Michele Brancale, Salmi metropolitani e altri versi, con uno scritto di Antonio Tabucchi e nota introduttiva di Paolo Ruffilli, Passigli 2022
recensione di AR
Salmi, dunque invocazioni, preghiere-canto in cui il poeta lucano-fiorentino si “disloca” in tante situazioni umane ai margini, violentate, neglette, denigrate, messe sotto chiave, eliminate con un semplice (letale) colpo di spugna. Si tratta molto spesso di endecasillabi che ci consegnano la realtà così com’è, con una certa spietata oggettività: “Ma l’hai sentito che tonfo sul tetto? / (…) / Lo portarono via a tarda serata / quel ragazzo, quel che di lui non sparso / era rimasto sui bordi del tetto” (pp. 186-7). Con questi versi altamente drammatici appartenenti alla sezione aggiunta ai Salmi metropolitani e che contiene dieci nuovi componimenti, desideriamo iniziare questo piccolo viaggio nella poetica di Michele Brancale, con il suo occhio immerso nella quotidianità dalla quale si lascia eticamente, ma senza facili sentimentalismi, commuovere, spingendosi (e spingendoci) a una attenzione empatica, a un intervento concreto, a una reazione chi ci porti fuori dalla nostra personale zona di conforto, e a contrastare scelte di comodo, a non assuefarci alla politica dello scarto per cui una “vita / spenta dal dolore” (p. 148) ci impressiona e diventa eliminabile. Così, risalendo a ritroso la raccolta, non possiamo non condividere, ad esempio, queste parole: “Solo chi è incompiuto, si sente tale, / riconosce il limite di sé / apprezza / l’altro come valore, / relazione / e non è indifferente a te, Signore.” (p. 169); “Fatti accanto al fratello dissipato, / nutrilo di parole personali, / da ramo secco riprende vigore.” (p. 152); “Alle pareti un silenzio di luce / insinua la preghiera del ritorno, / l’emersione dal mare, nello Stretto, / del volto dei migranti affidati a Te.” (p. 125); “Ad essere così l’uno dell’Altro / lievita il pane ed è salato il sale / dell’esistenza, ombra del sollievo, / pianta dell’umano che dà riparo.” (p. 142)… In quanto Salmi, una nota di speranza (in una risposta Alta) risuona in maniera più o meno evidente in questa raccolta: le nostre sconfitte, personali e sociali, possono essere salvate, se non ci consideriamo autosufficienti, onnipotenti, se non ci interessiamo agli altri solo per utilizzarli come pedine per accrescere il nostro potere. Se invece ci apriamo al prossimo e alla grazia: “I rimorsi cadono / coriandoli.” (p. 101), vedremo una trama “del creato. Che è incomprensibile / ma è reale nell’ordine d’amare.” (p. 99), capiremo la solitudine dei vecchi (v. p. 70), l’abbandono dei carcerati (pp. 69 e 51), che ”Avere per sé è mancanza d’eterno.” (p. 64), che “… il Re giusto / che salvò il ladrone da morte eterna, / dissipò i pretesti per uccidere.” (p. 54).
La preghiera autentica nasce dal sangue, dalla carne, dal cuore che irrora la mente, dagli incontri, dalle relazioni belle o difficili, dal contesto sociale e culturale che ci ha formato, condizionato ma anche dotato di conoscenza che affonda nei secoli, di una lingua per esprimerci, di una visione del mondo. Una tensione spirituale lascia dunque il segno in noi e negli altri, solo se non è distaccato spiritualismo, ma un fare i conti con i limiti propri e altrui verificando che questi limiti nascondono però sempre un oltre, una ricchezza unica e misteriosa che cova in ciascuno di noi e che si moltiplica condividendola. Per far questo è necessario un approccio umile, ciascuno può offrire un contributo, mettendo in circolo i propri talenti, sapendo che non sono suoi ma donati. Chi si considera unico padrone e artefice di sé stesso, diventa sterile, oppressivo e strumentalizzante, e alla fine “illude sé stesso” (cfr. Salmo 35/36,3-5). E ancora Michele ci ricorda, con riferimento a don Milani, che “si contano gli effetti solo dopo, / quando il profeta è morto, tra le pietre, / la canonica vuota e la campana / in attesa di qualcuno che suoni” (p. 134), che “Dio benedice chi non sta a guardare” (p. 119), che “Non esiste destino se non quello, / perverso, che danno a sé stessi e agli alti / gli insensibili, col moto d’inerzia: / solo sfiorando violentano gli altri.” (p. 112), che “Sei tu che riscaldi il cuore ai viandanti, / che non hai dove posare la testa. / Ti fai mangiatoia, rifugio e asilo. / Ferma la selezione innaturale.” (p. 44).
Ci piace concludere con questi intensissimi versi in chiusa al Salmo 13 (p. 26): “Tu Signore non disprezzi l’amico / che chiede, disperso, di liberarlo. / Libera, Signore, dal laccio di me / la mia vita. Canterò le tue lodi.”
PS Il titolo di questa recensione è il primo verso del Salmo 112 (p. 136). Il nono versetto del Salmo 111/112 recita: “Egli dona largamente ai poveri, / la sua giustizia rimane per sempre” (il soggetto è l’uomo che teme il Signore).
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