Dopo aver letto Il tocco abarico del dubbio
recensione di Gianni Criveller
al link qui sotto una sua recente intervista
Mi si perdoni una
necessaria premessa: non ho competenza di critica poetica. Scrivo soltanto le
emozioni e i pensieri che le belle poesie di Angela Caccia hanno suscitato in
me; confortato dalla stima dell’editore Alessandro Ramberti per
qualsiasi cosa avessi avuto da dire.
Innanzitutto il titolo,
Il tocco abarico del dubbio, inusuale
e scelto senz’altro con ricercata cura. La ricercatezza linguistica, fatta di
termini rari (come abarico, valva, piato, pizia,
gheriglio, sciabordio, tramestio), o
persino di neologismi (almeno credo che tali siano nuvolaglie, smagare, stellante, piantumare, spighino…) è una
delle caratteristiche di questa raccolta. I termini difficili, che esprimono la
fatica del rendere pensiero ed emozione in parola scritta, sono peraltro inseriti
in un linguaggio prevalentemente familiare, quotidiano e naturale.
Immaginare i nostri aliti nel freddo
colorare pensieri informi
mendicanti di parole (54)
Torneremo sul
linguaggio poetico mutuato dalla vita quotidiana.
Il termine ‘dubbio’ non
appare poi così frequentemente nei versi della poetessa. E dunque c’è da
chiedersi: di quale dubbio ci parla? Il dubbio si oppone a certezza, e siamo in
un’epoca in cui il dubbio sembra bandito, soprattutto dalle religioni: in esse si
impongono ormai, come un’inarrestabile calamità, le certezze da inculcare,
fanaticamente, con ogni mezzo, anche con la violenza e la morte. Angela Caccia,
che ha un animo evidentemente religioso, presagisce che la fede sincera, l’unica
degna dell’uomo, è amica del dubbio piuttosto che della certezza.
Il dubbio appartiene in
modo più pertinente alla nostra umanità, fatta di nostalgie e assenze (temi che
Caccia sente molto suoi). L’esperienza
quotidiana degli affetti e dei ricordi non ci restituisce certezze, ma
piuttosto speranze. Il dubbio ci indica la speranza (saremo noi l’aurora / gli
occhi puntati ad est, 88). Una delle speranze più forti dell’autrice, una
specie di ansia, è quella di trasmettere ai propri figli, ai quali dedica la
raccolta poetica, un degno lascito, quanto lei sente di più prezioso. Non può
avere la certezza di riuscirci, ma la speranza sì. Forse è questo uno dei dubbi
che avvolge l’autrice.
E chiedi a me
il senso della vita
a me
che ho mille risposte
e nessuna (88)
Il lascito prezioso di AngelaCaccia è fatto di amore per la vita e di dolore per quanto toglie la vita: i
barconi che affondano in fondo al mare; i rifugiati che attraversano confini
che spesso danno la morte; la guerra e i bombardamenti; e poi la morte prossima
ventura della scrittura cartacea e la tirannia della telematica, che impedisce
di vivere davvero. Una poesia che ha anche una valenza civile: il nostro
mondo contemporaneo, così dolorosamente provato, trova spazio nei versi di questa
raccolta. E, come scriveva Etty Hillesum, non si ha diritto, non è possibile,
scrivere di dolore, di per sé inesprimibile, se non si è poeti.
Resisti Nina
resisti da sola
così curva
in questa pozza di dolore
ci fosse un dio dei cani …
non ho parole sacre
(31)
Nella poesia di Caccia
trova spazio soprattutto la vita, nella sua pienezza e concretezza. Le donne,
spesso più di noi uomini, vivono in simbiosi con la natura, la materia, il
corpo. Ne conoscono il linguaggio. Nelle poesie tornano spesso gli organi del
corpo, a partire dalle braccia,
che abbracciano, un tema ricorrente, di evidente carattere affettivo. E poi le
mani, gli occhi, le pupille, le palpebre, i denti, la pelle, il sangue, il
ventre, il petto, i fianchi, le ginocchia... Non conosciamo altra vita (e altro
amore) che quelli sperimentati nella fisicità delle relazioni.
Dietro le palpebre
in riflesso
Il mio cosmo
il posto delle cose (85)
Il cosmo di Angela è lo
spazio e il tempo dentro cui si vive. Il tempo è protagonista nelle poesie
di Caccia nella cadenze delle ore del giorno: alba, mattino, pomeriggio,
tramonto, sera, notte. La poesia di Caccia è segnata, in modo impressionante,
dalla quotidianità; sembra talvolta racchiusa in un episodio di 24 ore (pur in
presenza anche dei tempi delle stagioni).
E poi, ugualmente
addosso ai versi, c’è lo spazio, quello della natura che pervade in un modo più
ineluttabile di quanto siamo disposti ad ammettere, la nostra esistenza. Ma
questa realtà non sfugge alla sensibilità (femminile) di Angela: quante volte
il cielo, il sole, le stelle, la luna, vengono menzionati. Ma non solo: le
nuvole, la pioggia, l’arcobaleno, la neve, la luce, la terra, il
lago, e tanto volte il mare… E i colori. E gli uccelli…
Ma c’è una ricorrente figura
della natura che mi ha colpito in modo particolare: il vento. Ho pensato a
Grazia Deledda, che ho avuto modo di rileggere recentemente, i cui romanzi sono
costantemente sconvolti dal vento. Un vento incessante, pervasivo, inquietante…
che scuote gli alberi, il paesaggio, la natura. Ma che soprattutto sconquassa le
anime, sempre sconvolte, sempre sottosopra, dei suoi personaggi. E il vento
scuote anche le poesie di Angela Caccia.
Si dimena
un vento di conchiglia che
maledice le sbarre (16)
Una vertigine
Il colore del vento tra le foglie … (27)
Voci di dentro
Gli amori ventosi (67)
Servirà un crinale per trovarlo
e scoprire la parte più ventosa di sé (80)
Preghiera
che stasera
mi sei vento e coperta (83)
Le poesie, come le
canzoni, non ci sarebbero così care se non parlassero d’amore. E, tra tutte,
sono state proprio le poesie d’amore che più mi hanno colpito. Nella parte
centrale del prezioso e curato libretto ve ne sono diverse, tutte molto belle,
evocative e suggestive. E naturalmente l’amore è fatto di nostalgia, di
occasioni sprecate, di attimi troppo brevi che non tornano più… di assenza
soprattutto.
Un lago la tua presenza
Ed io cigno maestoso
ti navigavo
…
Relegato in un ricordo
accatastata la tua assenza (48)
Se ti avessi incontrato quando lo sguardo
era alto e mi era facile tremare d’amore
…
Quando non mi bastava un giorno per riempirlo
di parole e profumava di rosa la rosa
ed era lei che mi annusava.
Ogni giorno raccoglievo con cura
le mie promesse in una cesta bucata,
che puntualmente si svuotava
…
Se ti avessi incontrato sulla rotta di quel vento
quando la speranza camminava a branco
la fronte al vetro già ti cercava
ti faceva sogno e, al mattino, canto… (50)
Eppure, così sembra
dire Angela ai suoi figli e a noi lettori, vale sempre comunque la pena di
amare, anche quando ci sembra di sprecare il nostro sentimento. È forse questo il
lascito che la poetessa vuole trasmettere. Un lascito che sorpassa i dubbi che
le vicende della vita seminano nei nostri animi. Meglio amare e soffrirne, che
non amare affatto. Nel tempo si impara ad amare. La poesia d’amore di Angela è
infatti impregnata di assenza (frequentemente menzionata), di malinconici
ricordi, del desiderio di un vero abbraccio, mai di disperazione.
Vorrei tornarti amica
Come una volta
Come una volta per mano
Nel chiaroscuro del bosco (54)
Lasciami i tuoi occhi
...
aprirò con le tue
le mie labbra al bello.
…
Resto nel tuo sguardo
Una pianura placida
Un sogno senza scadenza
è in questa luce spersa
la tua assenza
l’ombra colma la stanza (47)
Un abbraccio questa notte d’estate
E noi abbandonati
senza più pelle
…
Restiamo insieme
Ti prego
…
e insieme
nell’ultimo spicciolo di notte
saremo noi l’aurora
gli occhi puntati ad est
e il fiato corto (88).
P.S. Commuove la
presenza, nella pagine di questo libro, di Guido Passini. A lui è dedicata una
poesia (Se muore un poeta, 76) e di
lui è riportato un breve commento alla poesia di Angela Caccia, descritta come
efficace, semplice, “educata” (credo intenda dire ‘gentile’). A lui, Guido,
dedico questo mio commento, sperando sia stato efficace, semplice e
gentile come era lui.
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