lunedì 1 dicembre 2008

Ottavio Rossani su Jeanne d'Arc di Maurizio Cucchi


27/11/2008

Il poema teatrale che da dignità agli umili

Scritto da: Ottavio Rossani alle 16:52

Nel 1989 Maurizio Cucchi ha scritto La luce del distacco, una pièce teatrale rappresentata (interpretata da Jolanda Cappi) e pubblicata nel 1990. Ora, ripreso in mano quel monologo, su sollecitazione di Pietro Carriglio (Teatro Biondo di Palermo), lo ha riscritto quasi completamente. E ne ha tratto un viaggio dentro la follia, il tormento, interiore, e la spersonificazione di Giovanna, che altro non è che una carcerata dalla mente dissociata e si immagina Giovanna d’Arco, l’eroina d’Orleans. Ma c’è di più: irrompe in scena anche Gilles de Rais, “incarnazione del male, ma anche un uomo riverito e rispettato, sempre pronto a dichiarare la sua fede”, come precisa Cucchi nella sua post/lettura.

Jeanne d’Arc e il suo doppio (Guanda, 2008, pagg. 60, Euro 10) è un testo teatrale, ma di quel teatro di poesia che in Italia è poco praticato, poco sentito, perché – si dice – non attira pubblico. Non è così ovviamente. Quando il testo è valido, quando il poeta è noto, quando il teatro affronta seriamente la produzione di un tale testo, quando l’attore o l’attrice si innamora del testo e vi partecipa come fosse suo, allora la magia si realizza, e la recitazione diviene un vento da ascoltare e la gente accorre, assetata di poesia, d’arte, di teatro.

Il nuovo testo di Cucchi rientra in questa fenonelogia. È un'opera importante, efficace, poeticamente e teatralmente riuscito. Racconta una storia tragica, piena di luci e di ombre, propone un personaggio discusso, discutibile, ma appassionato e appassionante, un personaggio che si sdoppia continuamente. La sua immagine di eroina perseguitata, di folle delirante, si alterna con quella di una donna pura, santa, ingenua. “Ma questa luminosa demenza verticale/ non è che un anno,/ una lama./ Un’idea, è stata. Tu non sei storia”. Giovanna in carcere sente finalmente di appartenersi: “Io sono questa nuca che accarezzo,/ e quieste mani, la salute dei fianchi…/ il petto… le caviglie…/ Posso almneno racciogliermi, assaggiarmi,/ annusarmi, essere mia… toccarmi…”. Passa dall’esaltazione per l’ipotesi del grande destino alla calma di una ritrovata carnalità. Non sopporta di essere imprigionata e incatenata. Così si sdoppia e rivive in altre situazioni. Si distacca veramente dal suo presente, consapevole che di sé non resterà traccia, se non come ricordo negli umili che l’hanno adorata e seguita. È strano come il destino li abbia accomunati - scrive Cucchi in un passaggio – ma Gilles de Rais è lì incombente, malefico, compiacente del suo blasfemo gusto del sangue innocente. Ed è l’aspetto insondabile, nascosto, impossibile da accettare della stessa Giovanna, donna in realtà senza nome e senza storia. “La sua non era un’anima/ insanguinata, ma un gorgo nero/ una vertigine assoluta, un’ossessione, o forse l’incessante riprodursi del terrore infantile”. E comunque lei, la donna, non la strega, avanza verso il sacrificio.

Trascrivo qui il quadro penultimo, che amplifica tutti gli aspetti d’immagine e di sostanza della giovane donna conscia dell’imminente, tragica, “fiammante” fine, che comunque ha un senso nella fede di una realtà superiore, del Dio che scende a occuparsi di lei (e non il contrario).

Il corpo era lassù,
era come planasse sulla folla.
Osservava le cime degli alberi, i campanili, il cielo,
sentiva il poco vento nella primavera.
Gridava, poi, nel soffoco, nel fumo:
“Erano vere, erano Dio,
le mie luci, le voci!”
I soldati ridevano.
Quelle lingue leccavano
i suoi piedi la camicia
salivano ai capelli.
Attorcigliata gli occhi rovesciati
la fiamma mangiava spalle e mani, le gambe…
la esponeva e la mangiava…
Cercava di chiudere sul petto
le braccia a croce,
ma le cadevano.
Si inabissava
tutto il suo corpo formidabile…
Però il suo cuore
era incombustibile…
Maurizio Cucchi
Da Jeanne d’Arc e il suo doppio (Guanda, 2008)

Tutto il poema procede per evocazioni. Ci sono diversi registri. La donna parla di sé con l’ “io”, ma spesso ne parla con il “tu”, poi c’ è il narratore che le si riferisce con la terza persona. Insomma, queste “stazioni” – come le definisce Valerio Magrelli nel risvolto di copertina – sono quadri teatrali che spaziano su diverse dimensioni, esaltando l’unicità e la duplicità del personaggio. Un testo in cui si muovono come idee tutte le precedenti letture di Cucchi relative a Giovanna d’Arco, al suo processo, a Gilles de Rais, e le visioni dei grandi films di Dreyer. Un poema in cui Cucchi innalza gli umili, al di là di chi è stato illuminato dalla Storia. Anche i cosiddetti eroi famosi, quindi, sono visti in orizzontale, come tutti gli altri che eroi non sono e non potrebbero essere. Ottavio Rossani


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