Leggere Fashion è come ascoltare e vedere una cinepresa mentre avviene l'incontro con l'oggetto della passerella: luci, tagli di capi, movenze di tessuto e trasparenze, scintillii di polsi e caviglie, dissolvenze rapidissime che mozzano il fiato, che non si depositano nella memoria, perchè ogni momento è unico e separato da quello precedente e successivo – così che quello che riprende è folgorato da ogni singolo istante, dall'attimo catturato dall'obiettivo e che lo fagogita in quanto è ciò che è ripreso a catturare. Tutto è contemporaneamente eterno ed estremamente transitorio, l'oggetto che sfila riunisce in sé l'ordinario e lo straordinario, l'unicità della passerella rimanda alla riproducibilità (specchietto per le allodole, griffe).
Fashion è il ritratto parodico di una liturgia che si compie e consuma nella sfilata, ma sa anche trattenere e offrircene la quintessenza, come quando si spreme un frutto e poi se ne gusta il succo. Ecco, se da Musil in poi la qualità dell'uomo è quella di essere senza qualità, allora anche gli oggetti senza importanza acquistano valore a partire dall'apparenza (preferibilmente quella che suscita l'idea di relazione, cosa possibile se si dà il giusto peso e la giusta luce tanto alla superfice quanto alla forma).
sabato 4 aprile 2009
Fashion: Ritratto parodico di una liturgia
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento