martedì 17 agosto 2010

Su Animali e stelle di Rosita Copioli

la collana Stampa, a cura di Maurizio Cucchi, Azzate (VA), 2010
recensione di AR

Divisa in tre sezioni (l'ossimorica “Dove brucia il mare”, la plurale “Animalia” e la siderea “Stelle”), questa godibilissima raccolta ci mostra una Rosita Copioli essenziale, domestica, intima e penetrante: un compendio particolarmente accessibile, quasi confidenziale, alla poetica a tratti sofisticata e alla cultura vastissima della Nostra.
Il libro si apre con questi versi teleologici: “Ai confini del mondo, dove brucia il mare, / dove piove zolfo dal cielo, questa nave / va, la mia, la tua nave”. Nella seconda poesia, I cancri del Novecento, troviamo un esplicito riferimento a Ivan Illich e queste pregnanti domande:  “sappiamo distinguere il mostro simbolico / da quello indotto? / La differenza che separa la generazione dei mali?” (p. 15). E nella poesia seguente troviamo questo aforisma che la titola (e che ci ricorda la arendtiana “banalità del male”): “tutto ciò  che è / più atrocemente stupido / ama replicarsi” (p. 17); e una dichiarazione di fede: “Ma chi fu vita e onore non sbagliò / sulla croce. Quella fu vita. / Quello fu onore” (p. 19).  Affrontando ancora il discorso sulla morte, nella quarta poesia Copioli scrive: “Nella libertà dell'uomo sta l'incontro / con la morte. / (…) / Se sul mare chi nuota non ha libertà, / il mare cos'è?” (p. 21).
Passiamo ora alla sezione “Animalia” dove si parla appunto di animali: “Mi sento alla loro pari, / una testimone di istanti / ripetuti all'infinito, / al riparo da noi” (Gli animali non sono il paradiso, p. 27); “tre tartarughe placide / brucano l'erba, capre del fondale algoso e basso. / (…) / lente e precise, la sapienza arcaica / nella corazza. / Forse anche per la sapienza arcaica / è servita la corazza” (Nella baia di Abu Dabbab, pp. 30-31); “i pesci si sono abituati a me, / e mi scambiano per un pesce più grosso. / Sono ormai uno di loro” (Il mio non è un mare del Sud, p. 33); “Zeus, bene ti sei fatto allattare / da una creatura rapida e leggera, / più delicata di un gatto, / più solida della roccia / che abita” (Capra di Lindos, p. 34); “ha una bellezza fiorita, / che nessun muro merita / abbastanza” (Tarantola mauritana, o muraiola, p. 37); “nella neve, i fagiani ti sentono / in ritardo. Si sparano su davanti ai tuoi piedi / spaccando l'aria quieta / spaccando il cuore come fucilate” (Fagiani nella neve, p. 39). Come si può notare da queste citazioni sparse, i versi sono carichi di una forza visiva e narrativa che risveglia i nostri sensi con acutezza, il dettaglio è colto con precisione e innesca una catena metaforica che ci scuote, direi quasi ci illumina. Il dettato è accogliente, ha macinato infinite letture e fa tesoro dell'esperienza vissuta… leggere queste pagine è come mettersi in ascolto di una voce amica e “saggia” come quella di Luzi. I versi hanno lunghezze variabili ma con un ritmo nascosto, a risacca, che fa risuonare le parole con la dovuta lentezza, caricandole di senso, di sensi.
L'ultima sezione è quella più intima: “Fu così, che infuriate le stelle / (…) / ci costrinsero a guardarci. / Noi eravamo cauti. Loro no” (Le stelle, p. 46); “Dammi la carta segreta / che ti appartiene / in un mazzo di fantasia / che non hai mai giocato. / Sono lì, nascosta. / Non hai che da prendermi / in mano. / (…) / i traumi sono superflui / qualunque cosa accada / non è nulla, ma dipende, / se ti riguarda / anche nulla” (La biglia, pp. 47-49); “mi rapiscono, e io non ho mai visto / me, come in te negli artigli / dei tuoi occhi che / si sono fatti scuri, e mi / impauriscono, come se non potessi / schiarirli, decifrarli più, / vederti” (Gli artigli, p. 50); “Scrivevo un tempo solo mossa dal dolore; / non più, hai rovesciato la mia vita” (Scrivevo un tempo, p. 51).
Animali e stelle, terra e cielo, corpo e anima… e anche le più scottanti questioni di attualità che riguardano la vita e la morte di tutti noi ospiti di questo pianeta sorprendente: “nelle tombe si rincorre la vita” (Se deve essere uguaglianza, p. 28).

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