recensione di AR
«Non li vedete sotto? / tre chiodi» (25 dicembre, p. 12). È il distico che apre questo Diarietto, in cui il Natale è già
proiettato nella donazione assoluta del Figlio sul Golgota che sempre porta con noi e rende leggera
la nostra croce (cfr. la poesia Stazione a p. 35).
Mi ha molto commosso leggere questa raccolta di versi che
sono un cammino di fede e conversione intonati sobriamente, al ritmo sincopato
di un diaframma che si fa tamburo ad emozioni vitali, essenziali e che non è
possibile non condividere: «adesso che
il mio cuore non batte più da solo / sta tutto in vita, / è doppia pulsazione»
(Battito, p. 40). Chi viene illuminato non può a sua volta non emanare
qualche vibrazione luminosa e renderla disponibile a chi a lui rivolga lo sguardo.
La plaquette è caratterizzata da uno stile onesto ed umile,
trasparente e al tempo stesso riservato, intenso e vero come in fondo dovrebbe
essere agostinianamente una confessione in cui ci si lascia lavorare da una Misericordia sempre
provvidente, piuttosto che far noi uno sforzo di volontà inevitabilmente caratterizzata
da condizionamenti e oscurità (l’esergo eliotiano – “Signore, non sono degno…”
– è significativo in questo senso): del resto la grazia è gratuita, appunto, e
non dipende dai nostri meriti ma dal nostro farle spazio per accoglierla: «il
tuo tempo il mio lo trasfiguri – fidarsi ancora non è reato» (Grani, p. 19).
Così pure le devozioni “antiche” vengono ri-considerate nella loro
amorevole, sapiente e universale semplicità: «anche l’uomo tuo Figlio il maschio / si accucciò nel
seno / e chiedendo ti prenderai cura / rialzerai lo sguardo, il nostro» (Non cessate, o Potentissima, p. 21).
La fede va coltivata e sempre percepita come un dono e non
come un premio. La poesia a pagina 26 fa implicito riferimento alla pianta di
ricino sotto la quale il profeta Giona trova gradito riposo e che
improvvisamente come era rigogliosamente cresciuta si secca (se appunto non
ravviviamo in noi la gratitudine per la vita, per gli affetti, per i talenti… essi si inaridiscono):
«Devi vedere che non si muore / quando lo stomaco si sta rivoltando / e il cuore / davanti la pianta bruciata di sole / s’aggrinza e scolora / trovando
bloccata / la sua capacità di fiore.»
Il male in noi e attorno a noi, la morte
vengono convertiti/trasfigurati solo dall’amore di Gesù che ci proietta corpo e
anima in una «… carne / una sola,
senza tempo» (Attesa che i corpi si
ritrovino, p. 27); «Ma tu strapperai queste dita / (…) / come al pavimento
affezionate: / le strapperai, tu le farai spiccare…» (Cracovia, p. 29); «Non temere i terrori della morte / se la spina
che rimane conficcata / porterai alla fine nella carne / non del tutto
intonacata.» (Corpus III, p. 32).
Fortissima la poesia Eucarestia dove il Cristo si lascia
uccidere, mangiare, assimilare e chiede insistentemente al tu in cui ogni
lettore/fedele può immedesimarsi: «se non dovessi come fece scivolare / nelle fogne
puzzolenti del paese, // se non dovessi, dimmi, / se non dovessi?» (p. 18).
Molto partecipe e perspicua anche la bella introduzione di
Francesco Iannone, a sua volta valente poeta.
Un vademecum che può aiutare molti a ritovare il sapore della preghiera: non solo formule, salmi e riti (certo indispensabili) ma anche semplice risonanza qui ed ora, in questo nostro costantemente liquido e spesso ingiusto mondo, di quella scintilla assoluta di bello e divino ancora più minuscola, indefinibile e pervasiva del bosone di Higgs (di cui è in primis la Fonte).
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