venerdì 6 dicembre 2013

Una nota su Alluminio di Mario Fresa





Una nota di Vincenzo Di Oronzo
 
su Alluminio di Mario Fresa
 
 
Mario Fresa (1973)
 
 


La silloge si dispiega in una partitura immaginale dell’eros.

 
Tra cristalli varianti e fulgide accensioni di Psiche, i corpi si svolgono come bende del desiderio, nella prosodia dell’istantaneità: le «dita nell’argilla del silenzio», la «lingua sconosciuta», quando suona «la notte della rincorsa» o «l’obliquo amore» della rifrangenza.

 
È lo status della rêverie, teorizzato da Gaston Bachelard, in cui il lampo onirico si condensa in una lucida e sognante polisemia dell’io: nel «sonno che annuncia fuochi di serpente», nella «ricaduta dell’ultima foglia», che scandisce una clessidra bianca, mentre gli innamorati si scoprono «superstiti» nella nudità perduta, che esplode all’uscita a sé, dalle curve del sacro.

 
Le scene si incantano nella greca stupefazione del mito, nella fulgida simultaneità noumenica.

Così si susseguono cerimonie iniziatiche: quella della «voce» che scivola tra gli splendori spezzati, l’altra che tocca il nirvana della metamorfosi: «questo piede si è trasformato in vento».

E il tempo? È quello degli orologi molli di Salvador Dalì.
 
                                             Vincenzo Di Oronzo
 
 

 



 

 
 
 
Mario Fresa, Alluminio. Introduzione critica di Mario Santagostini. LietoColle, collana “Aretusa”, 2008, pp. 40.