a Edoardo Sanguineti
Inizio lentamente a capire quanto bene costruisce la Poesia in questo secolo malato di videocrazia. Tutto quanto compare sugli schermi televisivi, dei palmari, dei cellulari, dei computer, dei megaschermi, è Storia Sacra. I valori morali non esistono più, perché la violenza li ha cancellati con le guerre, le stragi, gli eccidi, le pulizie etniche. Il denaro è la forza delle società umane. Le religioni sono divenute il rifugio per le paure violente umane, in cerca della purificazione, prima della morte. Un assurdo silenzio cade sulle turpitudini compiute in ogni angolo del pianeta. La solitudine più cupa riveste gli spazi di vita serena, prima destinata ai bambini e agli anziani. I malati, i portatori di difficoltà motorie, i più deboli, gli uomini e le donne libere di dormire per strada, sono bersaglio di continue violenze. La pulizia sociale emargina chi non lavora. Elimina chi non frequenta i luoghi comuni. Il sesso violento ha preso il posto dell’amore. I migranti sono ingombranti, pericolosi, affamati di tutto, per questo non sono necessari nella società in cui viviamo.
La Poesia non muore. La Poesia alleva i sogni e i sognatori. La Poesia si fa carico di essere anche ironica, per non dolersi di essere capita in ritardo. La Poesia è la vita che non muore. La Poesia è la storia degli uomini. La Poesia è musica, passione, anarchia, caos, è perfino balorda. La Poesia è viva anche se il poeta muore.
Muore, il 18 maggio, un poeta dedito all’astrazione, all’eterodossia, all’astoricità. Ma nessuno se ne duole. Se ne accorge il mondo nuovo di quest’assenza immediata? Muoiono tanti uomini, il poeta con loro! Che c’è di nuovo?! In un coro ogni voce ha un suono, come le canne di un organo maestoso. L’organaro cambia la canna con una nuova, ma non ha la stessa voce. Questa è la variegata musica dell’esistenza. Chi ascolta questa musica ?
Scrive un giovane poeta scomparso di recente: “Lavorare concretamente / per la realizzazione dei sogni: / concentrarsi / caparbietà / costanza”. Ci vuole tanta forza perché la Poesia non scompaia dalla società contemporanea, di questo secolo appena iniziato. Ci vuole una forza immane per lottare contro la violenza delle immagini che uccidono i sogni. Immagini senza parole, non fanno sognare. Parole che scrivono sogni, fanno sognare. Come le cantava L’usignolo del poeta Pasolini: “(…) E vivo ancora; ma se ho già creduto / a quell’incanto, ora pare vano / come le notti morte, qui, nel lume / uguale alla luna. Non si muta / il silenzio e il fioco oro sugli steli, / e sull’acqua; annotta da millenni / un medesimo mondo.”
Il mondo ha bisogno della Poesia per continuare a vivere. Ha bisogno della Poesia per superare l’infelicità dovuta al potere dei pochi rispetto ai molti. Ha diritto alla Poesia perché è fonte pura e perenne di Libertà. L’umanità ha il dovere di ristabilire l’equilibrio della Poesia nella Natura, negli Oceani, nelle radure, nei deserti, nelle città. La Poesia ha il diritto di esistere in mezzo agli uomini perché è il senso più alto della sua civiltà. In nome dell’utile si uccidono i deboli. In nome del molto si distruggono i poveri. Per la sete di energia si stravolge l’armonia della Poesia nel Creato.
L’uomo ha dimenticato che non è il creatore di questo pianeta. L’uomo è solo un abitante, come tanti altri. Il pianeta Terra è del Tempo, dei fenomeni che l’hanno generato. La Poesia del nuovo millennio dovrà cantare, senza timori, la rinascita della Libertà della parola sull’immagine. Dovrà domare il caos che è stato inserito, in nome dell’economia, nella nostra società umana. Dovrà domare i mostri immaginari, restituendo le immagini reali nell’armonia del pianeta vivente. La Poesia deve continuare a vivere, anche se i poeti muoiono.
La sfida di questo nuovo secolo è per la Poesia una prova cruciale, sofferta, quasi insormontabile. Bisogna far vivere la Poesia: leggerla, suonarla, declamarla, seminarla nelle metropolitane e negli ascensori, nei luoghi dove le persone muoiono, sole. Un saluto alla vita che fugge altrove. Un abbraccio all’uomo che ha donato amore, comunque, finché nascerà un uomo.
Vincenzo D’Alessio e G.C. F. Guarini
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