venerdì 5 settembre 2008

Su Padri della terra di Vincenzo D'Alessio

recensione di Maria Giovanna Vitale

La raccolta Padri della terra di Vincenzo D’Alessio si basa sul rapporto dialettico ieri/oggi, passato/presente e futuro senza voler essere la rievocazione nostalgica del “tempo perduto” e un irriducibile duello generazionale.
Il poeta vive “amando la vita” ma al contempo “sente” e “vede” il “male incorporale” che corrode le speranze dei poveri, i sogni di giovani del Sud, che uccide la natura col suo cemento selvaggio, si arrabbia e soffre per i politici infami e per colore che non cercano “l’acqua pulita della vita”.
La mente del poeta, affaticata dalla quotidiana partita della vita, è sollevata dalle fresche immagini della giovinezza, degli “anni chiari / illesi nelle nostre menti…”, ricordando la luna sopra i tetti che rischiarava i terrazzi, “il tripode sul fuoco” e il “verde da cuocere con l’aglio”. Ma il Sud, afferma il poeta con amarezza, “è una terra rimasta vera solo nei miei pensieri”, perché i politici “hanno ucciso i padri e i santi”, è la terra tradita, martoriata, disillusa, “l’enigma di tempi indefiniti / attese e speranze”.
Tra lo ieri e l’oggi non esiste una separazione netta, ma il “pane della continuità”, il pane di Montefusco, le donne di Calvanico e il poeta stesso, la cui memoria storica e morale strappa all’oblio l’immensa eredità del passato e ripone nella forza eterna della poesia la speranza per il nostro futuro.
Il cerchio si chiude grazie al poeta che incarna i valori autentici del popolo meridionale e possiede il dono della parola, quella parola che, per segrete alchimie, trova la giusta collocazione sul foglio bianco e parla al cuore, osando denunciare, arrabbiare, urlare, invocare l’aiuto del Signore per un miracolo che equilibri le cose.
Alla poesia Vincenzo affida il testamento spirituale, invitando i posteri a non celare le tombe dei poeti, di coloro che vissero contro “un destino che premia gli idoli”. Il poeta ripone la sua fiducia nei giovani perché se è vero che “il cielo rosso ride del nostro tormento”, ricordando l’indifferenza del cosmo alle vicende umane, essi sapranno accogliere l’esempio dei poeti “Santi che vissero amando la vita”.

Dalmine (BG), luglio 2008

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