mercoledì 8 ottobre 2014

Una piccola Spoon River in Romagna

recensione di Paolo Turroni pubblicata su La Voce di Romagna del 6 ottobre 2014

L'ex sindaco di San Mauro Pascoli, Gianfranco Miro Gori, ha ripreso la penna di poeta e dato alle stampe un volume di liriche in romagnolo


Già sindaco della natia San Mauro Pascoli, Gianfranco Miro Gori, terminata l’esperienza politica, ma non la partecipazione alla vita culturale della Romagna attraverso l’associazione Sammauroindustria, di cui è presidente, ha ripreso in mano la penna del poeta, e
ha dato alle stampe un interessante volume di liriche in romagnolo, E’ cino, la gran bòta, la s-ciuptèda (prefazione di Ennio Grassi, Fara Editore, pagg. 86, euro 11). L’immagine di copertina, di Francesco Ramberti, identifica con precisione una grande passione di Miro Gori, il cinema. Il nostro poeta, oltre ad aver pubblicato numerosi saggi sull’argomento, è stato direttore della Cineteca di Rimini, che progettò nel 1986, nonché l’ideatore della mostra “Riminicinema”. In un notturno evocativo s’intravede la locandina di Sentieri selvaggi, il grande capolavoro con John Wayne: la prima parte del titolo allude al mondo del cinema, in particolare il cinema “classico”; l’autore guarda a quel mondo perduto con forte nostalgia, legata anche alla fisicità dello spazio in cui si guardava il cinema. “E’ pòst (ènca) l’è e’ cino: / ad pènchi ad légn / ch’a t s-cénta la scòina, / al scarani ‘d plastica / ch’a t’ròsga e’ chéul, / al pultròuni sèchi / ch’u i sta un braz snò, / al pultròuni grasi / che t’a t’pu stravachè” (Il luogo (anche) è il cinema: le panche di legno che ti schiantano la schiena, le sedie di plastica che ti rodono il sedere, le poltrone secche dove si appoggia solo un braccio, le poltrone grasse dove ti puoi stravaccare), inizia così un’altra poesia dedicata alla fisicità del “cino”, una fisicità che anche nella sua sgradevolezza, anche lessicale (e in questo si vede il legame con una peculiare tradizione della poesia romagnola, che a partire da Olindo Guerrini giunge fino a Tonino Guerra e Raffaello Baldini) non perde un frammento della bellezza che il ricordo, forse il rimpianto, le attribuisce. Ma non c’è solo il cinema nell’opera tripartita di Gori: veniamo condotti addirittura all’esordio dell’universo, perché il grande botto non è altro che la traduzione di Big Bang, dell’esplosione che secondo gli studiosi avrebbe dato nascita all’universo. Come raccontare questo esordio? Dapprima l’esplosione, poi la nascita degli elementi, prima l’acqua poi il fuoco, l’evoluzione e infine l’umanità: il poemetto termina con l’esaltazione delle storie, le storie dell’umanità, che ha cercato, di secolo in secolo, di spiegare, di raccontare, di comprendere attraverso le parole quel che comprendere non si può: la vita, il senso nostro di essere nel mondo, il perché delle cose. Qui Gori giunge a veri picchi di bravura, dominando con poche pagine una materia estremamente complessa. Infine, l’omaggio a Pascoli, che non poteva mancare: il poeta di San Mauro, nato l’undici agosto, non poteva esimersi il confronto col poeta che il 10 agosto perse il padre, assassinato per motivi ancora oscuri. L’ombra di Pascoli si stende sui poeti romagnoli, imponente e ingombrante: Miro Gori omaggia il cantore delle myricae in modo originale, facendo parlare direttamente il morto ammazzato e l’assassino, nella lingua dei padri, nel romagnolo che mai Pascoli adoperò per le sue poesie. Il risultato è un dialogo affascinante, una microscopica Spoon river della Romagna, ma soprattutto, per i lettori, il gradito ritorno di uno scrittore vero.

Nessun commento: