giovedì 22 marzo 2018

I poeti vincitori della prima edizione concorso narrapoetando

Fara Editore grazie ai giurati Francesco Filia, Giovanna Iorio, Matteo Bianchi, Michele Bordoni e Valeria Raimondi della sezione Poesia (per la sezione Racconto/saggio v. narrabilando) del concorso narrapoetando 2018 è lieta di proclamare i vincitori i primi tre classificati del Concorso con pubblicazione premio della loro opera:


I classificato

LA DIMORA DELLO SGUARDO
di Giancarlo Stoccoro (Spino D’Adda, CR)




Giancarlo Stoccoro (1963) è psichiatra e psicoterapeuta. Studioso di Georg Groddeck, ha curato l’edizione italiana della biografia: Georg Groddeck Una vita di W. Martynkewicz (Il Saggiatore 2005) e il saggio Pierino Porcospino e l’analista selvaggio con inediti di Groddeck e di I. Bachmann e autori vari (ADV, 2016). Suo è il libro sul cinema e il S.D.: Occhi del sogno (Fioriti, 2012). Ha curato Poeti e prosatori alla corte dell’Es con il contributo di D. Bisutti, F. Buffoni, M. De Angelis, A. Defilippi, M. G. Calandrone, L. Liberale, F. Loi, F. Mancinelli, U. Piersanti, F. Pusterla, G. Rosadini, F. Serràgnoli, M. Silvera, G. Tesio (AnimaMUndi, 2017). Ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima delle quali è Consulente del buio (L’Erudita, 2017).


Su cortecce di cielo bianco
le parole si mostrano avvinghiate
in alto recano impronte
di voli notturni e vecchi fili di trincea
Attendono che il silenzio le asciughi
nei passaggi dove la luce si retrae
e soffoca l’avanzata unanime
di troppi sogni a occhi aperti

*** 

Giungono le ore
la notte è ancora tremenda
se da vicino la prendi

I bambini scendono dagli avamposti della guerra
imbrogliano le trincee e le croci
indifferenti al sonno ai piedi gonfi alla pelle
che un morbido contatto reclama

***

Un sogno comune abbraccia
i luoghi quando passano
senza lasciare terra ai piedi

Erompe come un tempo acceso nella notte
e il corpo esulta
esulta la pelle sottratta alla clessidra del mondo
ai suoi orpelli agli sguardi cuciti altrove


Giudizi

Eccellente esercizio poetico che riflette sulla possibilità della parola di farsi scena – e quindi luogo, e quindi dimora – di uno sguardo che è più mano tesa alla ricerca di un contatto che distanza insuperabile. Esercizio corporale e umilissimo contro la pretesa della poesia di rendere presente l'assente a tutti i costi. (Michele Bordoni)

Una raccolta che s’interroga sulla parola e sullo sguardo, su quei luoghi della memoria che “si spostano dentro di noi”. Ne “L’indolenza dei contorni” ho trovato forse una chiave di lettura di queste poesie: un vagare nel Tempo senza “smarrire il mondo”. (Giovanna Iorio)

Protagonista di questa raccolta è il mondo accolto come un luogo in cui mettere alla prova la propria etica, in un gioco continuo di adulti che possa – rinfrancato dal ricordo di una voce senza significato, voce materna, voce narrante – ritrovare i contorni alle cose. Se il mondo è prima di tutto luogo del gioco e della fiaba, dovere del poeta è riportare l’attenzione sulle cornici che sono, come le parole della poesia, sostegno ad ogni altra cosa, che sia nuvola, ricordo, sentiero o pianto. Il confine è la misura dello sguardo del poeta che accoglie la desolata meraviglia che sempre accade per un passaggio sbagliato di palla. (Alberto Trentin)

LA FORMA, come collocazione di sé, soggetto, nel paesaggio complessivo. I luoghi con la loro realtà piena e oggettiva. Lo sguardo, che “attraverso una crepa si fa largo” diviene una chiave possibile per decifrarli e collocarsi. Una frontiera, confine, di cui la Parola "sgretola fragoroso il silenzio". In questi versi rinveniamo l'origine della Poesia intesa come lingua nuova capace di attraversare le percezioni. Il verso è sempre attento al rapporto suono/senso, di essenziale economia espressiva, portando un ordine armonico nella scrittura. (Valeria Raimondi)


II classificato

QUEL CHE RESTA
di Sandro Serreri (Luogosanto, SS)





Sandro Serreri (1963) vive e lavora in Gallura. È autore della raccolta di poesie Nelle stanze remote (Edizioni Cantagalli, 2014), dei racconti brevi La porta socchiusa (Fara 2016) e del romanzo Mio fratello (Albatros 2017). Suoi testi sono presenti nei blog narrabilando.blogspot.it e farapoesia.





I.

Quel che resta del giorno
è una lampada accesa
sulle carte ancora in disordine
le foto con i loro occhi
i libri accatastati, come torri
e le stilografiche allineate.

Il resto è solo polvere
e qualche pagina scritta.

1 marzo 2012



II.

Ho ripercorso quel che non ero
e ho trovato, sulla mia scrivania
molto argento ammaccato
insieme ad alcune lame
buone solo a tagliar fogli
chiusi o semplicemente da buttare.

Ho pensato, allora, di ascoltare
solo il ticchettio dell’orologio e, nient’altro.

2 marzo 2012


III.

Quando tanti occhi ti fissano
non puoi scappare ne provarci
sarebbe come se, non ci fossero
ma non è così, nulla, allora
ha più senso e vita di questi
pur incorniciati e immobili.

Loro, almeno, ci sono e, spero
ci saranno anche dopodomani.

3 marzo 2012



Giudizi

Una raccolta densa, piena di profumi, voci, stanze. Ho molto apprezzato l’intensità materica dei versi capaci di lasciare una traccia tangibile. Si percepisce la sapiente “chimica” di ricordi e sensazioni e si resta avviluppati nella tavolozza di sensazioni e colori. Meraviglioso avanzare nei suoni, “ci si ferma, si guarda qua e là / si tira un grande respiro e si resta, ubriachi (IX)”. (Giovanna Iorio)

Una narrazione poetica sotto forma di puntuale diario quotidiano che si snoda in 5 sezioni, coincidenti con cinque mesi esatti. Le sezioni includono componimenti piuttosto brevi e densi, caratterizzati anche da una misurata autoironia. La prima sezione è dedicata alla Notte: il riposo necessario a sedimentare i “resti” (i quattro sensi affrontati nelle successive sezioni), per poter “dire”, ossia dare spazio alla scrittura stessa. La notte come riparo dall'invadenza del giorno e dei sensi (i sapori, gli odori, i colori, le suonerie, come lo stesso autore li definisce) per poterne trattenere l'unico "senso" possibile. (Valeria Raimondi)


III classificato

GIOBBE
di Gianpaolo Anderlini (Fiorano, MO)




Gianpaolo Anderlini si occupa da oltre trent'anni di studi sull'ebraismo (Bibbia, lingua ebraica, Midrash, Talmud) e di poesia. È docente di materie letterarie al liceo scientifico “A.F. Formiggini” di Sassuolo (MO) e redattore della rivista QOL che si occupa del dialogo ebraico-cristiano. Ha pubblicato articoli e contributi su QOL, Bibbia e Oriente, Rivista Biblica Italiana, Orientamenti, Parola spirito e vita e in diverse opere collettive. Segue e coordina le attività della scuola di lingua e cultura ebraica di Carpi (Mo). Con Wingsbert House/Aliberti Editore ha pubblicato I calici della memoria. Il vino nella tradizione ebraica e Tu mi hai rapito il cuore. Eros, amore e sessualità nella Bibbia ebraica (2014), Il cibo nella Bibbia e nella tradizione ebraica (2015), Per favore non portateli ad Auschwitz (2015) e Qabbalàt Shabbàt. Meditazione sui salmi del Sabato (2017).


Primo discorso
Non è tempo di nascere

I meccanismi della creazione
trattengono lontano (in alto) i cieli;
parole dette (in basso) nella piatta
luce del giorno, sostengono il giogo
dell’esistenza umana sotto il sole.
Parole di conforto che non danno
più speranza, parole di sapienza
filosofale e teologale, vuote
e vane, imponderabili; parole
vomitate da lingue generose
spinte dal duplice silenzio della
vita; parole in cerca di risposte
al dolore, all’assenza, al darsi debole
della voce del Dio del soliloquio
(angeli muti, uomini sordi, come
muto e sordo è quel Dio che si nasconde
negli anfratti del monte e nelle piaghe
di un uomo reso docile dai colpi
del male). Giobbe parla. Giobbe ascolta.
Poi replica, ribatte, non s’arrende
a nessuna parola sotto il sole.

Dacci il nostro tormento quotidiano,
padrone della sorte e del dolore,
spodestato dagli antidolorifici,
dagli ansiolitici, dai sogni bianchi
della morfina, nell’attesa della
morte che tarda a donare conforto.

(Proprio Tu) non indurci in tentazione,
lasciaci soli a camminare nella
palude delle nostre scelte libere
e dignitose; tieniti lontano
dai nostri passi barcollanti e timidi
sulla rotta tracciata lungo mari
da cui non c’è ritorno, solo il battito
di un frammento di nulla nelle spire
consolatrici della bella morte.
(…)



Giudizi

“Dare senso al non senso della vita” è la vocazione sottesa a questa lunga cavalcata di endecasillabi al limite tra eresia e affidamento. la voce di Giobbe, per antonomasia, è voce di un uomo antico e moderno e abita una scena teatrale che spazia in ogni latitudine, occidentale e orientale, reale o letteraria, profana e sacra. La forza con cui la voce rimodula il lamento biblico è potente e commovente, tellurica: altissima la temperatura delle domande che trovano, nell'eccellente controllo dell'autore, se non una risposta, una cassa di risonanza adeguata. (Michele Bordoni)


Siamo di fronte a un Corpus Poetico dall'andamento a tratti discorsivo, a tratti solenne e lirico lamento. Lavoro dallo spessore denso e profondo. Giobbe, straordinario personaggio biblico, di ieri e di oggi. Giobbe oscilla tra la spasmodica ricerca-sfida di Dio e l'atroce esperienza di uomo. Ma qui l'indagine profonda scaturisce in una vera pietas verso l'Uomo. Numerosi i riferimenti a fatti e temi attuali affrontati senza pregiudizi. (Valeria Raimondi)


Altre opere votate

45 minuti di Santina Lazzara (Mineo, CT)

Assistente Sociale-Musicoterapista; Poeta performer, presente in diversi blog e diverse Antologie, vincitrice di diversi premi e pubblicazioni, se ne citano alcuni: menzione speciale Concorso letterario “Pubblica con noi” e pubblicazione nell'Antologia poetica Emozioni in marcia (Fara Editore 2015); pubblicazione del monologo teatrale “Maryama” nell’antologia Lingua madre – racconti di donne straniere in Italia, selezionato dall’omonimo concorso ed. 2017 a cura di Daniela Finocchi, evento patrocinato dalla regione Piemonte e dal Salone Internazionale del libro di Torino; III class. sez. C Concorso di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi 2015; III class. sez. B Concorso di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi 2016. Curatrice dell’Antologia Poetica-Solidale Take Care (Algra Editore 2015). Curatrice del blog letterario The Piper (www.siousy.blogspot.it)


Andai a trovare un tramonto 

andai a trovare un tramonto 
lasciami andare, disse
mi lasci?
Mi lascio
Lascio andare me


Il punto

distanza fissata
dal chiodo in mezzo agl’occhi
vita dentro una latebra
per se-pararsi
sentimenti a grappoli
strappati uno ad uno


Il gioco

tu che corri e inciampi sul basalto
nasce lì il mio nome
muso a terra
e verde all’orizzonte



Giudizio
Poesia potente e icastica, un verso nervoso e scattante che non concede tregua al lettore, lo sollecita all'immedesimazione, ma al tempo stesso non si fa afferrare eppure si legge in controluce una malia di fondo che avvince e coinvolge. (Francesco Filia)


Anima neve di Matteo Pasqualone (Cesena, FC)



Matteo Pasqualone nasce a Cesena. Insegnante di religione cattolica e studente di Teologia. Attento al rapporto fecondo tra teologia e letteratura, cerca di cogliere i segni di tale relazione all’interno degli autori letti e studiati. Appassionato di musica e poesia, si cimenta in composizioni polifoniche e nella scrittura poetica. Ha pubblicato la silloge Scommessa d'eterno (Il Ponte Vecchio, Cesena 2016).


Anima neve
In potenza il respiro
dell’atomo labile
mentre plana assetato
sul ventre dell’acqua;

attesa innocente,
linguaggio primordiale
nel vortice parola
dell’atto di vita.

Presenza assenza,
spiraglio multiforme
di strade vergini.

Anima neve,
posata e sciolta
in traccia sacramentale.

In potenza il respiro
germoglia speranza
che impotenza supplisca
con preghiera potente.


Giudizio
Attraverso l'immagine interiore della neve una ricerca dell'origine personale e metafisica, una meditazione sul tempo sul suo scorrere implacabile, ma che diventa occasione, attimo propizio, senso dello stare al mondo e dell'esistenza. (Francesco Filia)


Oltremare di Oreste Bonvicini (Casal Cermelli, AL)


“Sono assente dal panorama dei premi e loro corollari da molto tempo, se non per il Silarus 2017, dove ho vinto il primo premio per la narrativa. Altro è storia lontana e non rammemorabile.”



Andar per isole
(Marzo 2015)

L’isola avrà la spiaggia in ombra
e la memoria andrà alla tempesta
che tornerà d’inverno sulla costa,
o sul fare della sera, tra nubi e nubi
con il faro sul mare un cono illuminato.

Un giogo per il nostro sguardo
la danza delle ombre sull’orizzonte.

**

Che sarà questo andar per isole,
approdi di speranza,
commiato dal consueto?

Il mare è oltre il perimetro della sabbia
e si allontana allo schioccare del vento.

**

Cosa svelano, svanita la nebbia,
le ossute dorsali dell’isola,
se non luoghi del pensiero
dove sopravvivere
al risucchio dell’abisso?




La somma imperfetta delle parti di Giuseppe Airaghi (Lainate, MI)


Sposato, due figli adolescenti, fa l'impiegato dopo avere fatto in passato il geometra, il rappresentante, l'accompagnatore turistico, il cantante in una blues band e l'agente immobiliare. Sul comodino ha sette libri che sta leggendo contemporaneamente, teme che non ne finirà nemmeno uno.


La fine delle lettere d'amore

Ma quest'oggi che per comunicare
non serve nemmeno più la penna
chi scriverà più lettere d'amore,
lette, custodite, dimenticate
dentro scatole da scarpe ingiallite,
testimoni di carta di giuramenti
e promesse così spesso tradite?

Non sarà più possibile rivendere
ai marinai di passaggio
le belle frasi (condivisibili e universali)
delle lettere d'amore ricevute,
come faceva la cinica ragazza bionda
di cui Jack Kerouac cadde innamorato.



Il canto inaspettato di un'allodola

Il canto inaspettato di un'allodola
nell'aria rinnovata di questa notte periferica
separa il prima dal dopo,
il buio del cuscino dall'interruttore della luce,
il sonno irrequieto dal passo assonnato.

Il canto inaudito di un'allodola,
precipitato dalla finestra del bagno,
accompagna fuori dalla sua sospensione
la mia minzione notturna
e fa delle ore di questa notte
un'unica attesa della luce dell'alba.

Rassegnato all'imminenza
di questa quotidiana resurrezione
non posso dimostrare di essere sveglio,
ma di essere vivo si,
sorretto dal canto che sorge incredibile
dalle insufficienti aiuole alberate del condominio
che dall'altro lato della strada
incombe sulla mia finestra spalancata.

I miracoli
elementari e inaspettati
ti inchiodano
seduto sull'asse del cesso
ad una possibile fugace felicità,
mentre il buio si arrende all'abbraccio dell'alba
con un sonoro sbadiglio.


Giudizio
La poesia deve abitare gli interstizi, le intercapedini, i nomi pronunciati di fretta, i difetti di pronuncia e tutte le abitudinarie pratiche del vivere sempre più azzerate dalla frenesia: solo in questi luoghi la vita può trovare una finestra che apra su se stessa, riaffacciarsi e respirare. Tra ironia quasi cinica e bonaria schiettezza, questa poesia è tutta nell'imperfezione della somma, nello scarto che nega la matematica chiusura del bilancio e trova in questi spiragli la tenerezza che riscalda il quotidiano. (Michele Bordoni)


Unghie per ferire di Elena Varriale (NA)

Elena Varriale è nata a Napoli, terra di mare e fuoco e nell’aria che respira ci sono oracoli di Sibilla e canti di Sirene. Ha pubblicato articoli, saggi e due raccolte di poesie (Lo so che sbaglio, Tracce 2007, e Solubile Scompiglio, Tindari Edizioni 2012). Suoi scritti (poesie e racconti) sono stati selezionati e pubblicati in antologie e riviste (Aletti, Giulio Perrone Editore, Lietocolle, Fara, Limina Mentis) e nel blog di Poesia Rai News curato da Luigia Sorrentino. Ha ricevuto riconoscimenti in premi letterari nazionali e internazionali. Il suo romanzo breve Se sei nato caos non puoi diventare armonia è stato pubblicato nell’antologia Faraexcelsior 2013. Il suo scritto “La parola è un silenzio abitato” è inserito ne Il luogo della parola (Fara 2015). Sempre con Fara pubblica nel 2015 Intralci ed intervalli.

Spesso con la penna
mi graffio la mano
e soltanto allora so che
ho vissuto ciò che ho scritto.
(Karl Kraus)


Tutte le mele sono bacate
tutti i respiri sono a tempo
e ciascuno ha le sue carie:
il bene è figlio del male.

Imperfetti dalla nascita
non siamo cloni migliori
in ogni cuore c’è l’avido
e nelle ferite, il giusto.

Fango e cielo convivono
 sono il lato oscuro della
luna, l’eclissi che affligge
il computo del tempo.

Il cuore che si racconta
nel buio della stanza è
voce veritiera che smette
di lanciare i sassi.

Ha unghie per ferire.

***

È una torre nuragica
la distanza accumulata
tra me e le parole
che penso o scrivo.

È come se afferrando
il vento tra le mani
perdessi le dita o
il cuore della falange.

È come se agitando
aria su pentagramma
le note smarrissero
il suono e la durata.

È come se il silenzio
si facesse vocio o tifo
che spinge ad alzare
l’asticella del sentire.

Sembra un abbraccio
ma è morsa che serra
la necessità del dire
nel bozzolo della larva.

Le parole sono figlie del chi siamo.


Giudizio
Un andamento ripetitivo, ossessivo nell’uso diffuso dell’anafora per esprimere, anche formalmente, un rovello che il poeta non sa sciogliere e che trova fin da subito formulazione: E le verità dismesse / sul profilo della luna / a raccontare il chi sei / e come sia accaduto / che il tempo non consoli. Si aggrappa allora il poeta a deboli appigli, piccole estasi naturali di un’alba rosea o d’un vento rabbioso che preludono all’inevitabile verità escatologica. (Alberto Trentin)


Dove sei di Tommaso Meozzi (Firenze)


Tommaso Meozzi, dottore di ricerca in Letterature comparate, lavora come lettore d'italiano all'Università di Bonn. Con la raccolta di poesie La superficie del giorno (Le Cáriti, 2010), vince, nel 2013, il premio Contini Bonacossi sez. Opera prima. Il suo racconto La badante è uscito sul n. 78 (aprile 2017) di Nuovi Argomenti. Nel 2017 riceve il premio della giuria nell'ambito del Premio Rimini per la poesia con la raccolta Inquieta alleanza, pubblicata nel settembre 2017 per Transeuropa. Con i racconti di Due sparizioni, si è classificato terzo al premio Faraexcelsior 2017.



Rimini

I

a piedi verso la marina
scheletrica – anche il Mc Donald è chiuso –,
deluso dall'assenza di vita
ho sentito la voce del mare.

La vista si è saziata quasi subito
a guardare la polvere d'oro
in silenzio ripulita,

la linea delle onde
replicava se stessa all'infinito,
ma il punto, il punto
in cui acqua e terra
facevano una trama
subito dispersa dal vento,
quello, nel cominciamento di aprile
mi ha incantato.


II

Ho pensato che ero ancora capace
di sentire la voce del mare
nonostante il marmo calpestato in questi anni,
i successi mai del tutto incompleti.
Poi sono tornato
dietro queste reti
dove unisco il flutto alla parola.

Dove sei...



Giudizi
Una raccolta liquida che mostra la vita come un riflesso sulla superficie dell'acqua. La trasparenza delle poesie ricorda quei giorni di luce abbagliante e salmastra quando ogni cosa all’improvviso esiste e brilla. (Giovanna Iorio)
Un paesaggio urbano, un cumulo di detriti, freddo, svuotato di senso, amorfo e anodino: in questa dimensione si cala il poeta che ammette già nelle prime battute che a fianco della secca rendicontazione del male presente, trova spazio la ricerca di un luogo tranquillo / da cui osservare la mia vita, / ridere, di questa bufera infinita / che pure tende verso una fine. L’ironia è la forma di rivendicazione assieme e di protesta nei confronti dell’arida vanità del presente. (Alberto Trentin)


La ghironda di Andrea Biondi (Treia, MC)


Andrea Biondi (Rimini 1986) si è laureato in Lettere presso l’Università di Urbino nel 2009; nel medesimo anno e presso lo stesso ateneo ha conseguito il diploma in Scienze Religiose. Dal 2011 è docente di religione cattolica nella scuola pubblica italiana. Nel 2014 si trasferisce a Treia (MC) con moglie e figli. Insegna nella diocesi di Macerata. Ha scoperto la poesia leggendo la raccolta poetica Il ramarro di Paolo Volponi. Con Le campagne hanno bocche ha vinto il concorso Faraexcelsior 2017.


La ghironda

Di già la casa traballa
al suono lungo di ghironda,
si apre come un cuore
o un polmone di uno che esce
per riempirsi di mondo.

In sala la zampogna belante
fa memoria delle greggi,
cervelli di un'altra evoluzione.

Io sto in cucina tra le pentole,
non c'è più tempo.

La casa è un mantice che si allunga,
la sento gonfiarsi.
Dio mio! Dove andiamo?



La domenica del cacciatore

Quando il mattino spira dai campi
si apre la finestra
con spari secchi di cacciatori:
l'aria muta e rarefatta
apre il settembre.

La domenica è del cacciatore,
fosso per fosso l'ha disegnata,
le macchie, le pietre, i sassi
li ha misurati uno ad uno:
che strage!

La chiesetta sulla collina
è una fantastica gabbia
per selvaggina azzurra,
per il cacciatore che riposa
dalla fatica di un solo giorno.



La cerva

La cerva leviga il muso alla fonte,
lo fa liscio come sassi di fiume.

Tre imberbi si fanno avanti,
il male non è nei loro cuori.

C’è una preghiera
che cammina nel bosco.


L’olimpica analgesia degli ammanchi frontali di Gaetano Magro (Catania)


Professore Associato di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania. Esperienze letterarie: Il mare metafisico di Punta Corvo (romanzo, Manni 2005); Fontana delle ore (poesia, A&B 2001); Impermanenza (poesia, Edizioni Il Giornale di Scicli 2005); Le lumache mediocri (poesia, LietoColle 2010); Il glomerulo di sale (silloge poetica in antologia, Fara Editore 2010); Il batterio del tempo (silloge poetica in antologia, Fara Editore 2011); Formalina (romanzo, Fara Editore 2013).

Penelope

il vento è giovane se ha le gambe della lepre
e le ossa della volpe bianca, se ci incardina
nelle impettite stanze senza porte e ci spiffera
i segreti degli sposalizi altrui in punta dei punti

il carrubo islamico pencola in dialetto stanco
le sue foglie tra svanirsi e vestirsi d’ardite ipotesi
s’appellano alle erbe parassite che lo inchiodano
senza storte radici al sommo dovere maestro

le malattie mentali del maestrale, i tumori del grecale
e le inspiegabili febbricole dello scirocco fanno tutto il resto
mentre il gallo bestemmia nell’alba difettosa appena spuntata
avverte che arriveranno le monche pedalate in salita

crollano le borse dentro un fosso di capperi selvatici
sguardi sospettosi tra malcapitati: le borse non sanno dei capperi
e i capperi sanno infinitamente meno delle borse e dei loro sbalzi
il gallo faticatore riprende e scuce l’alba da ventenne

Penelope attende contromano il sellaio e per entrare nella storia
che conta, sconta la perdita e punta dritta la barra di calibrazione
s’impicca all’ozio indicando l’ultima costellazione visibile ad occidente


La stitichezza delle forme

i grilli nella notte lunare contigua all’ampio lago ateo
inappellabili imperatori sul filo sclerotico della vanità
a pencolare tra i campi gravitazionali della relatività
come guizzi quantici felici e convinti delle mappe dei vuoti

la tenue luce prossima al millenario muro a secco
chiamava per nome, uno dopo l’altro, gli alberi, i fiori
ogni insetto e tutti i mali oscuri del secolo appena andato
assieme all’elegante inutilità dei papaveri rossi d’altra ischemia,

vana la significazione di quell’adempiersi in superbe ammaccature
perché la palpebra s’abbassa e spegne sul nascere i cerchi dolorosi
ove s’adempie la tremula condizione per il continuo cricchiare
degli elettroni, inenarrabili particelle elementari che sculettano di gusto

franano, allora, a regola d’arte anche fenicotteri ai bordi della grande bellezza
s’aggrappano alle danze microscopiche e villanissime delle cataratte
sui corpi del cristallino, mentre le bave erotiche degli incantatori d’uomini
godono della forbita assenza che si compie sull’immedicabile stitichezza delle forme



Giudizio
Un’originale e ironica meditazione sul senso della poesia, dello scrivere e dell'arte in generale. I versi si dispiegano come un referto o una piccola architettura barocca piena di citazioni e riflessioni, che dietro la rappresentazione nascondono, però, un corpo a corpo sofferto e audace con il vuoto che assedia l’esistenza e la parola poetica. (Francesco Filia)

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