Una nota di Vincenzo Di Oronzo
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Alluminio di Mario Fresa
Mario Fresa (1973) |
La silloge si dispiega in una partitura immaginale
dell’eros.
Tra cristalli varianti e fulgide accensioni di
Psiche, i corpi si svolgono come bende del desiderio, nella prosodia dell’istantaneità:
le «dita nell’argilla del silenzio», la «lingua sconosciuta», quando suona «la
notte della rincorsa» o «l’obliquo amore» della rifrangenza.
È lo status della rêverie, teorizzato da Gaston Bachelard, in cui il lampo onirico si
condensa in una lucida e sognante polisemia dell’io: nel «sonno che annuncia fuochi
di serpente», nella «ricaduta dell’ultima foglia», che scandisce una clessidra bianca,
mentre gli innamorati si scoprono «superstiti» nella nudità perduta, che esplode
all’uscita a sé, dalle curve del sacro.
Le scene si incantano nella greca stupefazione del
mito, nella fulgida simultaneità noumenica.
Così si susseguono cerimonie iniziatiche: quella
della «voce» che scivola tra gli splendori spezzati, l’altra che tocca il
nirvana della metamorfosi: «questo piede si è trasformato in vento».
E il tempo? È quello degli orologi molli di Salvador Dalì.
Vincenzo Di Oronzo
Mario
Fresa, Alluminio. Introduzione
critica di Mario Santagostini. LietoColle, collana “Aretusa”, 2008, pp. 40.