giovedì 18 dicembre 2008

Su Nottambuli di Marco Bogliani

recensione di Alberto Mori

(scheda de libro qui)

“Ogni vita è seguita da un ombra.”

W. Shakespeare nella tragedia Macbethiana, allerta l’uomo nel suo andare fatto di nulla verso il nulla, ma certamente, un filo è sempre sotteso alla notte dell’esistenza: Si può scorgere un verso versatile e direzionale del nostro andare. Così i versi di Marco Bogliani sono Nottambuli, perché deambulano e camminano nella notte, fra smarrimento e ritrovamento, su piani e volumi che fanno proseguire la domanda nello spazio poetico. Questo buio, dove le figurazioni sensoriali eludono il corpo e sfiorano la natura, è composto da labbra di metamofosi.
“Labbra assetate”, “Labbra di fiume”, perché tutto sembra continuare, improbabilmente, ma “meglio un verso che sa e non sa” (p. 33). La poesia di Bogliani è denotata da questo crinale decidibile/indecidibile che la sospinge con una sua mistica peculiare e simbolismo lirico acceso e febbrile. Una tensione verso un passaggio d rinascita oltre il “muo / io” (p. 42), dalla cesura violenta della soggettività anche stilizzata dalla grafica
testuale, che sovrappone una consonante e due vocali, a due vocali, perforando con il suono la terra della parola.
Nottambuli è tessuto d’orli ed orlature che da subito con la loro sutura iterante, nascondono la nascita in una sorta di pittura fiamminga, dove dal suo lumen di sguardo, “può” scaturire, ma resta nella sua apparenza:
“Ma luce non scordo / chi tace non solo acconsente” (p. 25).
Dopo l’inchiostro che ha dipinto notturnamente, l’autore si arresta ad una soglia fremente. Rilkianamente avvertita infinita, ma che torna ciclicamente. Con il buio.
A vanire e dissolvere nell’aria aurorale.


Dicembre 2008



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