Contro l’involuzione coprofagica della civiltà
di Franco Gallo
Il tema ha oggi una rilevanza civica e una indiscutibile pertinenza economica ed ecologica, ma alla questione del rifiuto, del riciclo e delle implicazioni del consumo Alberto Mori è arrivato da solo, con un percorso specifico e poetologicamente coerente che si impernia, da molti anni, intorno alla natura di simulacro della nostra realtà quotidiana.
Mentre il sembiante ha l’apparenza di essere qualcos’altro, fingendosi dunque ciò che non è e presupponendolo per potersi dare come sosia o emulazione ingannevole, il simulacro semplicemente recide il rapporto con un reale a sé esterno inteso come termine di imitazione, copia o duplicazione purchessia.
Il simulacro si dà puramente come apparenza, veicolo della circolazione instabile del significante che trasmette contagiosamente la propria liquidità (per dirla con Zygmunt Bauman) allo psichismo dei fruitori, dei consumatori e degli acquirenti.
Non è più essenziale consumare oggetti, fruire carnosamente del mondo, del denaro, delle donne; nemmeno conta più affettare di essere altri, indurre il prossimo a pensarci diversi da quali realmente siamo. Oggi il consumo ci invita semplicemente a mostrarci come forme, ad attivarci come luoghi di catalizzazione di segnali, ritmi, immagini, da ricombinare in strutture sempre diverse non tanto per il piacere tutto intellettuale della loro riarticolazione quanto per esibire l’improbabile sintassi barocca e contaminata di una vita che è tutta superficie ma anche solo superficie, tutta immediatezza della forma perché non vi è più nessun contenuto.
A questo messaggio spaventoso da molti anni Mori presta orecchio, nella convinzione che da un lato vi sia profonda e non sottovalutabile potenzialità estetica in questa ricombinazione diffusa e quotidiana del significante, ma anche che vi sia una residualità del corpo negato da questo proliferare delle forme che deve essere testimoniata in forme sane, dirette e vive dall’arte – dato che le forme che questa testimonianza prende nella vita sono sempre più quelle della perversione, della pulsione di morte, della s-terminazione (per ripetere Baudrillard) delle sue autentiche potenzialità erotiche e vitali.
Alla riscoperta del corpo è dedicato allora il messaggio profondo della poetica dello scarto e del rifiuto, che è scoperta della misteriosa ulteriorità dell’eiezione della civiltà: merda, certo, ma non narcisticamente vissuta alla Sade, bensì sanamene e ironicamente colta come esito di una digestione della natura e della materia così gracile e così fragile da meritare uno sguardo severo ma anche pieno di speranza. Se lo sguardo di Mori infatti è severo perché la nutrizione che comanda quelle eiezioni è lontanissima da una vera e onnivora vitalità alimentare, da una dieta della civiltà equilibrata, curiosa e varia, è anche vero che gli stronzi artificiali, i rifiuti, rivelano tutte quelle debolezze dei loro produttori che vanamente i simulacri coprono.
Il messaggio di Mori mette in guardia la perversione narcisistica dalle sue possibili involuzioni coprofagiche, e insieme riesce a dimostrare che le acrobazie mentali e psicologiche della modernità, pur nella loro malintesa finalizzazione, nascondono tesori di vitalità da rimodellare per un impiego autenticamente erotico, vitale, gioioso, al quale ogni poesia, per quanto luttuosa o funebre nell’occasione, sempre strutturalmente fa cenno e appello.
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