martedì 2 ottobre 2007

Stanze all'aperto (Alessandro Moscè)


Presentissimi, come accade non di rado negli scritti dei poeti marchigiani, il paesaggio, la veduta, i paticolari assolvono nei versi di Alessandro Moscè la funzione di catalizzatori del ricordo e dei sentimenti, dei trasporti, delle emozioni e delle riflessioni: ”… il ritorno / di parole distratte”; “La casa è la mia donna, / esce con me, / respira del mio andare / e del suo essere orfana.”
Immagini domestiche o cittadine di una bellezza semplice e il reale animato dall'accadere dei fatti quotidiani ci trasportano nella zona sospesa di un'attualità che sfugge alla griglia meramente categorica dello sguardo razionale: «Il buio tarderà a venire, / a riconoscere le strade…”


Dalla raccolta inedita di Alessandro Moscè

STANZE ALL’APERTO


Lo stipite della porta
l’ho toccato specie da bambino:
quante volte accarezzato
come il corpo di una ragazza
nell’adolescenza furtiva,
nel sonno del desiderio,
in un istante che stringe
la gola e le mani.
La casa nasconde
le parole non dette,
un sussurro tra le sedie,
il commuoversi per l’aldilà,
quando il corridoio
aspetta il ritorno
di parole distratte
prima che si faccia sera

***

Ascolto le stanze
lasciate sole
scricchiolare di rumori
e vedo i suoi contorni
nell’ombra piatta
delle mattonelle in corridoio.
Amorosa attesa
in punta dei piedi
nel tepore domestico,
ora che sono partito
con un sorriso infranto.
La casa è la mia donna,
esce con me,
respira del mio andare
e del suo essere orfana.
Quanta calma rimane
dietro le porte…

***

C’è un odore di tiglio
che prende forma
nelle cosce delle ragazze,
che insegue un ronzio
dal giardino al loggiato,
fino al cielo di maggio.
Un’eco di passi
abbraccia l’amore
e ruota da una via all’altra
con i pollini che scendono
nella curva di una stagione.
Il convivio di merli
è una piccola festa
per la città gonfia di nuvole,
un appuntamento
di trovatori involontari
che posano i becchi arancio
sull’erba del giardino,
mentre suona la campana
che fa tremare il volo

***

Il calore di giugno
non appanna più i vetri dei negozi,
alza la polvere del grano
fuori città
negli occhi di luce,
intiepidisce le magliette,
i pomeriggi alti
tra gli appartamenti spalancati.
I treni portano un transito bollente,
un allarme di passaggio
tra i pilastri della stazione
che restano fuori del mondo.
Il buio tarderà a venire,
a riconoscere le strade
e i palazzi immobili
quando il sonno si dilegua
ma non i sogni senza notte,
non i ricordi di un’altra estate
tra i bar cittadini
che girano come i loro orari
al suono di un cucchiaino,
ai bordi delle strade



L’ultima Ancona

Le scalette scendono ripide al porto,
il mare piatto ad oriente
custodisce le barchette dei pescatori.
Lo slargo di Via Bernarbei
incrocia un’Ancona vecchia
all’uscita dei circoli,
nelle strade strette che assomigliano
a quelle di Genova,
città di scoglio e di frontiera
che si accende una sigaretta
allo sbucare dei fari di una barca
tra le ringhiere di San Ciriaco.
Un giugno di vento e di luce
riempie la domenica,
apparecchia i tavoli dei ristoranti


Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969. Vive a Fabriano. Ha pubblicato l’antologia di poeti italiani contemporanei Lirici e visionari (Ancona, il lavoro editoriale, 2003), i libri di saggi critici Luoghi del Novecento (Marsilio, Venezia, 2004) e Tra due secoli (Neftasia, Pesaro 2007), l’antologia di poeti italiani tradotta negli Stati Uniti The new italian poetry (Gradiva, New York, 2006).
Nel 2005 è uscita la raccolta di poesie L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme).
Si occupa di critica letteraria e di filologia su varie riviste e giornali («Il Corriere Adriatico», «Nuova Antologia», «Pelagos»).
Ha ideato e dirige il periodico di letteratura «Prospettiva».

Nessun commento: