domenica 22 agosto 2010

Intervista ad Alberto Mori di Andrea Garbin

A.G. Scorrendo la tua bibliografia si può notare come i tuoi libri vadano ad affrontare ogni volta una differente "zona" della quotidianità. Cosa ti ha spinto a fare questa operazione e come avviene la scelta? E' una cosa naturale che viene da te o c'è qualcosa in queste "zone" a fare da richiamo? E a distanza di tempo ti capita di rielaborare, notare mutazioni nelle "zone" o punti d'incontro tra esse?


A.M. A circa metà degli anni ’90 ho compiuto un vero e proprio nuovo orientamento del corpo sensoriale nella mia poesia ed ho approfondito nei versi il rapporto con i linguaggi della contemporaneità che hanno loro ambito naturale/artificiale nei luoghi dove vengono posti in essere dalla loro pratica quotidiana: In un supermercato,mentre si compie una transazione, durante uno zapping, ecc. esiste un esiguo margine dove la poesia insinua ed evidenzia la sua presenza, la sua procedura. Ad inizio secolo, anche attraverso un rapporto personale sempre più assiduo con la fotografia ed il video, ho notato la mutazione antropica dei luoghi che in pochi giorni cambiamo stereotipi nei design architettonici e rendono la presenza umana sempre più touch screen mentre talvolta a pochi metri vi sono macerie distruzione ed oblio. Vi è comunque una notevole differenza nel mio fare poesia fra “Zona” e “Luogo”.La zona viene rilevata dopo un vagare a vuoto e senza meta e ne vengo attratto come pura e semplice fascinazione iniziale dello spazio. Il luogo invece diventa il mio vero e proprio lavoro, perché lo affronto e lo sperimento nelle sue possibilità. E’ lo spazio dell’azione.

A.G. Avendo assistito più volte ai tuoi reading, o meglio alle tue performance, per il lavoro sui suoni e sulle vocali che fai con la tua voce interagendo con immagini e altri suoni o voci registrate, ho notato più volte, tra il pubblico, persone spiazzate da questo modo di proporsi. Per contro altre persone rimangono folgorate da alcuni termini tanto da memorizzarli e continuare a ripeterli. Non so se hai mai avuto questa impressione. Cosa credi possa creare questi scossoni nel mondo del linguaggio dei lettori/uditori?


A.M. E’ una forma di reattività che è implicita nel processo della performance stessa, la quale non è mai qualcosa alla quale si assiste passivamente, ma mentre è in azione riorienta le percezioni : per giungere a questa presa di coscienza il poeta performer deve lavorare sulla medialità della parola e lo spettatore/uditore partecipa a questa coralità che crea l’evento mettendo in gioco la propria sensibilità personale e dunque anche le proprie cesure e negazioni

A.G. Quali sono stati i tuoi poeti di riferimento, nella prima fase della tua formazione poetica, e quali sono adesso, se sono cambiati?

A.M. Poeti di vero e proprio riferimento non ho mai avuto nessuno, poiché fin dalla prima adolescenza mi sono occupato solo ed esclusivamente di me stesso, ma ho avuto ed ho certamente grandi passioni di studio per altri poeti .Da sempre però soltanto tre nomi: Charles Baudelaire Andrej Tarkovskij e Carmelo Bene, che voglio incontare per condividere esperienze anche in un'altra vita.

A.G. Io però nel tuo percorso vedo anche una certa consanguineità con due poeti: Emily Dickinson e Yves Bonnefoy. La prima nel dire che “il giorno in cui la parola è detta inizia a vivere” e il secondo nell’affermare “parola che più la ripeti e più consolida la propria esperienza”. Sei d’accordo?

A.M. Il discorso qui si sposta sul piano dell’esperienza della parola nel rapporto con il tempo dell’esistenza e se debbo coniugar(mi) le tue affermazioni credo che possono essere accomunate nel fare del presente. Attraverso quel margine di ineffabile che permette alla vita di essere poesia.

A.G. Come valuti invece la situazione della poesia contemporanea?

A.M. Credo che si trovi ad una svolta epocale poiché attraverso molteplici percorsi sempre più interessanti e stimolanti è divenuta consapevole del suo destino quotidiano di resistenza umana nei confronti di tutto il mondo che la ignora e con tutti i mezzi ed espedienti possibili la mette fuori gioco.

A.G. Quale credi sia il motivo per cui il mondo di oggi ignori la poesia?

A.M. Vi è un motivo di carattere strettamente esistenziale: un vero poeta è voce della natura umana che mette i suoi simili di fronte a sé stessi e non tutti gli uomini vogliono o possono fermarsi ad ascoltare la parola della poesia per uno scatto ulteriore della propria condizione spirituale e sensoriale verso una migliore qualità attentiva verso il mondo. Ve ne è un altro che riguarda invece l’atteggiamento culturale nei suoi confronti: La poesia spesso viene relegata ad una assurda superfluità attraverso la quale ogni forma di esibizione da quella personale a quella istituzionale sembra possibile ma in realtà la cancella e depotenzia arbitrariamente.

A.G. Tra i molteplici percorsi, visto che non possiamo non guardare all’estero, però mi viene in mente ora quello del poeta Eduard Limonov, in Ucraina, divenuto leader politico di un partito estremista che inneggia alla rifondazione di un impero euroasiatico governato dai russi, e che disprezza apertamente le minoranze etniche. Come vedi questa scelta.

A.M. Deve far riflettere, poiché la poesia e la politica divergono completamente da scelte ideologiche e particolaristiche. Uno dei compiti antichi della poesia è di restituire quello che vede, qualsiasi cosa accada, con senso etico condivisibile da tutti gli uomini: se nella poesia si rompe o fraintende questo patto con gli altri uomini si entra nella menzogna e successivamente nella disumanità.

A.G. Uno sguardo sulle avanguardie dell’ultimo secolo?

A.M. Credo che si possa parlare di come si sono trasformate: e da questo punto punto di vista la sinestesia e l’interattività abbiano esteso il concetto di politesto che è eredità degli anni ’80. Si sperimentano parole sensoriali e corpi digitali a loro connesse proprio perché cambia anche il fruitore della poesia che vuole anche vedere e toccare un testo e questo è qualcosa di davvero positivo perché il senso mediatico e mediale della poesia la integra sempre più armonicamente nell’arte e nelle arti performative.

A.G. Tornando al tuo percorso poetico. Col “Circolo Poetico Correnti” organizzi da anni i festival itineranti di “Poesia a strappo”. L’ultimo si è svolto a Bolzano. Vuoi spiegare di che si tratta esattamente, come è nata l’idea, quali obbiettivi aveva, se li ha raggiunti, e cosa hai potuto osservare in questi anni?

A.M. L’idea è nata nel 1994 .Poesia A Strappo rende pubblica la poesia nei luoghi e negli spazi pubblici delle città attraverso l’esposizione di blocchi di poesie inviate dagli autori assemblate e posizionate su dei pannelli dove avviene lo strappo. Il passante/lettore incontra così la poesia. Uno degli intenti di Poesia A Strappo è quello di rendere pubblica la poesia. Essa non ha un obbiettivo, ma attraverso questo semplice concetto si può osservare una vasta gamma di proposte di poesie e di lettori. La raccolta delle poesie è aperta a tutti ed ogni edizione della manifestazione sperimenta nei luoghi una vera e propria rete di relazioni aggregando i poeti anche con i loro stessi reading con le performance mantenendo il suo carattere di happening in progress viaggiando per l’Italia.

A.G. È uscito il tuo ultimo libro, intitolato “Objects”. Ti va di parlarne?

A.M. Penultimo poiché l’ultimo si intitola ArchiScritture ed è edito da Lampi di Stampa. In “Objects” (Fara Editore) lavoro sugli oggetti di poesia. Alcuni sono fotogrammati in versi nella loro evidenza.Decontestualizzati e ricostruiti.Altri sono puramente linguistici e vivono nelle accezioni straniate dalla loro forma semantica .Essi sono di volta in volta posti sul set della pagina e talvolta alcuni raggiungono quasi una loro metafisica paradossale. “Objects” è accompagnato nelle presentazioni da performance e videoproiezioni che a loro volta supportano e reinventano foneticamente e visivamente la loro decostruzione e ricomposizione immaginaria e ludica.

A.G. A questo punto, vista la tua prolificità, non posso fare altro che chiederti di “ArchiScritture”.

A.M. ArchiScritture ha come principale tematica il rapporto fra poesia ed architettura E’ suddiviso in quattro parti “Cantiere” “Stanze” “Casa” “Decostruzione” ed Ogni parte ha un rapporto diverso della parola/spazio In “Cantiere” ciò che è in opera e che scomparirà nell’edificazione In “Stanze” vi è la qualità interiore dell’abitare In “Casa” l’edificazione con le corrispondenze parole/corpo dell’architettura In “Decostruzione” la dissolzione verso un ulteriore spazio una volta raggiunto Il grado “Zero”. Ogni sezione è introdotta da una mia fotografia ed introdotta da citazioni di autori di 4 arti diverse : Bernard Tschumi (Architetto –Cantiere) Charles Baudelaire (Poeta –Stanze) Andrei Tarkovskij (Regista – Casa) jacques Derrida (Filosofo- Decostruzione)

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