giovedì 23 maggio 2019

“Come un nido è il mio Nome…”

Raffaela Fazio, Midbar, Raffaelli 2019

recensione di AR



Per chi ama la Bibbia e la cultura che l’ha originata, questa raccolta di Raffaela Fazio sprigiona aromi, distilla umori, veleggia su racconti, intrighi, riflessioni, inni, canti, meditazioni, rivelazioni che sempre ci provocano, inquietano e in qualche modo conquistano. Midbar in ebraico è il deserto, e contiene la parola/fatto (i due concetti sono inscindibili nella lingua biblica) dabar. Essendo la mem una particella locativa, si può interpretare midbar come “luogo della parola/del fatto/di quanto accade”. Il deserto è come il silenzio che rende possibile al suono di essere, la pagina bianca che permette all’inchiostro di tracciare le parole, lo sfondo su cui possono stagliarsi disegni, segnali, simboli; lo spazio dell’incontro perché: “Nel deserto, non si sopravvive da soli. // MiDBarR è dunque il luogo sia dello svuotamento che dell’incontro, entrambi necessari a una parola che, per esistere, deve farsi cassa di risonanza dell’alterità” (p. 15).
Introducono Midbar cinque (splendide) citazioni chiave. In quella di Heidegger troviamo: “… fare significa provare, soffrire, accogliere ciò che ci tocca adeguandoci ad esso”. Segue la citazione di Bultmann che ci ricorda come amicizia, amore e fedeltà si comprendono “unicamente nell’aperta disponibilità all’incontro personale”. La terza è tratta da Rosenzweig e proponiamo per intero (visto che la Bibbia è la Parola dell’Eterno: “La parola esige risposta. Solo nella risposta è la verità della parola, della stessa giustezza. Questa logica non è atemporale. Al contrario, essa è logica del conoscere reale, quindi temporale”. Seguono Buber che invita a un “ritorno decisivo a sé stessi” ce urge al cammino, e Di Sante che ci ricorda che la parola è innanzitutto istituire una relazione e solo successivamente “elaborazione delle idee”.

L’opera di Raffaela si compone di tre parti: I. La misura dell’appoggio, II. Anticipo del giorno, III. Di buio e di fiato. La prima poesia, Dabar, è una vera, ammaliante ouverture, e inizia così: “Ogni parola è un passo. / Cambia nel dirsi e nell’ascolto / come una distanza / raggiunta con il corpo / e superata. / … / E il nome pronunciato / è già percorso. / …” (p. 19). Si continua con Babele (p. 21): “… / squadrammo la parola. / E la parola-argilla / scordò che era terra / reclamò l’altezza di una torre / … / rinunciammo al tempo del riposo / alla carezza, allo spazio / che differenzia il senso. / …”. La narrazione poetica ci presenta personaggi e storie salienti come quella di Giuseppe: “… / Il futuro / è calarsi nel buio / una seconda volta: / tra i denti / una nuova risposta. // Vedi, padre, / io sono finalmente / la mia scelta. / …” (p. 27). O la vocazione del balbuziente Mosè: “… / Quando la voce sogna / riunisce / il gregge dei suoi suoni / e il tempo le obbedisce. / … / Infinito, incompiuto / il cielo / ci presta un tetto provvisorio / come il palato / su cui la lingua batte / e sfiora / il senso.” (pp. 31 e 32).
Quale forza essenziale, visionaria, combattiva e al contempo struggente, in questi versi!
Nella seconda parte mi pare si abbia a che fare con situazioni di soglia, di trasformazione, attesa e “scavalcamento”: “… / Il senso non scompare. / Solo muta / il bruciore tra gli estremi / che interroga la luce / e la ripete / in profondità // …” (È scritto, p. 37); “… / io vedo quello / che ancora non sei / il ramoscello / che il tuo nome porta / dall’ulivo / fatto di luce. // E ti aspetto sulla riva. / Ti aspetto / dentro la tua voce.” (Giona, p. 39); “… / Ma cosa attendi / vecchio / se non pretendi nulla? / Perché / dal fondo dei tuoi anni / alzi lo sguardo? / …” (Alle querce di Mamre, p. 41); “… / Ciò che era pietra / distesa / è ora stele, orecchio / posato / sulla bocca del cielo. / …” (Leggero, p. 44); “… / Come un nido è il mio Nome / che cresce con l’uomo. / In me / c’è spazio per il grido / la lode / il dubbio. / … / Se anche mi scordi / non sarai mai / solo.” (Dal roveto, p. 54).
L’ultima parte “indaga” i misteri della creazione, dell’universo e il “posto” dell’uomo: “… / il buio / soffiando su sé stesso / non si separa dalla luce. /…” (In origine, p. 57); “Prima del frutto / l’uomo / è eterno e non eterno: / zona d’ombra. // … / (non può / che essere mortale / per sopportare il male / dentro il bene).// …” (ivi, pp. 61-2); “… / e ciò che posso: / salvare chi amo / attraversando me stessa / come una finestra / sulla vita che passa.” (Rachab, p. 70); “… / Ogni uomo ha un peso di stelle / dentro il sonno / un destino. // Ma tu sei leggera / e profumi muovendo i capelli. / Chiedi pace / al respiro. Scegli il posto / che la notte non nega. / …” (Rut, p. 75); “… / Su me / le tue pupille / sono le stelle e i buio / che le tiene, la creta / premuta dal sigillo / …” (Parlerò io, p. 83).
Un viaggio ricco di incontri che ci scavano dentro, con parole-domanda che esigono una risposta “umana” ovvero esistenziale: ciascun lettore formulerà (o cercherà di trovare) le sue e sentirà risuonare a lungo nell’anima i versi che più l’hanno colpito. È consigliabile fare più letture, magari con una buona Bibbia da compulsare di tanto in tanto per assaporare al meglio gli echi e richiami di questo Deserto e dare uno sfondo e uno spessore più ampio a segnali che potrebbero altrimenti passare inosservati.
Come osserva nella luminosa Prefazione Massimo Morasso, Raffaela «punta sempre a “fare simbolo” fra una rivelazione celeste in forma di annuncio e una narrazione terrestre delle condizione umana» (p. 7).



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