venerdì 27 agosto 2010

da "Sputami a mare" (di Stefano Bianchi)


Inverno

Se devi fare il tuo sporco lavoro
fallo!
Se è l’ora di dormire
che si dorma!

Non lasciarci appesi
a filuncoli di raggi inutili
foglie abbarbicate
a rami stanchi
di loro
d’averle
in questa lenta
in questa finta
eutanasia.

Intridi d’acqua
questa sabbia fredda
ramazza di venti
queste foglie gialle
e queste rosse,
anche.

Smetti alfine
la finzione
smetti ambigue nostalgie.

Se è ora di dormire
che si dorma!
Se devi fare il tuo lavoro
fallo!

Sta a te tirare i dadi
a noi andare
di casella in casella.

È il turno

niente di triste
niente di che.

Il gioco dei perché

Chissà dove chissà quando
troverò una verità
che non ha niente del tuo sguardo
dei tuoi occhi
di te
niente.

Sarà forse sulla via
che ho imboccato stamattina
o dovrò perdermi ancora
mille strade?

Sarà forse sulla luna
o sulla via per casa mia?
La riconoscerò
come un fiore di campo
dai colori e dal profumo
se la incontro
o da cos’altro?

Sarà che poi l’incontro
o non mi basteranno gli anni?
Sarà che c’è davvero
o sarà che non si sa?

O è così un po’ per tutti?

Frammento

È difficile a volte
stare nel presente
i ricordi ed i sogni
costano meno.

Malìa

Quale malìa nuova
questa sera!
Incantami,
ci piangerò, ci morirò, ci starò male
altro non chiedo
che voglia di sbagliare!

Quanto tempo che è passato
quanto,
senza un pianto, né uno sbaglio!

Che carnevale principessa!

Che voglia di raccoglier
la tua scarpa dopo il ballo
che voglia d’abbandono
alla piena del tuo fiume.
Spazzami via,
sputami a mare
come un ramo già caduto.

Presto saprai chi sono
e non ti piacerà,
le mani…
dove mettere le mani?
Avrò gesti, avrò parole che non so
ti porteran lontano,
ti porteran vicino…

Non ho che da sbagliare
un’altra volta
non ho che da rischiare
di perderti per sempre
non ho che un mare di presente
finalmente.

Le foglie di novembre

Vivo solo di parole
aria e fumo
son le foglie di novembre
sui marciapiedi colorati
dell’autunno.

Le mie suole

un soffio e vanno qua
un niente e volan là
van dove le porta
stan dove le lascia
il vento.

C’è chi segna sulla mappa
la strada di ogni giorno
li vedi con l’ombrello
che sia sole o che sia pioggia

orologi

i loro viaggi, loro imprese
han mete programmate
tempi misurati.

Pure

van dove li porta
stan dove li lascia
il vento.

Pace

Scorta appena tra i filari delle viti
intravista nei grappoli succosi
che mi porgi con le dita
e di cui gravi la mia mano
piena di tutto ciò che è
niente.

Solo ora lo capisco, vedi?

Quanta più sete avrebbe estinto
la stilla benedetta di quest’uva
l’avessimo anche solo raccolta
assieme.

Te che tante volte la vedi crescere
dalla terra inseminata dalle unghie
tue nere di lavoro
e tante volte arata.

L’avessi una volta sola calpestata
prima di berne a sbafo il tesoro
che l’acino conserva
come perla la conchiglia
rosso di rubino dietro il vetro
se lo guardi in controluce.

È pace che ho intravista?

Dimmi sì fratello in bianco
che non è il solito abbaglio
che sono ancora in tempo
per ogni sbaglio.

Il tesoro sepolto

La mia vita è un giardino che s'affolla
ed io non ho più il tempo di cercare
il tesoro che ho sepolto
quando gli anni erano pochi
né l'amore che ho nascosto
tra le pieghe della gonna
In cui danzasti quell'inverno.

È l'eco dell'urlo che a lungo
seppi soffocare
in nome di una pace
che non ho mai saputo
come quella sera
che urlammo alla lunale cose sognate.

La voce del faro

La sirena del porto
dice la nebbia di novembre
e il giorno dei morti
mi sorprende

vivo

nonostante la pioggia ed il vento
che ramazzano la notte.

Sento
la voce dei merli
dal giardino,
i richiami della madre
lontano il merlotto
scorazza bambino
e non stacca il volo.

Voi cari morti
invece
non parlate
non tradite il segreto
del grande capo, eh?

Pure vi vedo
a spazzare le foglie del giardino
e accompagnarmi il sonno
fino al mattino.

Dite ancora una volta
vi prego
i noiosi e stanchi consigli
preziosi lo so

diteli, diteli …
che non li sento
non li sento.

Come le manine[1] di marzo

Come le manine di marzo
come l’ultima foglia
gialla accartocciata
al vento di settembre.

Come gocce dietro i vetri
quando piove
che scendono lente
lungo linee pazze
si sfiorano un attimo
in unica goccia
e di nuovo scendono
scisse ed ubriache.

Come rami, come tronchi
che il mare d’inverno
schianta alla riva
da chissà quali fiumi.

Come noi.

Forse tutto è nella corsa
lontano l’approdo
troppo
non perderci un giorno
a pensarlo.

Vedi, a volte un raggio di sole
un sorriso, un incrocio d’occhi
quasi impercettibile, tanto di fretta
l’ hai visto passare,

uno scorcio verde di prati immensi
o l’azzurro di un mare
all’improvviso da dietro una curva

ci fan così insensatamente
felici.

Altre poesie: http://farapoesia.blogspot.com/2007/01/iii-di-stefano-bianchi.html

Nessun commento: