domenica 13 ottobre 2013

Mario Fresa. Ex Libris / 2








La poesia-evento di Enzo Rega

di Mario Fresa

 



 

Le cangianti oscillazioni e le vibratili ellissi sulle cui traiettorie viaggiano i versi di Enzo Rega, raccolti nel suo volume Indice dei luoghi (edizioni Laceno, 2011) scandiscono un orizzonte sempre mobile e proteiforme che procede per addensazioni e per accumuli, per condensazioni e sovrapposizioni. La poesia vortica, allora, nel fuoco di un movimento orbicolare che produce l’aprirsi di una forza tracimante e compulsiva, capace di lanciarsi in una prospettiva corale del gesto poetico, nella quale la voce narrante approda a una forma di estesa e sovrasoggettiva rilevazione di luoghi, di città, di vedute e di scenari col sostegno di una dilatazione linguistica potentemente ricettiva e reattiva.
La parola s’inarca fino a costituire una densa nebulosa, carica di energia straripante, che accoglie e che potenzia l’emergere di un moto circolare ed eccentrico, sensibilmente ricolmo di vibrazioni e di rifrazioni sollecitate sempre da un fiammante, dinamico vigore interno.
La lingua si offre, così, come medium che costruisce, e poi riproietta fuori, un arsenale di immagini e di suoni di singolare luminescenza: la visione-registrazione dello spettacolo del mondo si presenta con la verticale felicità di un turbinio meravigliato, di una lucente danza visionaria. Ma i volti della realtà scrutati dalla poesia di Rega sembrerebbero l’eco polverizzata di immagini-scampoli, di velocissime schegge, di minuzzoli volanti, di bricioli esplodenti: atomi-ombre, diresti, che appaiono dispaiono, che balenano tramontano, che bruciano svaniscono; e invece, l’arsura di questa riverberante festa sa ben configurare un organismo formale equilibrato e coeso, anche in virtù di un linguaggio magnetico, acceso, affatato; e la stessa impermanenza della parola, e il suo vivido e ansante peregrinare, non fanno che accompagnare, e dunque evidenziare, la medesima irreversibile impermanenza del tempo, il suo precipitare nel circolo fatico di un eterno ritorno.
Ed ecco, forse, individuato il nodo centrale che possa condurci al fondamento generativo della raccolta: e cioè il proposito di incuneare i brandelli infinitesimali della percezione del mondo nell’infinita risplendenza di una rappresentazione ricreatrice e rifondatrice degli stessi concetti di tempo e di luogo: concetti prossimi, qui, a tradursi in vicenda collettiva e universale, ovvero in un gioco emblematico nel quale l’ininterrotto scomporsi e ricomporsi dei frammenti della realtà, vista o immaginata, disegna il percorso di un viaggio ch’è insieme fisico e illusivo, presente e fuggitivo, entro il quale la stessa poesia già si trasforma in indice del tutto, in un catalogo-inventario di presenze e di assenze, di lampi vivacissimi e di filmiche dissolvenze, di possibilità e di riprese, di visitazioni e di apparizioni.
Qui la poesia si muta, dunque, in un archivio-diario capace di esporre i frantumati luoghi dell’esserci e dello svanire, e che fa accedere il lettore a uno spazio labirintico e immisurabile; e che alla parola sa sottrarre la pesantezza della pura catalogazione «geografica», denotativa o descrittiva, restituendole, infine, la possibilità di mostrarsi come uno sguardo assoluto: uno sguardo che non guida né definisce, che non certifica né riordina, ma che deflagra e divampa, naturale e implacabile, come un evento puro.

 

 

 
 
 

«La poesia è legata al tempo da qualcosa di brusco, un taglio, uno strappo, una scaturigine, un balzo, qualcosa che accade internamente in un istante incalcolabile, d’un subito senza progressione.»

 

Leonardo Sinisgalli, Vecchie fole euclidee