venerdì 27 aprile 2007

Su Storie di vita


recensione di Vincenzo D'Alessio

Una ragnatela di lana rossa

Ho letto con attenzione il racconto Una ragnatela di lana rossa "dovuto" di Giuliana Guerri alla coprotagonista Valentina restando avvinto dallo sforzo, sincero, dello sviluppo del logorio tra fantasia e socialità.
Tutte le pagine trasudano l'emotività che riconosco solamente alle mamme, alle donne che riescono ad essere madri tanto quanto possono rinunciare al proprio ego per cedere all'amore per il frutto del proprio seno.
Per una madre adottiva è un vero saggio di insostituibile "amore" dove, con questa parola non del tutto verificabile scientificamente, debba intendersi e leggere "sacrificio sempre".
Lo scorrere degli accadimenti è sincrono alle concitate giornate dei nostri tempi. Come pure sono verificabili gli atteggiamenti sociali ai quali chi scende all'adozione si ritrova a vivere.
Siamo una società vecchia e malandata per molte cause, noi europei. Lo dico con la tristezza di un giovane che quarant'anni fa spiccò il volo verso nuovi orizzonti sociali, ritrovandosi praticamente a mani vuote e dimenticato.
Storie che si intrecciano, dolorosamente, violentemente, in una nazione (e non solo la nostra) che continua ad avere paura del "diverso", dell'estraneo, del non nato nella stessa casa.
Troppo dolore circonda la pratica dell'adozione anche a livelli economici più elevati. Troppa burocrazia e troppi esami, con poche efficaci tecniche di insegnamento ad essere padri e madri.
Bene ha scritto Mario Lodi quando, affrontando il problema della presenza dei bambini nel mondo, dice che madri e padri si diventa lentamente crescendo accanto ai propri figli, anche a quelli adottati.
Fa bene leggere questa storia tutta umana e poco incline a guardare verso il cielo o verso la religione come punto di sollievo: il dolore è tutto legato agli esseri umani e sono loro che lo somministrano gratuitamente. La trama del racconto è semplice e funzionale. Potrebbe non essere una storia vera, una storia vissuta da chi l'ha scritta… invece è una storia vera del nostro vivere in seno agli uomini.

Vite avvitate

I quattro racconti brevi di Giusi Sapienza Jouven – "Quel pasticciaccio della rue du Temple", "Insieme", "Caffè turco" e "Hotel quattro stelle" – sono fotogrammi di una esistenza sospesa in angoli senza tempo, in luoghi che anche se descritti assumono valenze magicosensoriali pescando nella memoria personale.
L'ironia con cui si svolgono le vicende e la casualità delle stesse ci riportano alla fervida scrittura siciliana di Verga e Pirandello. Risultano in questo modo facili da seguire e avvincono il lettore alla vicenda.
Belli i personaggi polizieschi, tipici della Trinacria; come pure il simbolico "pappagallo nero" del racconto "Caffè turco", abituato a ripetere alla polizia quanto accade. Come pure la precisazione fatta a tutti i condomini nello stesso racconto: siamo polizia, non carabinieri.
Insomma una sana e fervida rinascita del racconto fantastico, senza eccessive pretese politico sociali, alto quanto basta per imprimere nel lettore l'esigenza di avvicinarsi alle "quattro stelle" dell'hotel dell'esistenza.


Vincenzo D'Alessio
via Sala 29 - frazione S. Felice
83025 Montoro Inferiore (AV)

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