Sergio Gallo, Gleba - ādāmah, Gattomerlino, 2025
recensione di Flavio Vacchetta
Con questa nuova pubblicazione Sergio Gallo dimostra la sua profonda vena poetica, sincera, spontanea, d’istintiva natura all’arte del verso genuino e scorrevole. Personalmente colloco le poesie di Sergio fra le mie più gradite e penso sia uno fra gli autori più interessanti della poesia contemporanea: merita senza dubbio una particolare attenzione, sia da parte dei lettori che della critica. Una lettura fatta di proprie esplorazioni nel verace regno della versificazione e della creatività, ed il piacere della parola fatta arte. Gallo scrive con la massima scioltezza d’animo che gli perviene istantanea, l’immediatezza lo stimola all’uso della parola viva, tinta di coloriti contingenti, strappati ai processi intensi della vita emotiva. Il segreto è dentro l’ignoto apparire informe interiore, di tutto quel mondo che fluisce e molce il gesto affettivo dell’autore. Il poeta, nel sublimale scorcio del tempo, attende le felici prede musicali tra le grinfie egemoniche della penna guidata da conoscenza della mente creativa.
Sergio Gallo, scrive nella postfazione Ivan Crico, “nelle sue poesie mette in contatto micro macrocosmo, lo stupore davanti alle meraviglie della Natura che descrive con l’esattezza dell'uomo di scienza…” Egli, collaboratore di farmacia, fruga nei cieli l’aura fragrante e arcana della poesia, fantasticamente accolta alla corte delle emozioni sensazioni dei sogni poetici ed astronomici.
Come alba dorata la poesia sboccia nelle mani di Sergio, sguscia indomata da dalle viscere della materia vivente e dai sanguinosi eventi che dominano attualmente le vicende terrestri: guerre, calamità, catastrofi, epidemie…
Ventimila bambini palestinesi
sotto le macerie a Gaza:
quelli nati sotto le bombe
da giovani madri perite di parto
quelli morti di dolore
amputati senza anestesia
quelli presi a bersaglio
alla luce del giorno dai cecchini
quali assassine sure del Corano
recitavano?
E i neonati nelle culle termiche
senza elettricità, senz'acqua...
Da questi pochi versi si evince che Sergio Gallo la poesia ce l’ha proprio dentro, connaturata ai personali soffi del pensiero che è sollecitato da inquiete proprietà esplorative mai paghe di aperture prospettiche. Eccone nel testo che segue intitolato “Breve osservazione del cielo estivo”, a mio modesto avviso, la prova:
Sarebbe bastata la verità
d’una piccola porzione di cielo
in una notte serena;
un cielo d’inizio agosto,
ricco di corpi celesti:
Deneb, Altair, Vega prossime allo zenit;
il Cigno, Aquila, Lira
luminosa trincea della Via Lattea
la bocca da fuoco del Sagittario…
l’elmetto splendente Saturno
a oltre un miliardo di chilometri.
L’attrazione-repulsione
della doppia meraviglia astrale
di Albireo: becco, occhio di Orfeo…
Una breve ochiata alle stelle
nei loro remotissimi evi…
rende forse l’universo meno
crudele, smisurato, misterioso?
Versi narrativi si alternano a versi lapidari, ricchi di sintesi emotive, costante e geniale fascino estetico:
Restano nude ossa, trasparenti
più d’un bicchiere de tequila.
Natura imperfetta che mai potrà eguagliare
l'umana vacuità.
Richiamo ai versi dell’Ecclesiaste, citati in esergo alla raccolta: Prima che i giorni diventino sciagura (Qohèlet 12,3).
Per finire l’autore si riconosce nei frammenti rapidi dei suoi versi inebrianti ed inebriati da abissi ignoti, ricerche spasmodiche su cieli e stelle, respiri trionfali del verso fluttuante e galleggiante, fra onde di ali eterne.
Nell’augurio delle sapienziali parole del giovane Salomone, colte da I Re: Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male (I Re 3,9).
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