mercoledì 3 febbraio 2010

Su Oltre il quotidiano di Silvia Venuti

Moretti&Vitali, 2009, collana Fabula

Nelle stanze del tempo

recensione di Caterina Camporesi

Davvero interessante questa raccolta poetica Oltre il quotidiano di Silvia Venuti (foto a lato) il cui filo conduttore è il tempo, Tempo che rende proficuo il dialogo tra passato, presente, futuro ed eterno e, nel contempo, stringe a sé i luoghi dove si progettano gli eventi, si realizzano i destini, si raccolgono e si stratificano le memorie.
Spazio e tempo dunque in un intreccio singolare e creativo che, dando forma a determinate condizioni, predispongono l'avvio del processo della metamorfosi.
Processo che è intrinseco sia allo svolgersi della vita che a quello dell'arte, con movimenti elicoidali, alternando passaggi intrisi di dolore e spiragli illuminanti il regno del buio, esso si avvale tanto del possibile quanto dell' “impossibile”.
D'altronde non è l'arte che, più di altre attività umane, è in grado di aprire spazi all'impossibile proprio là dove il reale li chiude?
Come afferma Nadia Fusini in un saggio su importanti poetesse, è proprio grazie alle metamorfosi riuscite che le cose, pur rimanendo quelle che sono, possono diventare altre.
La poesia parla sempre di un mondo altro proprio perché è da esso che essa proviene: metafora / di un'altra metafora / e ancora metafora / all'infinito.
L'impellente bisogno di osare “oltre il quotidiano” nasce molto presto e con tale ardore nell'anima e nella mente della poetessa che il possibile viene vissuto come degenerazione dell'impossibile.
Sono l'impegno costante e lo stupore illuminante d'amore le cose a fare da architrave alla ricerca della poetessa, portandola oltre i confini del possibile: là dove c'è impossibilità di dire / con parole usurate, / è quell'ardimento / che non si confronta / e osa sfidare ogni limite./
Compito arduo che comporta assunzione di gravosi stati d'animo quali lo spaesamento, il dubbio l'incertezza e una massiccia dose di coraggio indispensabile per snidare quelle parti più compiacenti e troppo presto vogliose di arrendersi all'aridità del reale.
L'ineluttabilità del mutamento si preannuncia già dal testo di apertura quando Silvia Venuti, rivivendo il tempo passato, si rende conto di avere creato negli anni “fondamenta per nuove rivoluzioni” e che, nella sospensione del presente, il cammino prosegue lungo ignoti sentieri per ascoltare timbri inediti della voce.
Anche se il dolore è sempre presente nelle voci guizzanti dei ricettacoli della memoria e l'anima non sembra guarire mai, nondimeno la ricerca deve proseguire essendo la contropartita il chiudersi nello stanzino buio del non senso. / Stare come vigneto abbandonato.
Il luogo dove essere accolti per ascoltarsi va inventato giorno dopo giorno con passione e creato con “fede luminosa” poiché anche il banale, quando esplorato con sguardo attento e penetrante, può fare baluginare l'impercettibile significato di qualcosa che contiene.
Se l'aspirazione alla perfezione si scontra nell'incontro con i limiti: si è lontani da essa come si è lontani da Dio.
A volte basta l'ascolto del respiro del giorno per lasciare ad altri il tempo incommensurabie per dire ciò che di noi ignoriamo.
Perplessità lungo i testi poetici sono sottolineate da alcuni interrogativi che coinvolgono il lettore nella dolorosa accettazione del mistero e nel dubbio di opache e sibilline risposte.
Con l'infanzia insediata nel presente attraverso i ricordi, i gesti, i luoghi e le persone affettivamente significative è la memoria del passato ad occupare la scena insieme alla fragilità che ha accompagnato in qualche modo il proprio destino, nonostante l'illusione che una luce abbagliante e avvolgente avrebbe illuminato un tempo senza fine.
La legge, non scritta forse, della accettazione alla rinuncia a governare il cammino degli umani è un fatto scontato, d'altra parte è la sconfitta ad insegnare più della vittoria
Nell'imboccare la strada per inoltrarsi nella zona dell'addio, c'è il conforto di custodire nel mondo interiore incontri che hanno saputo donare la sensazione dell'eterno.
Sono i testi più brevi ad essere efficaci nella loro essenzialità rimanendo a lungo nella mente e nel cuore del lettore.
Come indica Giorgio Barberi Squarotti nella postfazione: il “verso netto e ben scandito”, così come Giancarlo Pontiggia nella seconda di copertina riconosce a questa poesia il coraggio “di andare oltre, di scoprire sotto la scorza delle cose e delle parole comuni, qualcosa che le trascenda, di scoprire il senso di ciò che accade».

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