domenica 1 aprile 2007

Commento sulla Passione di Cristo


di Franco Casadei

Chi può adeguatamente commentare i tre giorni della Passione di Gesù? C’è solo da guardare, tre giorni d’occhi aperti sul più grande dramma della storia. Di attesa nella speranza che accada la promessa. Solo i santi hanno saputo cogliere fino in fondo il cuore degli avvenimenti che si sono succeduti. E i geni dell’arte. Pensiamo a Leonardo e all’Ultima Cena, alla Crocifissione di Antonello da Messina (v. immagine a lato) o al Cristo morto di Mantegna, a tutte le espressioni artistiche che hanno riempito chiese e contrade, biblioteche e teatri della civiltà cristiana d’Europa. È un avvicendarsi drammatico di eventi, di tradimenti, di sangue, di pianto, di folle vocianti, di silenzi, di buio, di terremoti. Sconvolto il mondo, gli uomini sgomenti.
“Quando fu l’ora prese posto a tavola…”. Sarà l’ultima cena, la prima Messa della storia cristiana: “prese il pane, lo spezzò…questo è il mio corpo. Fate questo in memoria di me”. E si cinse, lavò loro i piedi: “chi è tra voi il più importante diventi come il più piccolo… chi comanda diventi come quello che serve”. “Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me sulla tavola”. Satana è entrato nel cuore di Giuda, che abbandona il cenacolo ingoiato dalla notte e darà seguito al più grande tradimento della storia. Gesù dice ai Suoi che sarà preso e ucciso. Pietro, con impeto ingenuo ed eccesso di autostima, ardisce: “Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte”. Benché messo nell’avviso (“non canterà oggi il gallo, prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi”), dopo poche ore Lo rinnegherà.
Cristo, uscito, se ne andò sul Monte degli Ulivi: “Padre, se vuoi allontana da me questo calice”. Questa preghiera di Dio a Dio, ci mostra un Gesù in tutta la sua umanità, le sue paure d’uomo per il male del mondo riassunto nella sua carne: le nostre cattiverie quotidiane, le violenze, le dimenticanze, i bambini uccisi o non voluti, le guerre e i terrorismi, le povertà e la fame, le ingiustizie che gridano vendetta. Cerca conforto nei discepoli che l’avevano seguito, ma si sono addormentati benché lui sudasse sangue: “Neppure un’ora avete vegliato con me”. Arrivano i soldati, il bacio di Giuda; lo arrestano, dopo un piccolo tentativo di difesa i suoi lo abbandonano e fuggono. Gesù è solo. Condotto dal Sommo Sacerdote, interrogato, vilipeso, accusato da falsi testimoni. E Pietro, a parole il coraggioso, succube della sua pusillanimità, lo rinnega tre volte. Quindi Pilato, emblema del potere romano, eppure così vile da lavarsene le mani. Da Erode che lo irride. E Lui, come agnello muto, poche parole: “Io sono la verità, il Figlio di Dio, tu lo dici!”. E la folla manipolata dal potere di allora come oggi, ripete gli slogan suggeriti. Meglio schiavi della propria misura! Non si vuole chi spacca gli schemi del nostro quieto e triste vivere, chi apre ad una speranza nuova. E il flagello, le spine di derisione sul capo, gli sputi. È l’ora di Barabba, della vittoria del male sul bene. Si respinge una verità non progettata dall’uomo. Si rifiuta il Mistero, il volto di chi si propone come la via della liberazione dal proprio limite. Il peccato non esiste, non c’è legge di natura che venga prima dell’uomo. Tutto è convenzione, decido io cosa è giusto e cosa no, cosa ha diritto di cittadinanza e cosa da rigettare. Non ci insegna nulla che Giuda - l’uomo con i piedi per terra, il collaborazionista - non regga l’onta e s’appenda al ramo. Non riuscendo a perdonarsi, la sua presunzione d’uomo è tale che Giuda non crede che Qualcun altro questo perdono glielo possa ancora offrire. E si annienta. E con lui le sue utopie. Che differenza con Pietro, anche lui pavido e incapace di coerenza! Pietro piange su se stesso e sulla propria debolezza, ma non dimentica Gesù; si fida e si riaffida alla Sua amicizia piena di misericordia che tante volte ha già sperimentato.
E inizia la Via Crucis in un susseguirsi di incontri, di volti, di sguardi: la Madre, il Cireneo, le pie donne, la Veronica. Si giunge alla cima, i chiodi, la croce innalzata. Ci sono anche due malfattori ai lati: le due posizioni umane di fronte al Divino. Uno Lo apostrofa, l’altro Lo invoca: “Ricordati di me quando sarai nel tuo regno”…”Oggi sarai con me in paradiso”. Dima, il primo di cui si è certi della salvezza eterna, è un delinquente. E l’ultima sfida dei maestri della legge in segno di disprezzo: ”Se sei Figlio di Dio scendi dalla croce…lo liberi Dio adesso se gli vuole bene!”. E la risposta di Gesù (“Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno”), che inaugura la grande novità della storia; il peccato vinto dalla Sua morte regala all’uomo una possibilità di redenzione dal suo limite mortale.
E spirò. Si fece gran silenzio e buio sulla terra. Tutto è compiuto, la favola a tragico fine ha avuto il suo compimento. L’ora delle palme e degli osanna è scaduta. Finalmente il potere, la dea ragione, i codici della legge, i risultati dei referendum, i Barabba possono ancora spadroneggiare, farsi beffe dei dodici, dei ciechi risanati e dei paralitici alzatisi dai lettucci. Tre giorni in cui torna l’uomo faber sui, costruttore del proprio destino, che non deve rendere conto a nessuno, se non alle convenzioni, al diritto da lui definito che ha deciso cosa è bene e cosa male. Un bambino rifiutato è legale, un cane abbandonato no!
“Giuseppe d’Arimatea la sera lo avvolse in un lenzuolo, lo mise nella sua tomba e se ne andò.”

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