaAsserisce Gianfranco Lauretano: “L’autrice … ci mette di fronte ad un mondo che è già prodigio di sé, un luogo che chiede solo che ci si accorga di esso … e tenta di restituire l’energia segreta che scaturisce da tutto … un’energia resa da una oculatissima scelta lessicale, tesa come il ritmo dei versi generalmente brevi”. E prosegue: “vengono continuamente sottolineati corrispondenze e nessi … e le parole giocate a tutto campo in modo che il loro potenziale semantico sia utilizzato al massimo grado.” Quanto al componimento sopra evocato, afferma che in esso “si svolge una vera e propria apologia dell’anima, anzi della “punta dell’anima”, in un ritorno di essenzialità ed estremità.”
Loretta Iannascoli, dal canto suo, assevera: “La raccolta è composta di una serie di poesie che formano un insieme che come tale va letto”. E insiste: “le poesie, così discrete, delicate, leggere, mai malinconiche e mai dubbiose di ciò che vedono o avvertono, guidano così senza incertezze, con l’aria di chi non ha ambizioni, quasi non avessero una meta. E, invece, passo dopo passo, elemento dopo elemento, conducono in alto ... per cercare di entrare in profondo contatto con il mondo e cogliere il mistero di questa vita e di ogni vita … [e] ci si rende conto del proprio “com-movimento” di fronte e in ascolto dei “moti infinitesimi necessari alla vita.”
Considerazioni, queste, autorevoli e centratissime alle quali nondimeno intendiamo affiancare, a mo’ di sentito omaggio all’Autrice, la nostra modesta testimonianza.
La scrittura di Anna Maria Tamburini procede suggestiva, istoriata, guizzante, come appunto il colibrì che ne ha suggerito il titolo, in una sorta di rarefatta partitura, di caleidoscopico succedersi di tavole, di scoppiettante quanto raffinata accumulazione di esiti.
Varrebbe la pena di riproporre integralmente il componimento non arresta, no – pierre! – il segno, al quale in ogni caso con cordiale insistenza rimandiamo il lettore; e tuttavia pure per esigui stralci: “urti e discontinuità / di ogni sorta ... al centro l’uomo … la punta dell’anima … sopra il sensibile moto / e le alterne vicende”, esso palesa con eloquenza l’attitudine della “penna” di Anna Maria Tamburini a coniugare la lievità della forma e lo spessore del pensiero, il registro, affatto singolare, a cui essa assurge.
In tale contesto, risulta altresì tratto distintivo l’anastrofe, figura retorica mediante la quale si inverte il normale ordine sintattico delle parole, di cui la Tamburini fa accorto uso e che viepiù impreziosisce le sue trame: “l’orso al sonno si consegna / dell’inverno”; “il mare versare / che specchia il cielo”; “la vita che nasce ... misteriosa … ubbidiente / a ignoti richiami / è d’amore veicolo”.   


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