(di ritorno da Fonte Avellana 2022)
I
Sono seduto, ho mal di gola.
Andare a capo è soltanto una scusa,
una regola come un’altra
le regole della vita.
Anche viaggiare ha delle regole.
Alcuni biglietti hanno il posto a sedere
numerato, carrozza 7 posto D
ad esempio. (Freccitalia.)
Secondo me scrivere è come viaggiare.
Non ci si può immaginare una scrittura
ferma: le dita stesse, che sia
abbracciando una penna
o mentre battono piccoli tasti
sono un battito di ali.
È la velocità della frase, della
virgola, è il suono della memoria.
Di lì non si scappa – vero.
Rimaniamo pur sempre lì, ecco
il pianeta terra o la nostra
esistenza, o un foglio di carta.
Ma lo sfondo sta in fondo:
è solamente superficie.
È amore per i contrasti. Con le parole
con il canto, non si crea
che nuovi mondi migliori
anche se figli di questo.
La questione ontologica. Essere
o meglio diventare padri.
L’albero non scappa eppure
le radici, in basso, nella terra
si agitano e fremono
andando in cerca della vita.
E la sete è la vera dimensione
dell'esistenza. Infatti, bevo
un sorso d’acqua. Tiepida,
gasata mi raschia la gola.
La sete è la nostra condizione
perché anche bevendo
non si placa. Altrimenti perché
inventarsi d’andare a capo
così, è solo un vezzo
di pieni stomaci?
No, il cuscino non è il vero
riposo. Come il treno
non porta alla destinazione ultima,
poi è di nuovo una partenza.
E il canto nasce anche da una cosa
del genere, una piccola corsa
da un punto a un altro,
semplice stare sul sedile.
La vita ormai vede,
primari occhi per vedere
altri passanti e il passare
del tempo immaterialmente —
proprio come la memoria…
Chissà come scappano gli alberi?
Di nuovo la questione ontologica.
Guardando le foglie scorrere
sul pianoro il sole è alto
ma qualcuno che studia, di fronte
le arriva diretto negli occhi.
Anche la pazzia è così,
se qualcosa ci irrita o
ci fa capitolare in balia di altro
basta mettergli una cortina davanti,
per un momento.
Ci insegna l’accettazione:
l’assolvere un compito alla volta,
il proprio, in base al contesto.
Il suo è di ripararci dal sole.
Una porta si chiude e s’apre.
(La ragazza
legge di fronte sul treno
un libro che mette ansia
il titolo: Massimo rendimento.
La produzione non aspetta,
gli occhi tradivano un tremolio
di attenzioni e desiderio,
un sorriso spia da dentro.)
Il sole fa luce sul nostro lavoro
ogni nuovo giorno
nelle stanze di casa
o della storia, fra le ombre
degli alberi o dei tetti
o immersi nella calda strada
si tratta di fare un po’ di silenzio
come radici, per assecondare
la vita nascosta. Farsi spazio nella terra.
Anche il genio
è un po’ di fiducia.
A scappare di solito siamo noi.
Il telefono mi distrae:
anche adesso mentre non ci penso.
È come una piscina vuota le cui
pareti di belle piastrelle
azzurre scaldano.
È il sonno profondo che chiama
ci ritrae dal nostro compito.
Tentazione illusoria di compiere
soltanto con un dito…
Per scrivere
tutt’al più ce ne vogliono due
una mano intera.
Anche questa basilare lotta
con la creazione col figliare
anche questo tipo d’argilla
ha bisogno di un plurale.
Sullo smart-phone, il mondo si piega
con un pollice eppure
non si scopre che — se va bene —
un sentimento, o un ricordo
nuvola passeggera.
Se prende campo
a volte si può salvare una vita.
II
Forse la lingua
è una specie di linfa.
In fondo basterebbe insegnare
bene l’italiano a un bambino,
a se stessi.
Questa cosa inutile
l'uomo. Pianta coi rami
e fiori al vento. Antica ginestra
issopo violetto che purifica.
Anche il viaggio ha le sue regole,
ha una fine. Venire incontro
a una bella idea e cogliere tutto
nella pienezza, scrivere.
Chissà se s’arriva da qualche parte,
o se m’ammalo prima.
La ferita è già aperta:
accorgersene è guarire.
Si posano le parole qua sopra
ma il treno si ferma.
Le persone scendono,
anche la ragazza con il vestito
maculato davanti che starnutiva.
Anche l’anziano coi baffi
dal Gargano, basso dalle gonfie
dita, mi ha raccontato
la storia dei padri della Chiesa
e della sua vita… Forse era un angelo
in borghese
con in serbo un segreto:
parlano in questo modo, forse
gli angeli, con disinteresse
semplici che stavano per
diventare diaconi e sorridendo
dicono: “Ma chi ce la fa a seguire
l’Imitatio Christi?” Ci mettono
davanti ai nostri giudizi.
Hanno la terza media.
Ci raccomandano di continuare
a studiare salutandoci.
III
La memoria, dicevo —
gracile arbusto fiorisce, speranza.
Questo esercizio per dire
che non ho mosso un passo
da qui seduto nella mia stanza.
Dal vuoto della sera che scende,
dal tempo sprecato
il fiore della tolleranza
e il desiderio di una cura
immensa.
I rami
si muovono insieme al vento
non sappiamo ormai il senso
delle stelle per orientarci
tenderemo una mano.
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