recensione di Marcello Tosi
Storie, sensazioni di smarrimento, sorprese che colgono trasalimenti dell’animo, ne La mia casa di Gabriele Oselini (Fara 2014). La nuova raccolta del poeta viadanese si apre in maniera significativa con l’omaggio posto in esergo, ai versi di poeti della sua terra, come Pier Luigi Bacchini e Afro Semenzari. E “la contemplazione delle torri e delle querce, scriveva Bacchini, mi ha fatto amare il vento – strisce cupe e lucentezze.”
Osellini, con una sensibilità che si direbbe quasi virgilianamente mantovana, apre questa raccolta con l’apparire della “Casta luce dell’alba” sulla terra “madre dolcissima”. Ѐ il primo chiarore di un 13 dicembre quando “a questo nuovo freddo sole / la brina / illumina i campi / sorrido / ai volti amici”. La luce sommessa dell’autunno (“difeso dalla foschia / seguo / morbide movenze”), le foglie gialle e il senso della caducità delle cose, rimandano a “pensieri fuggenti / come ragazzi insieme / senza passato”).
Versi in cui è possibile individuare una molteplicità di riferimenti poetici, come sottolineato nella prefazione da Gino Ruozzi: “in queste poesie di Oselini si avverte la rigorosa ed energica misura espressiva di Giuseppe Ungaretti” (come nel richiamo esplicito dei versi di Isonzo).
“È singolare – scrive Ruozzi – a quasi un secolo dalla composizione del Porto sepolto, trovare una voce così in sintonia. Le immagini, il lessico, la struttura dei versi, l’assenza di punteggiatura e il respiro corto e frammentario ricordano quel modo di raccontare e illuminare per versi. Un tema ricorrente è quello della passeggiata. Anche in questo caso il primo pensiero va alla natura dei luoghi, alle strade, agli argini e alle golene di Po, a quel mondo piccolo e immenso descritto da Zavattini, Guareschi e, in una prossimità decisiva, dall’amico e maestro Daniele Ponchiroli. Non può tuttavia mancare la traccia delle nodali Myricae di Pascoli, dai quadri poetici dell’Ultima passeggiata all’epilogo di In cammino e Ultimo sogno.
Viadanese, insegnante, Oselini ha ricoperto l’incarico di assessore alla cultura. Appassionato di letteratura e di poesia, con particolare attenzione per quella latinoamericana del Novecento, ha partecipato a diversi concorsi locali e nazionali: è stato segnalato alla terza edizione del concorso “Pubblica con noi” di Fara Editore, con cui ha pubblicato nel 2005 una selezione di poesie all’interno di Antologia Pubblica e, successivamente, le sillogi Specchio (2006), Finito (2008) e Piove (2011). Una voce poetica, ha scritto Fabrizio Azzali nella prefazione a Piove, che “si condensa nella scansione scarna e secca di versi frantumati, essenziali, nei quali le parole, che vibrano isolate nel silenzio imposto dalle pause, paiono incise in una materia viva, palpitante, tesa a restituire l’immagine nella sua immediata assolutezza e in cui si concentra quasi il respiro delle cose e dell’uomo che vi è immerso”.
“… Felicità immanente / color trifoglio / fra platani genuflessi / al vento di luglio”.
Così la terra amata, la terra che si apre, si spacca come una “Creta” di Burri (“arse di creta / sabbie dorate / a specchio nel mare”), ritorna il luogo dove “concedersi la lentezza / con rari movimenti di pioppi sfumati”… Dove poter gustare il sapore delle tradizioni agresti, di un’epoca in cui la famiglia aveva un diverso significato, in cui le ricorrenze assumevano quasi una sacralità smarrita, come in Gnolini: “sulla bianca tovaglia / in fila / sinfonia / di forme rotonde / giallo caldo / pieno…”).
Richiami e figure quasi pascoliane (“quale sia / il tuo pensiero / seduta / sulla sedia di paglia / vicino ai girasoli / assetati d’agosto / non so / donna dei ricami…”) rimandano all’immagine di un tempo lento del ricordo che torna a farsi visione con il senso bucolico e virgiliano della realtà, uscendo su “cancelli aperti / su filari / di mele cotogne / pesche / e ciliegie / per il rito / sacro a mia madre / della mostarda / di Natale” (La mia casa). E così rinvenire il respiro delle stagioni, che tornano a rincorrersi nei titoli dei versi: Autunno, Bimbi d’estate, Campagna…
“Quella strada”, abbandonata sull’argine “invasa da erba alta… indica il percorso più amato”, quello che infine sorprende il viandante in cammino, mentre ritrova la strada “in cerca di stelle… morbida piuma / leggera novella”. Ed è “divino immergersi nella pioggia… Blasfemo / è il richiamo / al capobranco / come i lupi / affamati / nella notte” (Theos).
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