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Sebastiano Adernò
نفس الدم
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[CADUCITA']
quel dirsi che non trattiene,
né promette
è un disastro avvolto nel panno
e sembra già cosa
così abbondante
avere ancora voce per stirare
tutti i perfetti angoli di un saluto
così di quei no a non permettere
punirne la mano colpevole,
la scogliera dei denti,
la collezione di cristalli
dalla certa instabilità prospettica,
miraggio:
come dentro un sapore
incedere di gusto
in quel tuo nome che è un passo di tango
ma anche questa notte
si trattiene sulla fronte
è mappa del rimpianto
e le cose non rispondono
sono rotte, distratte
e confabulano sul filare
accusandoci di appassire
[PRECETTO#1]
è passato
ed ancora stiamo dormendo
né la morte ci distrae
che all'idea
ci spostiamo di poco
da quel sospetto
che la vita avvenga dietro compenso
di un lavoro
che non ci chiederanno mai di fare
per il quale
saremo assunti con riserva
di non essere mai licenziati
dal dubbio
che altro esista
[UNA PRESA]
nella carne del sogno
con ragione
la corteccia si sfoglia
e scopre
che lacrima e ferita
sangue e pianto
sono lo stesso dolore
e la vita
non è così
come a molla
comprimere e restituire
caricare e rilasciare
l'entusiasmo
come un giocattolo,
un pagliaccio
che sbatte isterico
le ganasce nel sonno
[INDIETRO]
da piccoli
si andava per mano
come l'inciso perdona al segno
e prima che mi si domandi
come
raccolgo le spalle
e mi si allentano le tempie
qui, sul letto
dove mi dimentico
abito le scarpe smesse
senza che mio padre e mia madre
comprenderanno mai
le mie tasche
penso che
questi cassetti vuoti
sono le valigie
di chi non è mai partito
sono il resto di mio nonno
le sue spalle
e la volta del sepolcro
sono la gioia
apparecchiata al folle
che venuto qui
dopo il tradimento
per rifugio di anni
bevve dalla ciotola del suo cane
dio, mi giurasti radici, fiocchi
latte di fico e lavoro di maglia
non l'angolo in cui adesso
mi conduci con gli occhi
dove ciò che resterà
è raschiare pena dalle palpebre
con lavoro di stiro, a mano
[CONFESSIONALE]
l'archetto di violino
passato sui polsini
e poi
per capriccio o assoluzione
intrapresi un cammino
scandito dalle tue vertebre
con molta attenzione
a riporre attenzione
all'esercizio di ginnastica
che non ti è mai riuscito,
come l'amante
e il gioco di prestigio
e penso spesso vorrei
abitare sulla perfetta pendenza
delle tue gote
e coltivare ninfee
per ogni tua lacrima
ma il mio tempo
è dato al cigolare dei cardini,
all'insicurezza delle serrature
costrette negli umori del legno
la mia
è un'attesa della giusta chiave
tra le mille cinte
di portatori falsi
[MATRIMONIO]
dispetto e combinazione
tracciano un altro giro di controsenso
nulla, ripeto niente
non per usucapione
o dietro sconto di interesse
mai mia
se mi privo di ogni proprietà
pubblica o privata, ricordi?
il prete
che rifiutò di brindare
al nostro matrimonio?
e l'araldo? con le trombe di falloppio
è già incinta?
e due giorni dopo
che a tua zia
misera e volontaria
la pazzia
gli inclinò le sponde del cranio?
mi rigiro al dito un
preferirei di no, a tua madre
che la domenica a pranzo
mal digerisce
le mie referenze
[RAGAZZA]
sussurrando nel cavo delle conchiglie
parole impronunciabili
rituali della messa che
nel ricevere il corpo
ti fece donna
impugnavo le tue caviglie
per un piccolo angolo di compasso
o due fragili remi
attenti
a non svegliare quel mare
dove
mentre i fiumi andavano all'inguine
l'azzurro era più vergine
portarti a me
come l'ape si caccia
e il ronzio si fa matto
dello scroscio nella membrana
dello squarcio nelle tela
di fontana
mentre premo e profano
quel finora
dove hai sempre giocato
sola
[FERMATA DI PRIOLO-MELILLI]
intime inerzie
contro la stabilità del cristallo,
come totem dal senso crudo
nella pagina vuota,
perciò si andava appesi
ad un passamano,
a spasso per l'arteria,
con un ago per le mani,
o un chiodo che trovava la vena
se tutto il discorso
si contraesse in paura
poesia, tu rimani
paramento pulito
di un altro arcipelago
qui c'è eternit, lo giuro
finché morte non mi separi,
un male strano di pagliuzze
che come il duomo,
dentro la palla e sotto la neve,
si agitano nei polmoni
e tu,
madonna nera come l'oro dell'indotto
dalle tue mani d'ammonio
schizza via anche la biscia
il veleno, si sa
genera progresso, dunque
disadattate le papille dai sogni
perché ci sono chiglie, tralicci
paludi in divenire,
oncologhe carine,
spray per il naso,
bip bip al telegrafo
e mascara
per fare la luna più bella
[A CASA MIA]
sarà la corsa lungo gli spigoli,
la geometria soggetta all'umidità,
dunque nebbia, e rincasare
davanti alla tua schiera di falangi
che preparano la cena con niente
una brava moglie
ha la pressione
con cui apri una noce, sulle tempie
sarà lo scavo di una carie,
un cuscino riempito di brogli di capelli
e tonsille da vetrini
per anatomie patologiche,
la nonna per il raffreddore
e strisce di muco
che a vestirvi siete lumache
sarà, bambini, venite
che diciamo l'angelo custode
***
Cara,
palpebre asciutte da farci il passito,
abbi coscienza
che s'attacca ai nervi
ogni fiocco che ti porti
come quasi un male da sartoria
troppi chilometri percorsi
con chiuso nel palmo l'avanzo
di un dolore
che volevi farmi brucare
e poi una candelina
per ogni frase che inizia
con un io fragile d'impugnatura,
da prima elementare
limette per unghie
questo mi pari
di fronte al troppo grosso,
stai come un quarto di sbaglio
senza la completezza dell'errore
è una storia da tovaglia, ormai
da dare al legiferare della parrucchiera
ogni sabato ebraico
meglio queste parole
che distribuire caramelle
per correggere
ogni alito del tuo ricordo
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