di Massimo Sannelli
1.
L’ATTORE, Dante, è l’uomo vivo, che cammina e parla nel poema, di azione in azione. L’AUTORE, o il poeta Dante, è la mente che scrive il poema per il lettore. L’ATTORE parla, ma l’AUTORE sa di parlare, e guida l’ATTORE: il primo agisce vincolato, il secondo sa che il primo agisce, e sa come il primo agisca.
Né l’AUTORE né l’ATTORE sono veri eroi, in realtà. Dopo l’Odissea, l’Eneide, l’Achilleide, l’Alessandreide, il poema dell’autore Dante non sarà una Danteide sull’attore Dante, ma solo una Comedìa: perché finisce bene e perché non ha un eroe canonico. Non lo HA, perché il poema È un’altra cosa: tutto qui, semplicemente, e così appaiono i due soggetti della Comedìa.
Se il titolo del poema sacro (Par., XVI 1, XXIII 62) esalta qualcosa, si tratta solo della poesia: la commedia è e fu un genere letterario a sé. Ma il titolo Comedìa porta con sé, per forza di cose, l’allusione al teatro e alla scrittura teatrale: vale a dire che per Dante questa è la Commedia per eccellenza, come il Cantico dei Cantici è il migliore Cantico del mondo. Ora la consapevolezza tecnica – io sono un poeta, io sono il coordinatore di questa materia, che non mi sfugge di mano – è altissima. In questa commedia, Dante è anche un personaggio attivo, ma non il protagonista in senso classico; ed è nello stesso tempo l’autore del poema che lo riguarda come personaggio e non lo esalta in quanto uomo. Non è necessario che il fondatore di una Chiesa, il servo di Dio, il poeta-«legislatore di religione» (Foscolo) siano eroi: Adamo, Davide, Salomone, Pietro e Paolo non sono sempre degni di Dio. Le loro vite non sono immuni dall’errore. Neanche quella di Dante è pura. Ma lo svilito, il peccatore, il distratto, il libidinoso («trovò amplissimo luogo la lussuria» ) è anche il poeta di un libro che è la commedia.
In che modo si potrà ancora intitolare il nostro libro ad un Genere, e pietrificare il rapporto tra il testo e il genere? Non si potrà più farlo. Intitolare Comedìa questo poema è come intitolare Poesia – la poesia per eccellenza, l’unica poesia possibile, che azzera la storia della poesia – una delle nostre raccolte. Diventare il signore di un intero genere, per toglierlo ad altri, è una cosa troppo grande, per noi. Essere solo – e dunque intero – con il proprio poema, a costo di praticare la superbia dell’esclusione, è demenziale ed eroico, come sposare un angelo , che intenzionalmente si fa uomo.
3.
Dante è l’unico poeta in grado di unirsi, legittimandosi da solo, alla schiera dei Grandi: Omero, Orazio, Ovidio, Lucano, Virgilio (Inf., IV 100-102). Dante arriva come sesto, l’Unico e l’Ultimo prima della Fine: l’unico cristiano tra tutti, l’unico Grande a cui il Paradiso non sarà negato. Anche il mondo è nella sesta età, e sta per cadere.
Il dissidio tra poeta e poeta – nel mondo dei vivi, gelosi dell’«altezza d’ingegno» – potrebbe riguardare poli assoluti, in forma di domande: che cos’è la poesia, dove ci sono la Fine del momento e l’Eternità di Dio? Che cos’è il nuovo, in poesia? Chi è veramente un poeta? Perché l’Apollo che Dante invoca è il dio che scuoia Marsia? La grande poesia non nasce da un peccato originale, né da un fratricidio o da un parricidio; ma da un atto di sadismo, commesso da un dio: tu non mi accompagni, non sarai più la guida dell’Unico – è questo è vero? Il testo dice di sì. Il «primo amico», Guido, pesa per la sua assenza, che non importa più: Guido è un regista eterno.
In fondo, la domanda delle domande è questa: un artista – anche peccatore – ha a che fare con l’Eternità? E l’artista può essere un «legislatore di religione»? O Sì o No. Su un Sì o No – se le domande sono queste – noi ci giochiamo tutto.
12.
Chi commenta porta, a suo modo, la sua soma. Questa soma è nova – nuova e inusitata – come quella che vola grazie a Gerione.
Il lettore non trova qui un nuovo commento o un commento, e ancora meno il commento. Trova un laboratorio, che spera e dispera [anche in forma di poesia]; e che dissemina idee, più per il futuro che per il presente – a dire il vero. Le basi teoriche sono affrontate qui, in gran parte. E a questo punto: ripristinare il mito dell’ultimo prima della Fine ha senso solo in un orizzonte di fede? Non si può ripristinarla. Oppure: la Fine è interpretabile anche politicamente, per esempio come un’urgenza? E in pratica: che cosa fare? La risposta di Dante è chiarissima, anche per l’ateo: tendere ad un’altezza che mostri il mondo per quello che è. Il mondo degli uomini è un’aiuola, in cui siamo grandi bestie.
L’Italia non è una vera patria, per chi annuncia [l’orfismo di Dino Campana, la disperazione di Leopardi, l’invasamento di Dante non sono stati giochi – e non sono in nulla azioni italiane, concrete e comode]. Il senza-patria, che non è del tutto selvatico, farà anche l’archeologia culturale della patria sconfessata: della patria e – perché si tratta della patria di uno scrittore – della Lingua/Letteratura. Alcuni muoiono per lei, e a causa sua, e per modificare lei. Ora, se taccio sulla lingua e sulle grazie retoriche, smorzo la ricerca formale di Dante? No: l’apparenza è visibile a tutti, e si studia sempre. Il grido è del poema, che è un individuo solenne e aggressivo, come è un individuo il suo poeta, solenne e aggressivo. Soprattutto, qui non si tace sull’intenzione e sul problema dei problemi, da sempre: la realtà e il futuro della realtà. Io stesso non ho cercato altro che l’intensità, prima e dopo il lungo studio: anche in questi minuti il cuore batte – per il suo pensiero, che lo governa e non lo lascia.
venerdì 10 luglio 2009
dall’Introduzione alla Commedia
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