GUTENBERG EDIZIONI, Penta di Fisciano (SA), 2008
recensione di Vincenzo D’Alessio
recensione di Vincenzo D’Alessio
L’amore che le poetesse portano alla Natura ha varietà di colori, di profumi, di trasporti. Nell’anima delle poetesse vibra un cuore forte perché alimenta la Vita: la vita vera fatta di carne, muscoli ed ossa. In questo sentire, i versi divengono figli da crescere, alimentare, correggere, per portarli al traguardo dell’osmosi con il mondo; il mondo degli uomini. Purtroppo non tutti gli uomini sanno ascoltare la voce della madre Natura e comprenderla.
I fiori della valle della MANZI hanno radici profonde, hanno sete perenne. Lo rivelano i versi a pag. 20: “(…) una sofferta nostalgia.” (…) “in rispettosa memoria”. Quasi tutta la raccolta è permeata dal desiderio di un passato che risvegli: “Il calore / dei rapporti umani / svanito / sulle strade della vita” (pag. 22). I traguardi che non esistono. Le solitudini che non vengono dissetate. Le ombre onnipresenti nella raccolta che non si rischiarano. Ma il passato non ha più speranze di essere cambiato. Allora il dialogo con madre Natura diviene il convito dei fiori: il papavero (rosso, ricorrente nelle poesie quasi a soccorrere la sete di luce solare); il mirto (che si arrampica lungo le colline ad invadere le pietre secolari dei castelli abbandonati al logorio del tempo); i ciclamini (umidi e delicati cuscini di soavità); la lavanda, la ginestra e il crisantemo.
Un insieme di colori come espressione profonda della sete di una Vita vera: Via, Verità e Vita. Si colgono i sentimenti di sincera cristianità, di profondo connubio tra vita spirituale e vita reale. Immanenza di un Dio pantocrator, di una divina provvidenza che accompagna il senso vero della Speranza quale salvezza eterna. Oggi questi versi e questa sensibilità sono meno frequentati dalla razionalità scientifica; e lo sguardo poetico è più aperto, e diretto, alle problematiche sociali, economiche, della sofferenza planetaria. Non sono archetipi o stereotipi i ritmi poetici della Nostra. Hanno una ricerca dell’Io e dell’Altro proprio come: “nell’abbandono / che penetra / e avvolge / il mio essere, / lo libera / nell’aria/ senza più confini” (pag. 5). La metafora è la figura ricorrente nella poesia della MANZI. “Nell’ansia fremente” (pag. 5) di vivere i giorni che chiamano l’Autunno per nome.
Infine l’Io appare e si concede in pochissimi versi, quasi una riservatezza naturale: “Il bagliore / di una candela / evidenzia / il mio profilo” (pag. 25); “E hai solcato / dentro di me / le piaghe dell’odio” (pag. 34). Poco concede di sé al lettore la poetessa perché, e ritorna la metafora, “Accetta il dolore delle mamme / che a Te chiedono speranza” (pag. 35). In sintesi il verso è breve e franto per dare vigore al corpus poetico. La poetica è inscritta negli Autori tra Otto e Novecento. La valle che la poetessa richiama nei versi non è quella dell’Irno dove vive ma quella della sua anima che ricerca, e credo realizzi il senso orfico della raccolta, “Il mondo / scorre lontano / da questo scrigno / che odora / di boschi / e respira la pace” (pag. 42).
Gennaio, 2010
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