giovedì 11 maggio 2023

L’albero della memoria

di Alessandro Burrone

(di ritorno da Fonte Avellana 2022)





I


Sono seduto, ho mal di gola.

Andare a capo è soltanto una scusa,

una regola come un’altra

le regole della vita. 

Anche viaggiare ha delle regole.

Alcuni biglietti hanno il posto a sedere

numerato, carrozza 7 posto D

ad esempio. (Freccitalia.)


Secondo me scrivere è come viaggiare. 

Non ci si può immaginare una scrittura

ferma: le dita stesse, che sia

abbracciando una penna

o mentre battono piccoli tasti

sono un battito di ali. 


È la velocità della frase, della 

virgola, è il suono della memoria.

Di lì non si scappa – vero. 

Rimaniamo pur sempre lì, ecco

il pianeta terra o la nostra 

esistenza, o un foglio di carta.

Ma lo sfondo sta in fondo:

è solamente superficie.

È amore per i contrasti. Con le parole

con il canto, non si crea

che nuovi mondi migliori 

anche se figli di questo.


La questione ontologica. Essere 

o meglio diventare padri. 

L’albero non scappa eppure

le radici, in basso, nella terra

si agitano e fremono

andando in cerca della vita.  

E la sete è la vera dimensione 

dell'esistenza. Infatti, bevo

un sorso d’acqua. Tiepida, 

gasata mi raschia la gola.


La sete è la nostra condizione 

perché anche bevendo

non si placa. Altrimenti perché 

inventarsi d’andare a capo

così, è solo un vezzo 

di pieni stomaci?


No, il cuscino non è il vero 

riposo. Come il treno 

non porta alla destinazione ultima,

poi è di nuovo una partenza.


E il canto nasce anche da una cosa

del genere, una piccola corsa

da un punto a un altro,

semplice stare sul sedile. 

La vita ormai vede,

primari occhi per vedere

altri passanti e il passare

del tempo immaterialmente — 

proprio come la memoria…      


Chissà come scappano gli alberi?

Di nuovo la questione ontologica. 

Guardando le foglie scorrere

sul pianoro il sole è alto 

ma qualcuno che studia, di fronte

le arriva diretto negli occhi.  


Anche la pazzia è così, 

se qualcosa ci irrita o 

ci fa capitolare in balia di altro

basta mettergli una cortina davanti,

per un momento.

Ci insegna l’accettazione:

l’assolvere un compito alla volta,

il proprio, in base al contesto.

Il suo è di ripararci dal sole. 

Una porta si chiude e s’apre.


(La ragazza

legge di fronte sul treno

un libro che mette ansia

il titolo: Massimo rendimento.

La produzione non aspetta,

gli occhi tradivano un tremolio 

di attenzioni e desiderio, 

un sorriso spia da dentro.)

 

Il sole fa luce sul nostro lavoro

ogni nuovo giorno 

nelle stanze di casa 

o della storia, fra le ombre

degli alberi o dei tetti

o immersi nella calda strada    

si tratta di fare un po’ di silenzio

come radici, per assecondare

la vita nascosta. Farsi spazio nella terra.


Anche il genio 

è un po’ di fiducia. 


A scappare di solito siamo noi. 

Il telefono mi distrae:

anche adesso mentre non ci penso.

È come una piscina vuota le cui

pareti di belle piastrelle

azzurre scaldano.

È il sonno profondo che chiama

ci ritrae dal nostro compito.

Tentazione illusoria di compiere

soltanto con un dito


Per scrivere 

tutt’al più ce ne vogliono due

una mano intera. 

Anche questa basilare lotta 

con la creazione col figliare

anche questo tipo d’argilla 

ha bisogno di un plurale. 

Sullo smart-phone, il mondo si piega

con un pollice eppure 

non si scopre che — se va bene — 

un sentimento, o un ricordo 

nuvola passeggera. 

Se prende campo

a volte si può salvare una vita. 


II


Forse la lingua

è una specie di linfa. 

In fondo basterebbe insegnare

bene l’italiano a un bambino,

a se stessi.

Questa cosa inutile 

l'uomo. Pianta coi rami

e fiori al vento. Antica ginestra

issopo violetto che purifica. 


Anche il viaggio ha le sue regole,

ha una fine. Venire incontro 

a una bella idea e cogliere tutto

nella pienezza, scrivere. 

Chissà se s’arriva da qualche parte,

o se m’ammalo prima. 

La ferita è già aperta:

             accorgersene è guarire.  


Si posano le parole qua sopra

ma il treno si ferma. 

Le persone scendono, 

anche la ragazza con il vestito 

maculato davanti che starnutiva. 

Anche l’anziano coi baffi 

dal Gargano, basso dalle gonfie

dita, mi ha raccontato 

la storia dei padri della Chiesa

e della sua vita… Forse era un angelo 

in borghese


con in serbo un segreto:

parlano in questo modo, forse

gli angeli, con disinteresse

semplici che stavano per 

diventare diaconi e sorridendo

dicono: “Ma chi ce la fa a seguire

l’Imitatio Christi?” Ci mettono

davanti ai nostri giudizi.

Hanno la terza media. 

Ci raccomandano di continuare 

a studiare salutandoci. 



III


La memoria, dicevo —

gracile arbusto fiorisce, speranza.

Questo esercizio per dire

che non ho mosso un passo

da qui seduto nella mia stanza.  

Dal vuoto della sera che scende,

dal tempo sprecato

il fiore della tolleranza  

e il desiderio di una cura

immensa.


I rami 

si muovono insieme al vento 

non sappiamo ormai il senso

delle stelle per orientarci

tenderemo una mano. 

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