venerdì 28 settembre 2007

The best of (Valerio Grutt)


Giocate su nonsense, visionarietà (“al centro del grande zabaione / dove Napoli galleggia”; “il fiato del mare gonfia le lenzuola”; “come un tuono in anticipo nel tuo cielo perfetto”) e anche un po' splatter, queste poesie comunicano una leggerezza tragicomica che ci ricorda quella (sul versante narrativo, ma in fondo questi versi ci paiono abbastanza prosastici) di Chiara De Luca. La reatà pare essere così pesante, brutta e assurda che forse è meglio scovarne il lato ridicolo o spiazzante, cortocircuitare i ragionamenti e dare una scossa piacevole, stuporosa, simil romantica al lettore, che poi magari si chiederà cosa c'è oltre questi stravolti eventi, situazioni, sentimenti così quotidiani eppure ineludibili: ”se m’innamorerò ancora ma non di te / è per lasciare spazio al nulla / nello spazio tra i miei occhi e i miei occhiali.”


da Gli occhi di mia madre, tre volte i miei (titolo molto provvisorio)

a mio padre che sarà tra forbici e stelle

Quel giorno avevano chiuso agosto
con i limoni sugli occhi

non sapevo ancora niente
degli aperitivi e dei film di Burton

giocavo a pallone
con la maglia del portiere

al centro del grande zabaione
dove Napoli galleggia

nella sala d’attesa
tolsero l’acqua al pesce rosso

il dottor temporale disse di chiudere le porte rimaste socchiuse
ci caricarono il buio alla nuca e spararono

ero un elefante con le gambe secche
e non ci volle molto a cadere

era l’ultima via Santa Lucia
che se ne andava timida dal golfo

hanno visto alzarsi in volo uno stormo
dalla piazza fredda del letto di mia madre

hanno tolto l’uomo
hanno sradicato le sue mani dalle mie

quando tornerà sarà davanti agli occhi di Antonio
e tra le braccia di Maria come il figlio che non ha

quando tornerà non sarà buio il corridoio
si siederà a tavola e dirà: “perché avete aspettato tanto…

potevate cominciare”.


***

Gli occhi di mia madre, tre volte i miei
da tenere il disastro di questi giorni
e la solitudine di ogni singolo figlio
dentro al buio tra le porte

dalla cucina, nella casa di Santa Lucia
stendendo un braccio si arrivava in tutte le stanze.
Le corse agli elettrodomestici della domenica,
una brezza di fucile dalla finestra.

Ora saltano gli acquedotti
e i ragazzi vanno di fretta, risucchiati
dai cantieri stradali, i lavori iniziati
della nuova linea metropolitana,

una malattia ci corre dritta.
Ricostruiscono le torri, le fanno di luce
che di luce erano fatte, come i nostri cuscini
ad attutire il colpo nel sonno.

All’una e cinquantasette di un tre aprile
mi sembra di correre su un tapis roulant.
Ho libero il frigo per la nuova forma di grana,
la indico tendendo il muscolo dell’avambraccio
la stella sullo scaffale dell’ipermercato.

***

Un giorno tornerai a Ischia lucente
isola sola, lontana mille anni dal mare.
L’abbronzatura all’oro degli anni
che brilla di notte al gelato d’agosto a due gusti

e scale di case dall’aria salata
che increspa i capelli, e salite e discese dagli occhi.
A lui chiederai i capelli a cavatappi,
e di pettinarti giornate strappate all’abbraccio

della madre larga e del padre fascista
che ti compra le scarpe per camminare in campagna
e t’adotta alla zia che ti lascia una corda
per attaccare il sole a una sedia sul balcone.

Mamma che sfogli settimane enigmistiche,
e t’accendi al divano per le corde che stridono
dell’ascensore che mi porta al quarto piano.
Figlia di un marito scorpione e parrucchiere,

che giocava nella vita da angelo, tirato giù da un albero
a bere dagli angoli le cose felici, tendeva una mano
al tuo sonno cattivo e tre figli, ti baciava sereno
come se non esistesse la pioggia ed il buio.

Tornerà la gioia del primo giradischi
la scoperta di cose naufragate nell’ombra.
Le ali aperte dei figli tuffati, alla buona pazienza
del cuore, di piazze, di auto al casello,

del respiro, vacanze, di sere finite
alla noia beata dell’essere soli.
Verrò a mangiare melanzane a funghetti,
all’alba del tuo sorriso preso a bellezza dei salti di uccelli.



da winona ryder ama un altro

mentre rimani
come un fiore nudo sull’acqua

arrivo io
ballerino di impalcature

con l’orario dei treni
in una mano

e il sole
nella lente sinistra degli occhiali

a riempirti di alberi
buoni per addormentarsi

passa il vento e il dopobarba
mi si spettinano le ciglia

giravolta e marmellata
albergati in un maglione

il fiato del mare gonfia le lenzuola.


***


tra un’oretta un’ora una carezza
il sole si addiziona

ombra o ventosa
tre baci tre alberi

mano nella mano scivoliamo
milano

bionda come non mai o luce
latte

mare come sale come andare
mimosa

immaginare con poca chiarezza
la stessa cosa.


***


e vieni!
magari in brasile

se mi vuoi telefonare

per mano lontano
onda più onda e vulcano

se solo mi aspettassi per un aperitivo

neanche la cena
la notte balena

rimango

orizzontale e vestito
mi vedo spuntare bambino

da dietro

con la maglia mars di maradona
ti invito.



da michael j fox (all’interno di “winona ryder ama un altro”)


ti devo dire quella cosa del futuro
come un tuono in anticipo nel tuo cielo perfetto

adesso che abbiamo trent'anni prima
non chiudermi l'amore

ma aspetta che mi cambio
non posso tornare vestito come un imbecille

ma ora che so dove cadrà il fulmine
dammi la mano

per ripartire da quando sono partito
nutrendo con plutonio l'amore.



da il surf delle mattonelle (all’interno di “winona ryder ama un altro”)


per strada avrai visto capelli rasati
e camminate che sembravano le mie

e spille colorate su un accento napoletano
avrai visto i lacci doppi sulle scarpe da skate

e quanti pantaloni larghi avrai conosciuto
e di gente che dice di fare e di amare

con più grazia di me
e una volta quasi lo sguardo sotto un berretto

il pizzetto e il portachiavi
un arancione migliore di quello del mio zaino

una spensieratezza meno lavorata
e avrai visto le birre aperte con gli accendini

le giacche e le sigarette e l’altalena
bere vino scaduto per tutta la notte

winona ryder, uno con la faccia da VJ
e un senegalese di trent’anni

ti giravano intorno e tu ridevi

prendendo ogni stella per attaccapanni
a cercare quella che ti somiglia, la più magra

avrai visto il taglio sul sopracciglio
il centro sociale e lo sbadiglio, il coniglio

la novità che non sta nel sogno
addirittura il neo più intimo ma non ero io

e ora che mi hai trovato
perché non mi dai neanche un bacio?


***


dimmi come ti vesti stasera mia piccola prévert
con le scarpe gialle e verdi li ucciderai tutti

il cappellino che ti ho regalato non fa sentire il freddo
e se ti pizzica un po’ la fronte non temere

fin quando te ne ricorderai potrai dire alle tue amiche
che io l’ho tirato fuori dal buio per coprirti dal buio

e mai nome fu più appropriato
se ogni volta che ti vedo perdo il filo

torna anche da un ramo 6 chilometri distante dal cielo
che non sa l’inglese

arianna non si traduce si taglia
torna anche dal buio maledetto

che non sa farsi amare
torna sulla mia bocca dove sa farsi amaro il tuo nome

l’anima tua maria maddalena
sofia loren e catherine per marcello

i telefilm, il cioè dell’edicola
se m’innamorerò ancora ma non di te

è per lasciare spazio al nulla
nello spazio tra i miei occhi e i miei occhiali.



Valerio Grutt è nato a Napoli nel 1983. Scrive slogan pubblicitari, poesie, racconti, format televisivi, canzoni, sms, sceneggiature di colossal cinematografici hollywoodiani. Regista, presentatore, poeta, videomaker, rapper, attore, supereroe (come il fariano Alex Celli?, domanda di AR). Una volta ad Amsterdam è stato investito da un’ambulanza (con la sirena accesa) ma non si è fatto niente. Alcuni dei suoi scritti sono presenti in antologie come “Poeti italiani underground”, in numerose riviste e su muri di periferia. Premio Nobel per la letteratura nel 2004, e vincitore del festival bar l’anno seguente. Ama moltissimo il copia e incolla, cani e rane. Collabora come creativo, organizzatore e presentatore con il Centro di Poesia contemporanea dell’Università di Bologna. Dirige con successo la Popcorner factory.
Il suo più grande obbiettivo nella vita è scrivere il proprio cognome senza che word lo segnali come errore.

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