lunedì 5 novembre 2007
Su Specchio Poetico (Castagna e Romano)
recensione di Vincenzo D'Alessio (v. anche qui)
La raccolta poetica “Lettera ad una gioia imbarazzante”, contenuta nell'antologia Specchio poetico a cura di Alessandro Ramberti, è un epistolario con l'altra forma ideale che ogni essere umano vorrebbe essere, dentro e fuori di sé. La poetessa Paola Castagna con versi corti e taglienti, metabolici, tesi ad esautorare le forze psichiche accumulatesi nel corso degli anni e le esperienze semplici o complesse che la vita ha prodotto nell'inconscio poetico. Versi all'apparenza privi di armonia. Molto personali. Un bagaglio schietto descritto come in una recita fondata sulla memoria: «come le poesie che a scuola mai imparavo» (pag. 187).
L'intera raccolta porge al lettore uno dei lati della personalità della poetessa, coinvolgendolo: «mi sono lasciato afferrare e trascinare dai suoi versi di carne verso profondità immaginifiche e temibili che non avrei nemmeno potuto sospettare…» così scrive Davide Romano nella postfazione alla raccolta.
Nella poetessa emerge un aspetto ripetuto molte volte: una normalità sociale volutamente rifiutata, disattesa: «la normalità condanna / la mia libertà» (pag. 200). Una strada dura e tortuosa che sbuca verso la luce della scrittura. Una voglia estrema di eliminare il «panno scuro sul quale / seminano le pietre» (pag. 200): le difficoltà sociali. La parte vera della poetica emerge nell'unica poesia della raccolta dedicata al figlio, quando versifica: «Fino a 6 anni anche gli scarabocchi carcavo di / capire» (pag. 265).
Una corsa forzata, a volte senza fiato, che accompagna tutte le lettere di una donna (di una madre) verso il resoconto della vita.
La raccolta “A mio padre con rabbia” segna la liberazione di Davide Romano attraverso la poesia del lago nero interiore che da anni aspettava di aprirsi alla luce per infrangersi nel Nulla. Versi corti e taglienti, volutamente disadorni di orpelli lirici. Lungo l'intera raccolta “l'io” cantore si presenta e di sé racconta quali aridi deserti ha varcato, quanta poca luce l'ha nutrito affidandosi a “Verità è la Notte”. Il nero prevale sulla tavolozza dei colori che costituiscono l'isola bianca dove il poeta vive; figure di un Sud uguale in tutto il mondo: «Vecchi canuti / adagiati sui gradini / del tempo» (pag. 235); l'anima che cerca «in età senza / pena e memoria» (pag. 283) di ritrovare la strada per liberare il «Prigioniero di / me stesso» (pag. 299).
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